Il malessere postmoderno - Conte, visto da destra e da sinistra

(Maria de falco Marotta)  Ogni giorno l’uomo e la donna postmoderni si svegliano per affrontare un altro inizio assoluto, in cui non sa se il posto di lavoro e il compagno di ieri sarà lo stesso. E in quanto collezionista di sensazioni crederà che questa sia libertà e flessibilità, nuova virtù premiata con il precariato, finché non ripiomberà nell’ansia identitaria. In questo fango scivoloso, si brancola tra edonismo esasperato e terrore dell’indigente, il quale rappresenta ciò che potrebbe capitare in ogni istante. Ciò può sembrare un’analisi impietosa, con stile caustico e forte senso dell’apocalittico, ma può funzionare da catalizzatore di attenzione e presa di responsabilità. Ci si può aiutare leggendo il saggio di Zygmunt Bauman, Il disagio della postmodernità (Editori Laterza, pp. 354) per essere parte attiva della storia e non del gala di un’umanità stordita. In quanto ci sentiamo parte attiva della storia, leggiamo che cosa ci sta accadendo con il governo del Conte 2.
2 Modi opposti.
Primo modo. Il governo Conte 2 è il risultato di una operazione di grande abilità politica, che mette fuori gioco Matteo Salvini e i suoi deliri sovranisti, restituisce alla democrazia parlamentare le sue prerogative, mette finalmente al mondo quell’alleanza “naturale” tra Pd e M5s strangolata nel 2013 dall’intemperanza grillina e nel 2018 dai popcorn renziani, riunifica il popolo del centrosinistra transfugo nella protesta pentastellata o disperso nell’astensione, restituisce al Pd il suo ruolo di perno del sistema politico e di “partito della nazione”, sempre pronto a rispondere agli appelli alla sua responsabilità tanto più se provengono da Bruxelles, nonché ad accollarsi l’onere di costituzionalizzare forze “anomale” e ribelli
Secondo modo. Il governo Conte 2 è il risultato di un’operazione di ceto politico, mossa più dalla paura delle elezioni e dall’istinto di autoconservazione che dall’urgenza di fare fronte all’emergenza democratica, manovrata da Renzi e da Grillo e capitalizzata dall’abile neocentrismo di Conte a tutto discapito del Pd, ridotto a portatore d’acqua di un governo trasformista in cui le richieste di discontinuità di Zingaretti sono state subissate dalle rivendicazioni di continuità di Di Maio. Salvini è fuori gioco ma temporaneamente, perché anche dall’opposizione può fare molti danni e perché la svolta a destra che egli incarna si sconfigge nella società e nelle urne, non nelle operazioni di palazzo. Nel medio periodo, il sistema politico resterà instabile e schiavo delle divisioni (e ritorsioni) interne al Pd e all’M5s, e a pagare sarà il progetto di rigenerazione del Pd e della sinistra impostato da Zingaretti e spento sul nascere. Come in altri passaggi della storia politica repubblicana, il Pd-ex Pci-Pds-Ds pagherà con l’estinzione, un’ideologia della responsabilità che copre la sua vocazione ormai esclusivamente governista. Sfortuna, altro che fortuna, della sinistra.
Questi due modi di vedere la nascita del secondo governo Conte sono entrambi presenti nell’opinione di sinistra. A conclusione della quale si può e si deve certo brindare alla cacciata dal Viminale di Matteo Salvini, un capopopolo che del suo ruolo istituzionale abusava senza vergogna a fini neanche tanto velatamente eversivi.
I giuramenti dei ministri sulla costituzione siano stati oggi più affidabili di quelli del governo precedente?
Si era detto da più parti, all’inizio della crisi di governo, che solo una posizione netta del Pd e della sinistra sui danni apportati dall’esperimento giallo-verde alla democrazia costituzionale e allo stato di diritto avrebbe potuto fornire una barra sia nel caso di elezioni sia nel caso di un cambio di maggioranza e di governo. Significava esigere un’autocritica di Conte e dell’M5s sulla piena complicità fornita a Salvini in materia di immigrazione e sicurezza, e più in generale sulla convergenza tra leghisti e penta stellati nell’attacco alla divisione dei poteri e alla democrazia rappresentativa.
Senonché la questione democratica non è stata neanche messa a tema nel corso della crisi, le richieste di discontinuità avanzate da Zingaretti sono state sistematicamente scansate dalle rivendicazioni di continuità con l’operato del governo giallo-verde di Conte e Di Maio. Il ritiro dei decreti sicurezza si è ridotto nel programma alla loro blanda correzione richiesta da Mattarella, e anche sulle politiche sociali l’inversione di rotta appare alquanto peregrina, in un programma che fin nel linguaggio porta il segno dell’egemonia post-ideologica grillina su quello che dovrebbe essere il punto di vista di parte della sinistra. È vero che la composizione del governo, pur risultando dal gioco correntizio delle promozioni e dei veti, sembra alla fine migliore di quello che ci si poteva aspettare, soprattutto nelle postazioni cruciali dei rapporti con l’Europa, dell’economia, del mezzogiorno e delle autonomie regionali. Ma è vero che nel suo complesso il Conte 2 sembra destinato a riprodurre la conflittualità interna del Conte 1, con il Pd che rischia di ritrovarsi nella posizione del guardiano dell’establishment europeo e i Cinquestelle in quella dei difensori delle proprie bandierine.
Il che non sembra preludere tanto a un riordino, quanto piuttosto a un’ulteriore destrutturazione del quadro politico. Della quale probabilmente non sarà la sinistra ad avvantaggiarsi, ma un centro già affollato fra le ambizioni di Conte, le scissioni annunciate di Renzi e Calenda, le contorsioni di quello che resta di Forza Italia. Vogliamo credere intanto che i giuramenti dei ministri sulla costituzione siano stati oggi più affidabili di quelli del governo precedente
Le sfide che dovrà affrontare il nuovo governo Conte
L’Italia è passata dal governo giallo-verde a quello giallo-rosso, un cambiamento che non è soltanto cromatico.
Il grande perdente
Il grande perdente di questo improvviso capovolgimento è Matteo Salvini, leader della Lega che ha provocato la crisi politica credendosi invincibile e che invece è caduto vittima del proprio gioco. Il Movimento 5 stelle, per 15 mesi alleato della Lega, si è infatti vendicato di Salvini formando l’improbabile alleanza di governo con il Partito democratico.
Possiamo credere che la nuova coalizione avrà vita lunga? Difficile dirlo. Fino a ieri i populisti e i socialdemocratici erano avversari su tutti i fronti. Il Movimento 5 stelle è nato nel 2009 per opera del comico Beppe Grillo e sull’onda della rabbia contro la corruzione e l’impotenza della vecchia classe politica, incarnata dalla destra berlusconiana e dal Partito democratico. Ciononostante l’80 per cento degli iscritti al movimento ha approvato l’alleanza attraverso un voto online.
Il contratto di governo stipulato tra i due partiti è estremamente vago
Le due forze politiche si sono ritrovate unite dal pericolo Salvini. L’operazione è riuscita, con l’emarginazione del leader dell’estrema destra. Tuttavia la legittimità della nuova coalizione agli occhi di una sospettosa opinione pubblica sarà vincolata ai risultati del governo e della sua durata.
Pd e Cinquestelle sono attesi su tutti i fronti, dall’immigrazione (tema centrale in Italia) all’economia in piena fase di fermo. Il contratto di governo stipulato tra i due partiti è estremamente vago e le due forze politiche dovranno inevitabilmente imparare a lavorare insieme.
Clima più sereno
Il rapporto tra l’Italia e i partner europei dovrebbe essere più facile rispetto agli ultimi mesi, perché la presenza del Partito democratico può smorzare i timori sollevati dalla precedente strategia conflittuale rispetto alle regole comunitarie sul budget. Anche se l’equazione della terza economia dell’eurozona resta complicata, il clima sarà più sereno.
Una piccolezza, però, stride. Il capo politico del Movimento 5 stelle Luigi Di Maio sarà il prossimo ministro degli esteri, ma non sembra particolarmente portato per la diplomazia.
Nel nuovo contesto si spera che Di Maio possa mostrarsi più diplomatico.
Salvini, nel frattempo, scommette sul fallimento della coalizione. “Il tempo è galantuomo”, ha scritto in un tweet. I giallo-rossi non potranno permettersi passi falsi, perché l’estrema destra è ancora in attacco. (Cfr: Pierre Haski, France Inter, Francia).

Maria de falco Marotta
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