“I vizi e le debolezze del governo democratico” (Alexis de Tocqueville)
(Maria de falco Marotta)...si notano senza fatica, ma le sue qualità non si scoprono che poco alla volta. Quel che è certo è che le leggi della democrazia tendono al bene dei più mentre quelle dell’aristocrazia tendono a monopolizzare potere e ricchezza nelle mani di pochi”, così manifestava Alexis de Tocqueville, filosofo francese vissuto all’inizio dell’Ottocento, al suo ritorno in Francia dal viaggio in America durante il quale aveva potuto osservare usi e costumi differenti dai suoi.
Oggi è evidente che i principi e la governabilità di molti paesi retti da quella particolare forma di governo chiamata democrazia – che è ancora la migliore possibile che abbiamo – sono in crisi (gli ultimi elementi li abbiamo avuti nello scandaloso dibattito seguito nel Parlamento europeo, in cui il nostro rappresentante Presidente del governo italiano, Dott. Conte, è stato chiamato “burattino”). - ne parleremo a parte ndr -
Tocqueville l’aveva già individuato nel saggio La Democrazia in America nella tensione verso l’individualismo e nel trionfo dell’utile economico dato dall’uguaglianza delle condizioni.
Il paradosso individuato da Tocqueville era che l’avanzamento della libertà avrebbe potuto portare ad una degenerazione dei sistemi democratici a causa del sistema rappresentativo della maggioranza. Questo perché il radicamento nella convinzione che solo le decisioni prese con il favore della maggior parte delle persone siano giuste avrebbe potuto degenerare in un possibile senso di onnipotenza, o tirannide, della maggioranza.
“Sotto i regimi assoluti il despota, per raggiungere l’anima, colpiva grossolanamente il corpo, e accadeva che l’anima sfuggendo alle percosse, si innalzasse gloriosamente sopra di esso; ma nelle democrazie la tirannide non procede a questo modo, essa non si cura del corpo, va dritta all’anima”.
La possibilità di ispirarsi al modello americano per le democrazie europee non era dunque senza pericoli: Tocqueville non era tanto “ripugnato dall’estrema libertà che vi regnava, quanto dalla scarsa garanzia che vi si trova contro la tirannide”. E proseguiva: “un uomo o un partito che abbia patito una ingiustizia negli Stati Uniti, a chi può rivolgersi? Non all’opinione pubblica perché essa stessa che forma la maggioranza; non al corpo legislativo perché esso rappresenta la maggioranza e le obbedisce ciecamente; non al potere esecutivo perché è nominato dalla maggioranza e gli serve da strumento passivo; non alla forza pubblica, perché essa altro non è che la maggioranza armata; neppure a un tribunale, poiché è la maggioranza che lo ha investito del potere di pronunciare le sentenze”. Con ciò Tocqueville non intendeva dire che fosse la tirannide a regnare in America ma che le cause della mitezza erano da ricercare nelle circostanze e nei costumi piuttosto che nelle leggi stesse e che il successo della democrazia stava nelle persone illuminate e nelle istituzioni che la interpretavano.
Se da un lato la democrazia rimane un modello di governo le derive estremiste e violente al suo interno portano ad auspicare ad un ri-pensamento e ad una ri-attualizzazione del modello democratico.
Il vizio messo in luce da Tocqueville ne La democrazia in America due secoli fa appare oggi lampante: l’eccesso di democrazia e la tirannide della maggioranza sono delle evidenti strettoie allo sviluppo pacifico e democratico delle società civili contemporanee.
In Italia, risulta evidente che bisogna agire presto per il bene del paese, che- tuttora- non subisce alcun confronto con la sua storia di valori e di persone conosciute nel mondo intero. (Cfr: Alexis de Tocqueville, La democrazia in America, edizione italiana Universale Cappelli 1957, testo pubblicato nel 1835).