Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu,
(Maria de falco Marotta) C’è tale un guazzabuglio nel nostro governo, che sarà difficile che sappiano che cos’è, bisognerebbe almeno leggerlo per mostrare che si è capito per ben governare e- sicuramente- non avere paura di questo o quello. Così ho ripreso tra le mani “De l'esprit des lois” (Lo spirito delle leggi) che è lo scritto più apprezzabile del filosofo francese Montesquieu che gli costò ben quattordici anni di lavoro. Prima di riproporre la sintesi del testo, debbo ricordare che lo studioso pubblicò la sua opera anonimamente nella Ginevra di Jean-Jacques Rousseau, nel 1748. Due volumi, trentadue libri, un lavoro tra i maggiori della storia del pensiero politico, una propria enciclopedia del sapere politico e giuridico del Settecento. Naturalmente, fu posto all’Indice!
Con i droni e tutte le meravigliose scoperte del nostro tempo, forse il Settecento è troppo lontano per i nostri politici e tutta la pletora degli intellettuali che li seguono e danno uno spettacolo indegno in TV, ma quello che è scritto da Montesquieu, vale sicuramente ancora nel nostro tempo e rileggerlo, ci farà ancora del bene.
Possiamo dire che lo studio che il giurista lascia delle istituzioni di popoli diversi e lontani nel tempo e nello spazio ha come intento fondamentale quello di identificare i fini in base ai quali gli uomini si organizzano in forme politiche e sociali originali. Esiste per l'autore un senso per ogni istituzione. Montesquieu vede lo stato come un organismo che tende alla propria autoconservazione, nel quale le leggi riescono a mediare tra le diverse tendenze individuali in vista del perseguimento di un obiettivo comune.
L'arte di creare una società e di organizzarla compiutamente è per Montesquieu l'arte più alta e necessaria, in quanto da essa dipende il benessere necessario allo sviluppo di tutte le altre arti.
Esse devono esser talmente adatte al popolo per il quale son fatte, che è un caso raro che le leggi di una nazione convengano ad un'altra.
Esse devono essere in armonia con la natura e col principio del governo costituito, o che si vuol costituire, sia che lo formano, come fanno le leggi politiche; oppure che lo mantengano, come fanno le leggi civili.
Queste leggi debbono essere in relazione col carattere fisico del paese, col suo clima gelato, ardente o temperato; con la qualità del terreno, con la sua situazione, con la sua estensione, col genere di vita dei popoli che vi abitano, siano essi coltivatori, cacciatori o pastori: esse debbono essere in armonia col grado di libertà che la costituzione è capace di sopportare, con la religione degli abitanti, le loro disposizioni, la loro ricchezza, il loro numero, i loro commerci, costumi, maniere. Finalmente, esse hanno relazioni reciproche; con la loro origine, col fine del legislatore, con l'ordine delle cose sulle quali esse sono state costituite. Noi le dobbiamo considerare sotto tutti questi vari aspetti, ed è appunto ciò che io intendo fare nella mia opera. Esaminerò tutte queste relazioni: esse, nel loro insieme, formano ciò che viene chiamato lo spirito delle leggi.
(Montesquieu, "Lo spirito delle leggi", UTET, Torino, 1974)