NAZIONE E NAZIONALITA'

di Alberto B. Mariantoni

Contrariamente a quanto pensa
o crede attualmente la maggior parte degli Italiani, degli
Europei e delle altre popolazioni del mondo, appartenere ad
una «Nazione» e, di conseguenza, potere vantare, esibire o
reclamare una qualunque «Nazionalità», non significa affatto
(ed, in tutti i casi, non solo…) essere in grado di poter
vantare, esibire o reclamare un passaporto o una carta
d’identità. Tanto meno – come molti hanno impropriamente
incominciato a pretendere a partire dalla Rivoluzione
francese (1789) – decidere di riconoscersi o d’identificarsi
nei principi e nei valori di una qualsiasi forma di Stato o
di Governo. Meno ancora, accettare d’inserirsi, d’integrasi
o d’assimilarsi all’interno di un qualunque corpus
nazionale, dopo essersi trasferito ed insediato, avere
risieduto almeno sei anni o più, onestamente lavorato,
rispettato le leggi, non commesso reati e regolarmente
pagato i contributi e le tasse sul tradizionale e storico
territorio di quest’ultimo.


La parola «Nazione», infatti - dal latino «natio, nationis»
(nascita, estrazione naturale), a sua volta scaturito dal
participio passato del verbo «nascor, nasceris, natus (a, um)
sum, nasci» (nascere, essere generato; derivare, discendere)
che, a sua volta ancora, aveva preso origine dall’arcaico «gna-scor,
gna-sceris, gna-tus (a, um) sum, gna-sci», dalla cui radice,
«gen» / «gna» (ger, na), si erano formati i vocaboli «genitalis,
e» (genitale, riguardante la generazione, la nascita), «genitor,
genitoris» (colui che procrea, genitore, padre, origine,
causa), «genetrix, genetricis» (genitrice, madre), «gens,
gentis» (famiglia, casato, razza, popolo), «genus, generis»
(stirpe, schiatta, lignaggio), ecc. - è irrefutabilmente
legata all’idea di nascita, di procreazione, di famiglia.


Non per niente, Marcus Tullius Cicero o Cicerone in «De
officiis» - a proposito della «Familia» (ceppo e ramo della
«Gens») e del suo ruolo all’interno della societas romana -
parlava di «principium urbis et seminarium reipublicae»
(origine della città e vivaio della repubblica). Ed il
giurista Herennius Modestinus o Erennio Modestino (allievo
di Ulpiano e consigliere dell’Imperatore Alessandro Severo),
in «De ritu nuptiarum» (III° sec.), concepiva la Famiglia
come «consortium omnis vitae» (unione di tutta la vita).


La «Nazionalità», dunque, è piuttosto una constatazione, una
riprova ed una conferma di ciò che effettivamente e
realmente si è in natura. E la «Cittadinanza» (dal latino, «Civitas,
Civitatis» che designa l’insieme dei «Cives» o dei
Concittadini) è la titolarità politica, sociale e culturale
di quei particolari diritti ed obblighi che derivano da
quell’iniziale e specifica constatazione, riprova e
conferma.


Identico riscontro, nella Grecia antica.


Anche se il rapporto semantico che il greco antico tendeva
ad istituire tra «Polis» (Città) e «Politès» (Cittadino), è
praticamente l’inverso di quello che la lingua latina
stabiliva tra «Civis» e «Civitas», nella realtà di tutti i
giorni si poteva senz’altro assistere ad identici scenari ed
a medesimi effetti.


Come nella «Civitas» romana, infatti, anche nel contesto
della «Polis» greca era ugualmente impensabile che non si
potesse fare una netta ed incontrovertibile distinzione tra
il cittadino autoctono, il meteco , l’ospite straniero ed il
“ barbaro” ; tra l’uomo libero, il servo e lo schiavo ; tra
il cittadino e il non-cittadino; tra il buon cittadino ed il
cattivo cittadino; tra il cittadino naturalizzato , l’ex
cittadino (colui, cioè, che era decaduto o che era stato
privato della sua cittadinanza ), il cittadino proscritto e
quello ostracizzato .


Quel particolare modo di concepire e di vivere la società
suggeriva inequivocabilmente che coloro che appartenevano ad
uno stesso ceppo consanguineo (genos) o ad una stessa
origine storico-culturale (phratrìa) potevano più facilmente
costituire una comunità omogenea e concorde (omonoia),
instaurare tra di loro un sincero rapporto di amicizia (philia),
consolidare la loro unità attraverso la pratica quotidiana e
reciproca del senso dell’onore, del dovere e del sacro (aidos)
e perseguire mutuamente ed efficacemente uno stesso scopo (telos).


Il contrario, cioè, di quanto oggi ci è dato di constatare
all’interno delle nostre società.


Come fare, allora, per riaffermare e ristabilire con forza e
determinazione il significato ed il senso della parola
«Nazione» e l’importanza ed il valore che sono legati al
reale vanto ed all’effettivo esercizio della «Nazionalità»?


Purtroppo, non possiamo riprodurre le condizioni che furono
a suo tempo sperimentate e vissute dai nostri antenati, per
la semplice ragione che les passages et les brassages de l’histoire
hanno inesorabilmente imbastardito e definitivamente
degenerato (dal latino, «degenerare», derivato di «genus,
generis», con «de» che indica allontanamento) ogni forma
d’omogeneità etnica o razziale.


Che fare, dunque, per tentare di ridare chiarezza e di
restituire comprensibilità e valore ai concetti di «Nazione»
e di «Nazionalità», e quindi essere in grado di potere
validamente e concretamente contrastare le insidiose e
devastanti nozioni di cosmopolitismo (dal greco, «kosmopolitès»,
composto di «kosmos», mondo, e di «politès», cittadino), di
globalizzazione e di mondialismo?


A mio giudizio, è necessario - se non addirittura
indispensabile e doveroso - fare quadrato attorno
all’inalienabile e sacrosanto concetto di «Popolo-Nazione».


Naturalmente, per «Popolo-Nazione» non dovremo affatto
intendere una società razziale intesa nel suo senso
strettamente biologico, ma un corpus politico, sociale e
culturale inteso nel suo senso storico: un corpus, cioè, che
nel corso della storia, è riuscito senza alcun dubbio ad
assumere dei caratteri distintivi e peculiari che gli
permettono inequivocabilmente e sicuramente di distinguersi
e di differenziarsi da altri «Popoli-Nazione», da altre
«società» e da altre «culture».


Come sottolinea giustamente Julien Freund, «un popolo resta
quello che è, fino a che riesce a conservare il sentimento
di formare un’unità individuale e singolare» .


A noi, dunque, di operare e di agire alacremente e senza
indugi, affinché quella conditio sine qua non possa
finalmente e nuovamente personificarsi!

Alberto B. Mariantoni


GdS 28 XI 03  www.gazzettadisondrio.it

Alberto B. Mariantoni
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