Sondrio-Leopoli: 2000 km. I recenti fatti ucraini hanno, finalmente, portato all’attenzione dell’Europa occidentale questa nazione, di cui sappiamo poco o nulla. Qualche dato storico per meglio comprendere le realtà odierne. Un quadro oggi ancora un

Non esistono morti di serie A e morti di serie B

Le polemiche sul film che la RAI sta per trasmettere
sull’argomento Foibe, non lasciano invero ben sperare. In Europa
non sembra si sia ancora compreso che non esistono morti di
serie A e morti di serie B.

Eppure per comprendere la realtà dei paesi dell’Europa
centro-orientale, di quell’Europa che stava “al di là del muro”,
è fondamentale fare i conti con la nostra storiografia che, per
cinquant’anni, anche se non ufficialmente, ha considerato i
morti “buoni” diversamente da quelli “cattivi”. Non solo. Ma si
sente sovente dire che la Shoà fu differente dalle stragi
staliniane. Poiché queste ultime non avevano quale scopo
l’annientamento di un popolo ma furono solo la conseguenza di
durissimi campi di detenzione. Quindi certo condannabili ma non
a livello di quelle del III Reich

Ebbene il caso ucraino non solo mette in discussione molte
nostre consolidate certezze ma pure questa ultima affermazione.
Chiarendo, se pur ce ne fosse bisogno, che Hitler e Stalin
furono i due poli, uguali e paralleli, di un unico criminale
disegno di dominio assoluto e mondiale che sconvolse l’Europa
nel XX secolo.


Notte del 6 gennaio 2005. Per gli ortodossi (quali sono gli
ucraini) è la notte del Santo Natale. Nei Carpazi Selvosi, la
parte ucraina di questa lunga catena di montagne, seduti ad un
tavolo festeggiamo la ricorrenza. Dalla Valtellina, lontana
circa 2000 km, siamo qui giunti in auto, attraverso le
autostrade ungheresi ed austriache; fuori nevica, rendendo ancor
più suggestiva una realtà fatta di grandi boschi e di minuscoli
villaggi dalle case in legno. Al nostro tavolo una coppia di
Kijv con cui discorriamo amabilmente in francese. Lui è un
giudice, lei un’interprete. Tra un argomento e l’altro alla fine
giunge, secca come una fucilata, una domanda “ Perché volete
processare Pinochet e non pensate a Fidel Castro, che non ne ha
ammazzati di meno e che, per di più, ha costretto alla fuga e
all’esilio centinaia di migliaia di suoi concittadini? E perché,
soprattutto, non avete mai pensato che sia giusto ed opportuno
portare alla sbarra quelle migliaia di ucraini e russi, sulla
cui coscienza grava il peso di milioni di morti? ”.

Mi guardo attorno un poco imbarazzato. Cerco una risposta. Non
la trovo. Resto muto e lascio cadere la domanda.

Dovrei spiegare al nuovo amico ucraino, all’uomo di legge che
sta cercando come tanti altri suoi compatrioti di traghettare
definitivamente la sua Patria verso la democrazia, che ancor
oggi, in Europa occidentale, ben pochi sanno di quello che
accadde in Ucraina negli anni bui dello stalinismo. E che da noi
c’è ancora chi inneggia ad un Comunismo di marca sovietica senza
voler ammettere, se non a
mezza voce, le malefatte di un sistema che fu criminale.

Primo dopoguerra: nell’Europa orientale: ancora una volta
l’Ucraina, dopo una effimera indipendenza negli anni 1917-’19, è
di nuovo spartita tra Polonia e URSS, paese che da poco ha
ereditato l’immenso Impero degli Zar. Nell’Ucraina occidentale
polacca, già governata per quasi due secoli dagli Asburgo, è in
corso una “polonizzazione” rude e decisa. Ucraini e polacchi tra
loro hanno avuto per secoli, un contrastato rapporto di
odio-amore.

Ma qualcosa di ben peggiore sta per avvenire nell’Ucraina centro
orientale, quella sovietica. Ciò che è accaduto durante il I
conflitto mondiale ha allarmato Mosca: il sentimento nazionale
ucraino, spinto anche dai rivolgimenti europei e soprattutto dal
rinascere delle nazionalità in quello che fu l’Impero russo, si
è dimostrato vitale e pericoloso. In effetti tale nazionalismo è
più attivo nell’Ucraina occidentale ma è pur sempre forte anche
in quella centro orientale; ove si appoggia tra l’altro su un
ceto di piccoli proprietari già invisi, di per se stessi, al
regime.

La decisione è presa: bisogna stroncare il rinascente
nazionalismo ucraino e - prendendo due piccioni con una fava -
anche la testarda resistenza di questi piccoli proprietari.

Non mancheranno esecuzioni e massacri ma il metodo scelto da
Stalin è raffinato e, nella sua perversione, sicuro e
silenzioso; tanto che lascerà scarsissime tracce. Pochi sapranno
e molti di quelli che hanno saputo potranno far finta di nulla.

Il sistema è semplice: apposite Brigate, organizzate dalla
Polizia Segreta o dai Movimenti Giovanili, rastrellano fino
all’ultimo chicco di grano e fino all’ultima patata. Chi resiste
è eliminato: è un nemico del popolo, è un affamatore del
proletariato!

Si procede in tal modo per parecchio tempo, provocando una
carestia di dimensioni apocalittiche. I contadini muoiono
letteralmente di fame. Interi villaggi spariscono: solo morti. I
casi di cannibalismo non si contano più. Si racconta di un alto
Ufficiale della Polizia Segreta che, evidentemente spinto da una
coscienza personale non ancora soffocata, si fece saltare le
cervella pur di non dover assistere e provocare altri massacri.

Quanti furono i morti? La conta non fu mai fatta. Mosca aveva
tutto l’interesse a far sparire le tracce del crimine. Per gli
ucraini non vi vu mai la liberazione del campo di Auschwitz: il
Mondo non seppe o, peggio, poté far finta di nulla.

Per dare un’idea di quella che fu La Grande Fame in Ucraina,
basti pensare che fonti occidentali stimano da 1 a 6 milioni di
morti; le recenti fonti ucraine da 4 a 9 milioni di morti.

Sta di fatto che fu un’ ecatombe che troncò ogni velleità di
nazionalismo e resistenza nell’Ucraina centro orientale. Tanto
più che Stalin provvide a sostituire molti dei morti con russi
ed altri popoli dell’Impero.


Tutto ciò fortunatamente fu risparmiato all’Ucraina occidentale
ove la cultura locale, se pur con difficoltà, poté quindi
sopravvivere.

E spiega assai bene perché oggi l’Ucraina appaia profondamente
divisa: un oriente filo-russo e non molto propenso alla
democrazia di tipo occidentale ed un occidente che guarda verso
ovest con tutte le sue forze.


Per concludere un’osservazione di speranza: siamo stati in
Ucraina per la prima volta nell’estate 2003. L’abbiamo visitata
in larga parte, da Kijv alla Crimea, dai Carpazi a Odessa,
osservando difficoltà, contraddizioni ma anche aspettative.

La pacifica “rivoluzione arancione”, che ha travolto la vecchia
classe politica, spingendo potentemente il paese verso
occidente, ha meravigliato tutti, ucraini compresi. Ma ritornati
in Ucraina, nell’inverno 2004-05, abbiamo osservato, in un anno
e mezzo, grandi passi in avanti.

L’iniziativa privata, che piaccia o no a taluni vetero marxisti
nostrani, è il motore della piccola e media impresa, è in pieno
sviluppo con una miriade di iniziative. Qui sorge un motel, là
una fattoria. A nuovi modernissimi distributori di benzina, si
contrappongono centri commerciali rigurgitanti di merci. I
negozi di abbigliamento incominciano ad arrivare anche nei
centri medio piccoli e le agenzie di viaggio propongono agli
ucraini mete che per decenni furono vietate dal regime. Sulle
montagne a migliaia si accalcano intorno a impianti di risalita,
forse non modernissimi, ma che bastano a fare assaporare agli
ucraini il piacere del fine settimana sulle nevi. Un po’
dappertutto nuove chiese, segno di una fede che il regime non è
riuscito ad annullare e numerosi monumenti all’UPA, l’armata
partigiana che, dopo i tedeschi, combatté l’esercito sovietico
sino al ‘56/’57!

Certo, molto resta ancora da fare; ad esempio decidere che fare
della imponente industria pesante che, oltre all’inquinamento,
produceva armamenti che oggi è difficile smerciare. O
modernizzare una rete stradale che mostra chiaramente il
disinteresse di Mosca per i collegamenti tra i popoli
sottoposti. Ma la speranza cresce.


Viaggiare in Ucraina oltre che piacevole, poiché si entra in
contatto con un popolo cordiale e gentile, è anche indubbiamente
istruttivo: si scopre l’altra faccia di un Europa restata troppo
a lungo nascosta e taciuta.


L’UE tende, inspiegabilmente, a “chiudersi” verso i Paesi, pur
europei, restati “fuori”. Così è necessario il visto, per
entrare in Ucraina. Visto che, in Italia, si deve richiedere
all’Ambasciata (a Roma) od al Consolato Generale (a Milano).

Pare che “l’invito” di un’agenzia non sia più necessario … ma,
in ogni caso, meglio procurarselo.

Noi abbiamo utilizzato, nei nostri 2 viaggi, con ottimi risultati,
la
"MEEST-TOUR" (che ha personale che parla inglese e pure italiano)-
Ukraine, Lviv (Leopoli), Shevchenka ave, 34

tel (+38 0322) 97-08-52 -
e-mail: office@meest-tour.com
www.meest-tour.com
Nemo Canetta


GdS 10 II 2005 - www.gazzettadisondrio.it

Nemo Canetta
Politica