MONDO ARABO, QUESTO SCONOSCIUTO
Fra le e-mail
arrivate al giornale qualche giorno fa ci aveva incuriosito la
presentazione del sito
www.aljazira.it.
Dopo averlo visitato abbiamo risposto proponendo il tema
oggetto di questo articolo, pervenuto in tempo rapido, e che
pubblichiamo subito in quanto lo riteniamo un utile contributo a
capire.
Ci era venuto in mente Vittorio Beonio Brocchieri. Venuto a
Sondrio per una conferenza del CID, primi anni settanta in piena
guerra fredda fra Est ed Ovest, lo scrittore ci aveva richiamato
il problema della lingua. In Russia - diceva - si studiano tutte
le lingue occidentali e così l'amplissima letteratura
scientifica dell'Occidente é a disposizione. Non succede
l'inverso, perché quasi nessuno studia il russo (o il cinese).
Succede lo stesso ora per l'arabo, nonostante la sua diffusione
e, aggiungiamo, l'importanza di capire una cultura che per molti
versi condiziona anche la nostra vita.
La conoscenza é importante. La conoscenza corretta, non quella
che aveva creato l'immagine, ad esempio, del "feroce Saladino",
che in realtà era tutt'altra figura rispetto a quella dipinta e
personaggio certamente di maggiore cultura e raffinatezza
rispetto a tanti Crociati...
Ringraziamo Galoppini del suo contributo, e, comunque, il
dibattito é aperto (NdD)..
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PERCEZIONE ARDUA
Raccogliendo il cortese invito del direttore della “Gazzetta di
Sondrio” a scrivere un articolo sull’annosa questione della
nostra lacunosa conoscenza del mondo arabo, non faccio mistero
di aver avvertito una certa preoccupazione, dopo tutto quel che
è stato detto e mandato in stampa dopo il fatidico 11 settembre.
Preoccupazione di scrivere banalità, perché passata la buriana
degli attacchi all’arma bianca di coloro che avrebbero voluto
veder “ristabiliti i diritti della Civiltà”, quali che fossero
gli obiettivi da castigare (per non parlare dei metodi), si è
pian piano tornati a ragionare, ma vergare una serie di
considerazioni non di maniera, e che non tributino il consueto
ossequio a quel bon ton rassicurante che caratterizza la maggior
parte degli interventi sul tema della nostra percezione del
mondo arabo, resta ancora impresa assai ardua.
I LIMITI DELL'ORIENTALISMO
E...DEI LETTORI
L’Europa ha sviluppato un’apposita branca del sapere per venirne
a capo, l’orientalismo. Sviluppatosi e giunto all’apice delle
sue fortune quando il mondo arabo era controllato più o meno
direttamente sotto forma di colonie, protettorati, mandati. La
ragion d’essere dell’orientalismo non va perciò disgiunta da
obiettivi pratici, in primis quello di fornire un’immagine
rassicurante e controllabile dell’Oriente, ma nella sua fortuna
come genere va rintracciata anche un sincera e naturale
curiosità verso un mondo diverso e perciò attraente.
E anche oggi gli scritti degli esperti sono l’obbligato viatico
per la maggior parte di coloro che intendono farsi un’idea sul
mondo arabo. Da questo punto di vista ce n’è per tutti i gusti:
nella produzione degli arabisti sono individuabili infatti
differenti impostazioni, che spaziano dall’appello a far
quadrato contro un imminente invasione di sempiterni “saraceni”
alla melensaggine di coloro che si ostinano a vedere il mondo
come un immenso “villaggio globale”, dove le specificità
culturali si stempererebbero in nome di un’illusoria “religione
dell’umanità”. In mezzo stanno gli approcci più credibili, pur
tuttavia inevitabilmente condizionati dalle preferenze e dalle
personali idiosincrasie dei singoli studiosi. Ciò è del tutto
normale, dato che quot homines, tot sententiae.
Ma il problema è che nel 99% dei casi, per un’inveterata
abitudine a circondarci di immagini consolatorie e fortificanti,
finiamo per abbeverarci a quelle fonti che intuiamo o, peggio,
sappiamo già corrispondere alle nostre personalissime preferenze
e idiosincrasie. Il risultato è dunque che - come per tutto il
resto - si ingenera un perverso circolo vizioso per cui si
leggono solo coloro che del mondo arabo ci danno un’immagine che
non urti le nostre sensibilità. Tanto per non restare nel
generico, diciamo che se arabi e musulmani ci preoccupano
seriamente corriamo in libreria a procurarci l’ultimo pamphlet
in “stile Lepanto”, mentre se con l’immigrazione di arabi di
religione islamica nutriamo la neanche troppo recondita speranza
che essa stemperi la supremazia del cattolicesimo, ci tufferemo
nelle pagine del sociologo “progressista” di turno.
Invece, per non far torto a nessuno, e perché è bene sentire
davvero tutte le campane (soprattutto quando si tratta di “farci
un’idea”), proporrei a chi non ha la possibilità di recarsi in
loco e di acquisire elementi di prima mano, di leggere autori
quanto più disparati per orientamento e sensibilità, anche se a
pelle possono risultarci antipatici.
SEMPLIFICAZIONI
E "SPAURACCHIO ISLAMICO"
Tuttavia, quella che dovrebbe costituire un’aurea regola pare
esser ignorata soprattutto da quegli ambienti che si sono presi
l’incarico di agitare lo “spauracchio islamico”: per essi gli
arabi, per lo più musulmani, “sono essenzialmente fanatici e
massacrano i cristiani”. Deroghe e sfumature a quest’assioma non
sono ammesse.
La condizione dei cristiani in ambiente a maggioranza islamica
varia naturalmente da paese a paese, se non da zona a zona di
uno stesso Stato. E non è una gran prova di abilità dialettica
opporre obiezioni estrapolando un lotto di cosiddetti “Paesi
musulmani estremisti”, ciò rivelandosi un mero artificio
retorico che come un boomerang potrebbe essere rispedito al
mittente: c’è qualcuno che può sensatamente sostenere che il
Paese in cui i più osservano i precetti della Quaresima sia un
“Paese cristiano estremista”?
Una certa responsabilità nella genesi di questo tipo di
semplificazioni va a mio avviso attribuita all’impostazione
prevalente negli studi specialistici di cui sopra. Procedendo
per grandi categorie, essi hanno creato la figura di un
cosiddetto “musulmano”, uguale dal Marocco al Borneo, immerso in
un universo tolkienianamente plasmato dal Corano. Si è formata
quindi l’idea che non esistano persone uniche, originali,
irripetibili: vi sarebbe solo una “Grande Madre dell’Islam” che
- dati demografici alla mano - genera “musulmani” archetipici
che presto o tardi ci sottometteranno. Con questo non vogliamo
dire che tra le popolazioni che nell’Islam si identificano non
siano rintracciabili dei tratti comuni e, in una certa misura,
unificanti (ma gli arabi non sono tutti musulmani, e gli arabi
musulmani sono una minoranza all’interno della cosiddetta umma -
comunità dei credenti - islamica). Ma per problematizzare,
preferisco ricorrere all’esperienza personale, impareggiabile
maestra, e far parlare situazioni reali e persone in carne ed
ossa incontrate in un paese arabo, la Giordania.
ESPERIENZE E GENERALIZZAZIONI
Per onestà intellettuale dico subito che al momento non sono un
cristiano osservante, e che a mio avviso per essere “buoni
cristiani” non ci si può arrampicare sugli specchi argomentando
che ciascuno fa il cristiano a modo suo. Ci si regoli come si
vuole, ma chiamiamo le cose col loro nome.
Dunque in Giordania il Natale non solo non viene osteggiato
poiché laggiù vive una rilevante comunità cristiana (che vede
cattolici, evangelici, ortodossi, copti), ma addirittura - in
ossequio ad una moda prettamente consumistica - incoraggiato
negli ambienti di quella che potrebbe essere definita “borghesia
emancipata”. Si vedono così MacDonald's ed altri luoghi dove si
veicola la cultura che “emancipa”, appunto, belli addobbati a
festa, compresi i Babbi Natale alle pareti. E aggiungiamo che
queste cose accadono persino nei pressi della moschea
dell'Università. I giordani musulmani che stanno al gioco sono
naturalmente quelli che già hanno rescisso alcuni legami con le
loro tradizioni religiose: non assolvono l'orazione e osservano
il digiuno di Ramadan a volte sì a volte no.
Vi sono tuttavia anche dei musulmani osservanti che non hanno
niente da ridire riguardo a questa ostentazione di simboli
natalizi che sinceramente ha lasciato perplesso anche me, perché
vi ho ritrovato gli aspetti peggiori di un certo nostro clima
natalizio, che a tutto ormai invoglia tranne che alla
riflessione e al raccoglimento in se stessi. Altri musulmani si
sorprendono che la religione cristiana si presti a delle
commistioni così pesanti con faccende che di religioso hanno ben
poco. E poi ci meravigliamo dell'Islam che “non distingue il
foro interno dall'ambito pubblico”...
Nel residence per studenti in cui alloggiavo ad Amman, abitavano
anche due fratelli cristiani di Nazareth. Le due famiglie che lo
gestiscono sono composte da musulmani osservanti (uno dei
capofamiglia ha compiuto il pellegrinaggio alla Mecca
un’infinità di volte), il che non significa “fanatici”, come
purtroppo qualcuno vorrebbe insinuare: sono ligi alle
prescrizioni della loro religione, punto e basta, e di gente
così, tra gli arabi musulmani ce n'è fortunatamente ancora
parecchia. Diciamo “fortunatamente” perché abbiamo operato il
confronto con vari “emancipati”, e va detto che quanto ad
affidabilità e serietà negli impegni presi si nota la
differenza, anche se è ovvio che si trovano ottime persone anche
tra i “fedeli tiepidi”.
Ma vediamo il loro atteggiamento verso i due fratelli cristiani
di Nazareth. I proprietari musulmani del residence li portavano
come esempio da seguire, al confronto con diversi musulmani
“figli di papà”, loro ospiti, mandati lì a studiare dai Paesi
del Golfo. Questi non solo si lasciavano andare ad ogni sorta di
amenità come se avessero “scoperto la vita”, ma davano inoltre
parecchi pensieri ai suddetti proprietari quando si trattava di
saldare, ad esempio, il canone dell'affitto o il conto delle
telefonate che immancabilmente sostenevano di non aver fatto.
Facevano dunque una ben magra figura di fronte a dei
correligionari, i quali preferivamo mille volte i due fratelli
cristiani.
Un giorno, uno dei proprietari mi chiese, sperando in una
risposta affermativa, se stessi osservando la Quaresima come i
due di Nazareth, ed io, un po’ imbarazzato perché avevo
cominciato ad entrare nel loro modo di vedere le cose - filtrato
attraverso l’ottica religiosa -, dissi la verità e risposi di
no. In quel momento le mie quotazioni, poi ‘risollevatesi’, ai
suoi occhi erano cadute a picco come quelle del tipo di quella
réclame che le imbrocca tutte con la ragazza salvo poi sfoderare
l’inelegante “pedalino”!
E citiamo un altro episodio. Alcuni giorni prima del Natale del
1998, assistetti ad una festa di tarânîm (canti) presso il
teatro della chiesa evangelica di Amman, dove mi regalarono una
versione del Vangelo in arabo e inglese. Lì non ho visto
cristiani assediati da una folla musulmana malintenzionata. Si
potrebbe discutere sul fatto che la diffusione del
Protestantesimo può rappresentare una strategia da “cavallo di
Troia” attuata dagli Stati Uniti, ma questo ci condurrebbe
troppo lontano. E, specularmente, non è escluso che alcuni
perseguano davvero, attraverso la da‘wa (l’appello all’Islam a
fini di proselitismo) finanziata con i petrodollari, una
strategia di islamizzazione dell'Europa. Nell’economia del
discorso che stiamo sviluppando però, l'importante è che nessuno
stesse minacciando quei cristiani arabi di alcunché. In una
città in cui è normale ascoltare le campane delle chiese copta e
ortodossa e su, al Jebel Luwaybdeh, anche quelle della chiesa
cattolica.
Potrei continuare a raccontare alcune piccole esperienze
personali, come gli inviti a condividere l'iftâr (il pasto con
cui ogni giorno si “rompe il digiuno” di Ramadan) assieme a
degli amici musulmani arabi, malesi, turchi, malgrado non fossi
affatto a digiuno dall’alba. Personalmente, consiglio vivamente
di accettare, qualora se ne presentassero, inviti di questo
tipo. Per una sorta di eterogenesi dei fini assolutamente
incomprensibile per chi vede le cose solo in un’ottica
conflittuale, ho ricavato da situazioni come questa anche motivi
per interessarmi più di quanto non avessi fatto prima ad alcuni
aspetti del Cristianesimo.
GENERALIZZAZIONI E SCONTRO DI CIVILTA' -
In questi piccoli episodi, a mio avviso, sono racchiusi dei
preziosi insegnamenti. Essi dimostrano l’esatto contrario di
quello che i cantori dello scontro di civiltà salmodiano dalla
mattina alla sera. Quei musulmani, con nomi, volti, storie - non
i “musulmani” degli orientalisti o di quelli che credono di
rendere un servizio alla nostra “civiltà” tacciando di
“barbarie” gli altri -, sarebbero stati ben felici di avere tra
i loro ospiti un “buon cristiano”. Altro che intolleranza verso
i cristiani. Se non si trova il tempo di raccontare neppure una
di queste brevi esperienze, come si fa a discettare su come “i
musulmani” ci vorrebbero sistemare? E bisogna anche osservare
che se non si hanno da raccontare episodi così semplici eppure
tanto densi di significato dopo anni che ci si occupa di arabi e
musulmani, forse con quelle realtà ci si è sempre posti male.
Dunque, attenzione alle generalizzazioni. Ma chi è senza peccato
scagli la prima pietra! Diverse volte mi è capitato di vedermi
iscrivere d’ufficio in qualche categoria bella e confezionata
per la demonizzazione senz’appello. Come dimenticare quello
yemenita che mi catechizzava con fare arrogante come se fossi un
alieno, un essere perverso, esponente di un mondo di dissoluti?
Oppure quell’altro sbruffone, convinto che le donne in Europa
sono tutte delle poco di buono. Ad ogni modo non spetta a noi
allestire il corrispettivo del nostro orientalismo,
l’“occidentalismo”, né spetta a noi fare vela per l’Oriente per
imporvi un Corano glossato e sfrondato ad usum delphini. Che
ciascuno, se ne sente la necessità, lavi i suoi “panni sporchi”
a casa propria.
CHE
FARE?
Noi, nel nostro piccolo, possiamo intanto cominciare a porci
delle banalissime domande, che sono poi quelle che stanno alla
base dell’idea di dar vita a
www.aljazira.it, un sito internet che propone articoli
tradotti dalla stampa araba.
1) Perché gli inviati in Medio Oriente non conoscono
l’arabo?
2) Perché non vengono acquistati, tradotti e trasmessi alcuni
ottimi reportage prodotti dalle migliori tv arabe?
3) Perché i canali destinati alla diffusione non stop di musica
non propongono anche della musica araba?
4) Perché veniamo edotti su tutte le mode e i pettegolezzi che
circolano a New York, Londra e Parigi e nessuno mai raccoglie
analoghi spunti dalla varia umanità che abita il mondo arabo?
5) Perché la lingua araba è esclusa dalle scuole superiori e
anche a livello universitario spesso la si insegna secondo
schemi più adatti a lingue morte e sepolte?
6) Perché si ascoltano lamentele sulla penuria, nei media, di
persone in grado di tradurre dall’arabo, mentre chi è davvero in
grado di farlo deve sudare le proverbiali sette camicie per
trovare una porta aperta?
Per non dilungarmi, azzardo un’ipotesi, sulla scorta della
situazione che mi trovo ad osservare, quella appunto
caratterizzata dalla mania di generalizzare. Forse, affrontare
seriamente i punti che ho elencato romperebbe l’incantesimo in
cui ci troviamo, tutto qui.
La mia speranza è così quella di aver apportato alcuni elementi
utili di riflessione e poche certezze, anche se, non mi
stancherò mai di ripeterlo, un conto è leggere un libro, i vari
rapporti sulla libertà religiosa nei Paesi a maggioranza
islamica, assistere ad un sia pur utile programma
d’approfondimento, un altro andare a verificare di persona e
vivere qualche esperienza.
E siamo onesti, non tiriamo in ballo la “barbarie”, il “Medioevo
islamico”, le scuole coraniche, le donne oppresse, i bambini
poveri, il business della droga eccetera per giustificare delle
guerre, legittime per carità dal punto di vista di chi le
conduce, ma che mai vengono intraprese per risolvere delle
questioni prese unicamente a pretesto per scatenarle.
Enrico Galoppini
GdS 5 III 01
OC-GdS5: Attenzione alle persone anziane. C'è anche qualcuno che attraversa all'improvviso, magari dopo aver guardato verso di noi e visto che l'auto arrivava.
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