GUERRA IN IRAQ: SOLO REPUBBLICANA?

“Harry Reid deve smetterla con i suoi giochi politici” disse recentemente il senatore Lamar Alexander, repubblicano dello Stato del Tennessee. Il commento criticava il tentativo di Reid, leader del Senato americano, di forzare un voto per il ritiro delle truppe dell’Iraq. Come si sa la mozione procedurale richiedeva 60 dei 100 voti al Senato per essere votata e la minoranza Repubblicana è riuscita ad uccidere la proposta. Il voto, in effetti, continua a supportare la politica del presidente Bush nella guerra in Iraq che diventa di giorno in giorno un conflitto sempre più del Partito Repubblicano.

Un sondaggio Gallup del mese scorso rivela che il 71% degli americani favorisce il ritiro delle truppe. Con il vento alle spalle il Partito Democratico sta cercando di seguire la volontà popolare ma la minoranza repubblicana gli mette il bastone fra le ruote. Democrazia in azione? La democrazia funziona con l’idea della maggioranza ma i democratici alla Camera dei Rappresentanti e al Senato si sono rivelati in larga misura inefficienti anche se continuano a provarci per il bene della Nazione ma anche naturalmente per il loro futuro politico.

Nonostante la sconfitta al Senato la lotta per riportare le truppe americane a casa continua. Se i democratici hanno fatto degli sbagli uno dei principali è quello di non avere alzato abbastanza la loro voce contro la guerra e di dipingerla solo con colori repubblicani. In effetti, questa era l’idea di Reid con il recente tentativo di spingere per un voto per il ritiro delle truppe. Nonostante il fiasco politico dei democratici, i repubblicani hanno ironicamente perso perché continuano ad essere identificati come il partito delle guerre sbagliate. Il tentativo di riportare i soldati a casa invece continua a dipingere i democratici come seguaci della volontà popolare e allo stesso tempo come lottatori per salvare la vita dei soldati americani che muoiono quotidianamente.

Naturalmente alcuni repubblicani hanno cominciato ad abbandonare il presidente Bush sentendo già l’odore delle prossime elezioni e la necessità di difendere una guerra che diventa ogni giorno più difficile da giustificare. Persino quegli americani totalmente mal informati da continuare a credere che in Iraq si lotta contro il terrorismo stanno incominciando a non fidarsi delle parole dell’amministrazione Bush.

Ecco perché Olympia J. Snowe e Susan Collins, le due senatrici dello Stato del Maine, hanno aggiunto i loro voti a quelli di Chuck Hagel e Gordon H. Smith, repubblicani del Nebraska e dell'Oregon, rispettivamente, votando per il ritiro. Questi quattro non sono gli unici senatori repubblicani ad esprimere le loro riserve sulla condotta della guerra. Le voci autorevoli di John Warner del Virginia e Richard G. Lugar dell’Indiana si sono alzate recentemente disapprovando la condotta della guerra e chiedendo al presidente Bush di stabilire un piano per il trasferimento delle truppe. Altri senatori americani stanno abbandonando il presidente Bush ma lo fanno in silenzio e naturalmente sperano in un miracolo ma si sa che si tratta di una questione di tempo prima del ritiro.

Il tempo è infatti ciò che sembra interessare di più Bush. Prima del fallito voto al Senato il presidente ha detto che a settembre si rivaluterà la situazione. Le ultimissime voci dicono che si rimanderà tutto a novembre. Il tempo passa e naturalmente Bush non vuole essere identificato con la guerra fallita e farà del tutto per consegnare il problema Iraq al prossimo presidente che diventa sempre più chiaro sarà un membro del Partito Democratico. La patata bollente Iraq sarà dunque risolta dal partito di opposizione e Bush potrà sempre affermare che sono stati i democratici a perdere la guerra in Iraq.

Ironicamente il disastro Iraq sarà la questione politica che consegnerà le chiavi della Casa Bianca ai democratici. A meno che i candidati repubblicani si rendano conto che il macigno Iraq li condanna come si è già visto con la campagna di John McCain, il più grande sostenitore di mantenere lo status quo in Iraq. Quanto tempo ci vorrà finché gli altri candidati repubblicani abbandonino la nave che affonda? Quanto tempo ci vorrà per capire che la vittoria politica corrisponde anche al cammino giusto di salvare la vita di giovani americani e cominciare a ricostruire l’immagine dell’America nel mondo?

Domenico Maceri (x)

(c) (dmaceri@gmail.com), PhD della Università della California a Santa Barbara, è docente di lingue a Allan Hancock College, Santa Maria, California, USA. I suoi contributi sono stati pubblicati da molti giornali ed alcuni hanno vinto premi dalla National Association of Hispanic Publications.

Domenico Maceri
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