TALEBANI: ERRORE USA
 LA STORIA CHE NON INSEGNA
 Historia magistra vitae. (Citazione bis, dopo il terzo articolo
 di questa serie, consultabile su queste pagine).
 La storia, secondo un famoso detto, é la maestra della vita.
 Siccome però il verbo nell'espressione latina é sottinteso,
 capita che la maggior parte traduca al presente. L'esperienza
 suggerisce, controcorrente e contro tradizione di interpretare
 il verbo sottinteso al condizionale.
 In altri termini la storia dovrebbe essere maestra, dovrebbe
 insegnare qualcosa, ma in realtà capita spesso che insegni
 nulla o poco.
 E' il caso degli Stati Uniti nei confronti dei talebani.
NON
 FARE I CONTI SENZA L'OSTE
 Stiamo seguendo in questi giorni a iniziative
 politico-diplomatiche, giuste per carità, per definire il
 quadro afghano post-talebani, cercando una soluzione
 all'intricassimo problema della coesistenza in quel Paese di
 etnie, tribù, gruppi di potere, islamici di un tipo e islamici
 di dieci altri tipi onde riuscire in quell'impresa che fallì
 dopo la ritirata dell'URSS, e cioé dare al Paese un Governo
 stabile di sintesi. Basti pensare ai principali gruppi, e cioé
 che metà della popolazione é Pashtun, i Tagiki
 sono poco più del 20% e gli Hazari poco meno, gli Uzbechi sono
 il 5%.
 La condizione é necessaria ma non sufficiente.
 -Necessaria perché non si può spegnere un fuoco col rischio
 che il
 giorno dopo tante faville si trasformino in altrettanti nuovi
 roghi.
-Non sufficiente per
 una ragione semplicissima: perché si verifichi é
 indispensabile che i talebani vengano spazzati via. E qui, come
 si suol dire, casca l'asino perché, - ulteriori ricorsi alla
 saggezza popolare -, non si devono fare i conti senza l'oste né
 si può vendere la pelle dell'orso prima
 di averlo preso.
 Noi preferiamo come modo verbale da associare alla storia l'indicativo, sapendo però che per tanti vale invece il
 condizionale. Per loro, i più.  malinconicamente si rileva
 che la storia dovrebbe essere maestra di vita.
 Ma la storia é maestra di vita. Se le sue lezioni sono o
 neglette o disattese, il rischio di pagare il conto é alto.
IL
 CASO YUGOSLAVO
 All'indomani delle prime bombe sulla Jugoslavia avemmo modo di
 contestare pubblicamente l'affermazione del Comandante in Capo
 americano, e di moltissimi commentarori di casa nostra, per i
 quali il problema era di far vedere a Milosevic che si faceva
 sul serio. Due o tre giorni di bombardamenti e Belgrado avrebbe
 ceduto.
 La memoria storica oggi é abbastanza un optional ma ci sovvenne
 una esemplare relazione tenuta, quattro o cinque anni prima al
 Lions Sondrio Host dal Vicepresidente sloveno, già Presidente
 degli scrittori yugoslavi. Un'analisi profonda sull'habitus
 mentale dei serbi abituati a trovarsi vittoriosi sul campo e
 perdenti al tavolo delle trattative, e quindi diffidenti di ogni
 trattativa e quindi d'ogni suo rappresentante incline alle
 trattative: Le nostre pubbliche valutazioni dopo quelle
 primissime bombe furono del tutto fuori dal coro, in quanto
 sostenemmo subito che le cose sarebbero andate ben diversamente.
 E così quel Comandante, smentendo se stesso, dovette chiedere
 rinforzi, e poi continuare, e poi chiedere ancora rinforzi, e
 poi passare a maniere più forti, comprese le bombe all'uranio.
 Ce ne volle per ridurre Milosevic alla ragione, e non solo le
 bombe ma in particolare l'atteggiamento del suo tradizionale
 alleato, la Russia, scesa in campo in modo pressante in quanto a
 sua volta incalzata dagli Stati Uniti che avevano in quel
 momento un'arma significativa nei suoi confronti, quella
 economica.
 L'intervento era ineluttabile, ma, con un'analisi preventiva
 più aderente alla realtà, sarebbe stato logico svilupparlo
 conseguentemente in modo diverso, secco e incisivo. Un primo
 momento breve, durissimo, oltre a tutto salvaguardando la
 popolazione civile. Le cose sarebbero andate ben diversamente,
 con tante vittime e tanti danni in meno.
 Errori di valutazione.
IL
 CASO SOMALIA
 Ricordiamo il caso Somalia, conclusosi in modo abbastanza
 fallimentare, con la complicazione dei fortissimi dissensi
 militar-diplomatici tra il Comandante americano e il nostro
 Corpo di spedizione. Reo il Comandante delle forze italiane di
 avere trovato il modo di negoziare, ovviamente non sulla piazza,
 una sorta di modus-vivendi che già di per sé rappresentava un
 passo avanti. Nossignori. Questa via per il Comandante americano
 era sbagliata. I fatti dimostrarono che era quella italiana ad
 essere giusta, era la sua ad essere sbagliata. 
ATTACCHI
 AEREI E...
 Si potrebbero citare altri casi, ma ci fermiamo qui e torniamo
 ai talebani.
 Abbiamo scritto l'8 ottobre scorso, per il primo attacco aereo:
"MINI-ATTACCO
 Tutti, nessuno escluso, hanno parlato di "attacco anglo-americano" ai talebani con una buona dosi di enfasi, senza entrare nelle valutazioni degli stessi dati che stavano emergendo.
 Si é parlato di una cinquantina di missili, in genere Cruise, quelli che volano a quota bassissima, anche 100 metri, con velocità subsonica, e riescono, eludendo i radar, a finire dove previsto con millimetrica precisione. Oltre a questi si é parlato di 40 bombardieri. Destinazione una trentina di obiettivi su un Paese di 652.225 Kmq, più del doppio dell'Italia. La prima notte della Guerra del Golfo ricordiamo che volarono più di mille aerei e un numero imprecisato, ma grande, di missili...
 Le, tutto sommato, modeste dimensioni di questo attacco, quindi "mini-attacco", legittimano l'interpretazione di obiettivi politici prima ancora che militari.
Sotto il profilo bellico infatti il numero risulta palesemente insufficiente anche solo ai fini di neutralizzare la contraerea - la cosa più importante per assicurarsi il dominio assoluto dei cieli -, per non parlare poi di centri strategici, depositi di munizioni, sedi di rifornimenti, centri di comando e via dicendo.
 Nessuno si é soffermato su quest'aspetto che però risulta essenziale per tutte le altre valutazioni che seguono.
 Dal punto di vista militare vi è stato sicuramente un interesse, ma ci vuol altro ai fini strategici per cui è lecito pensare al rilievo politico come dominante della notte afgana scorsa con questi obiettivi:
 1) Agire, prima che il fisiologico calo dell'effetto emotivo per l'orrore dell'11 marzo producesse un calo di tensione soprattutto nei Paesi di frontiera (psicologica e politica, non geografica). Questo anche sul piano interno come dimostrano i sondaggi che hanno indicato la tendenza ad una diminuzione di reattività della stessa opinione pubblica americana
 2) Dimostrare che alle affermazioni, tante nei giorni scorsi, seguono i fatti, e questo su molti versanti, talebani compresi;
 3) Saggiare gli effetti, valutare cioè le reazioni. Non quelle militari, insignificanti, bensì quelle psicologiche e politiche. Quelle dell'integralismo islamico e quelle dei diversi Paesi, misurando in concreto la fondatezza delle dichiarazioni verbali;
 4) Saggiare gli effetti su Bill Laden e i suoi."
 Eppure l'indomani e i giorni seguenti in base a quanto abbiamo
 letto sui nostri giornali o sentito alla TV, i talebani parevano
 in ginocchio. La contraerea spazzata via, i punti nevralgici
 colpiti, secondo qualcuno addirittura i talebani in fuga, gli
 aerei che rientravano con le bombe perché non c'erano più
 obiettivi da colpire.
 Non é che dopo le cose siano andate meglio. Enfasi per
 l'imminente campagna di terra, giorno dopo giorno sempre
 imminente, un po' come il palcoscenici dell'opera ove si canta
 "partiam, partiam", ma nessuno parte e tutti restano
 lì. 
 Oggi addirittura grande enfasi per i 200 marines inglesi pronti
 ad intervenire. Duecento, diconsi duecento, non duemila o
 ventimila, che sarebbero ancora pochi...
GUERRA
 CONCLUSA ENTRO IL RAMADAN?
Qualcuno si é anche
 spinto ad ipotizzare la conclusione della guerra entro il
 Ramadan.
 Il mese di Ramadan e' il nono dell'anno egiriano e l'anno
 egiriano e' lunare, di 354 giorni e sull'anno solare, che e'
 fisso, si sposta in avanti di 11 giorni all'anno. Nel 2001 il
 Ramadan inizia il 17 novembre:
Fine della guerra dunque entro il
 Ramadan. 
 Sì, ma il Ramadan di quale anno?
 Siamo in un Paese dove l'80% della popolazione vive sparpagliato
 in un territorio montagnoso ed anche selvaggio. Nelle
 classifiche dei Paesi del mondo per i vari parametri siamo dal
 170° posto in giù, con un reddito medio annuale di circa
 600.000 lire pro-capite, con un'attesa di vita di 45 anni, con
 l'analfabetismo eretto a sistema (oltre l'80%). 
 Le incursioni aeree possono diminuire l'efficienza delle forze
 militari talebane, privandole dei supporti tecnologici (aerei,
 già distrutti, elicotteri, carri armati, anche parte
 dell'artiglieria pesante), colpendo i depositi di munizioni e
 altro non in caverna ma, come tutti hanno detto, a terra é
 un'altra cosa, u un territorio duecento volte la provincia di
 Sondrio ma molto più montagnoso ancora. Aggiungiamo che un
 conto é distruggere le centrali elettriche in Paesi ad alta
 dipendenza dall'elettricità come il nostro, e un altro conto in
 Paesi arretrati. Un conto distruggere il sistema di
 comunicazioni in un Paese ove i flussi di traffico sono grandi,
 e un altro conto bombardare mulattiere o piste nel deserto.
 Eccetera.
 E si può pensare che le bombe turbino i sonni dei talebani con il loro fanatismo che ha reso peggio che
 schiave le donne, che é arrivato persino a distruggere le
 grandi sculture di Budda sulle montagne, che ha ridotto il
 Paese, già in grande miseria, sotto i limiti minimi di
 sussistenza (anche se i capi viaggiano in lucidissime Mercedes e
 vestono in maniera raffinata), potranno mai cedere?
 Lo hanno anche detto: semmai andremo nelle montagne.
 Chi dunque attende il bis del blitz contro Saddam prende una
 cantonata grossa come una casa.
E quegli americani (e non solo loro) che
 pensano al dopo-talebani a Kabul come se fosse cosa delle
 prossime settimane, al più dei prossimi mesi, meditino la
 storia.
 Chissà infine che prima o poi non la capiscano anche i nostri
 quotidiani e i nostri telegiornali che ogni giorno presentano la
 guerra come se fosse all'ultimo giorno, al più all'ultima
 settimana.
E
 BIN LADEN?
 Potrebbe esserci solo un colpo di fortuna per metter fine alla
 guerra in tempi brevi: metter le mani su Bin Laden, forse nel
 solo caso che si riesca a trovare qualcuno disposto a tradirlo.
 Difficilmente vivo. 
 Da vivo, e tradotto negli USA per il processo, sarebbe un
 perenne invito per i suoi seguaci sparsi nel mondo o per atti
 terroristici o addirittura per rapimenti di personalità onde
 cercare lo scambio.
 Da morto però sarebbe il martire, vittima degli Infedeli.
 Dovesse succedere, ma non é fra le cose più probabili, non
 sarà sotto le bombe degli aerei ma in combattimento ...fra
 afghani.
 ***
 GdS 26 X 01
                         
 
                               
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