Guerra. "Vinceremo". E intanto ecco chi farà parte del nuovo Governo irakeno. E adesso l'Europa deve fare prima l'autocritica e poi verificare se esiste
LA PAROLA D'ORDINE
Più volte al giorno si è sentita, da Bush in giù, ripetere
una parola d’ordine “vinceremo”.
Si perdoni il paragone, ma facciamo l’ipotesi che venisse
istituita una Coppa Lombardia con la partecipazione di 1576
squadre, una per ognuno dei Comuni della Regione, e dovesse
esserci l’incontro Sondrio-Inter. Immaginiamoci l’allenatore
interista Cooper che giorno dopo giorno continua a ripetere
“A Sondrio vinceremo”, naturalmente schierando in campo
tutti gli altolocati titolari. E poi il proclama trionfale
della domenica pomeriggio: “Abbiamo vinto!”.
La prima potenza economica e militare del mondo, con il
dominio assoluto del cielo, con una supertecnologia
soverchiante rispetto agli irakeni, paragonabile alla
Legione romana alle prese con eserciti a piedi nudi e armati
di bastone e fionde, come mai ha bisogno di questo treking
autogeno, di questo autocondizionamento, di questa – per
dirla in linguaggio corrente – “autogasatura”=.
Qualcuno dice perché rimorde la coscienza. Qualcun altro
perché l’ondata di dissenso mondiale, imprevista nelle sue
dimensioni, anche questa come parecchio del resto, e non
certamente catalogabile, salvo ristrette frange, come
strumentale o “di sinistra” o antiamericana per partito
preso, aveva lasciato il segno.
Sulla vittoria finale non ci poteva essere il minimo dubbio,
data la sproporzione di forze in campo che noi abbiamo
sinteticamente documentato con la elencazione degli scarsi e
poco efficienti strumenti bellici a disposizione dell’Irak.
Resterà comunque nella storia che doveva essere una
guerra-lampo e non lo è stata (almeno rispetto alle
ottimistiche previsioni del Pentagono alla vigilia, e se le
cose hanno preso un diverso corso non a caso ciò è avvenuto
dopo il primo incontro tra Bush e Blair a Camp David quando
era chiaro che bisognava cambiare registro), doveva esserci
il collasso immediato del regime e non c’è stato, doveva
esserci la fuga e la resa degli irakeni e non c’è stato
nulla di tutto questo, doveva esserci la rivolta delle
popolazioni locali, in particolare degli Sciti (il ministro
inglese Cook, dimessosi subito, ha rivelato che era stato
assicurato che cinque minuti dopo l’inizio delle ostilità ci
sarebbe stato il golpe con il rovesciamento di Saddam), e
non c’è stata, doveva esserci il trionfo della precisione
chirurgica senza vittime civili e questa precisione non c’è
stata.
Doveva essere la liberazione dell’Irak con l’accoglienza di
folle festanti ed è stata invece invasione.
Doveva essere vittoria e vittoria è stata, ma non quella
trionfale indicata alla vigilia ma una vittoria grondante
sangue, tanto.
Ricordiamo la presa di posizione del Vaticano del 18 marzo:
“Chi decide che sono esauriti tutti i mezzi pacifici che il
Diritto Internazionale mette a disposizione, si assume una
grave responsabilità di fronte a Dio, alla sua coscienza e
alla storia”.
IL GOVERNO IRAKENO
Capo del Governo il generale Garner, affiancato
dall’Autorità militare.
23 Ministri, soggetti all’OK del Segretario di Stato alla
Difesa, Donald Rumsfeld.
Timothy Carney Ministro dell’Industria; Robin Raphael
Ministro del Commercio, Kenton Keith Ministro degli Esteri.
Una donna, lex ambasciatrice nello Yemen, Barbara Bodine,
Sindaco di Bagdad. 23 Ministri, tutti americani, ciascuno
dei quali con quattro irakeni come “consulenti” da scegliere
con un dosaggio fra gli ex oppositori di Saddam.
Ci sarà un Governo a Bagdad, a stelle e strisce e senza
l’egida dell’ONU. Se andrà avanti la linea dei falchi non ci
si meravigli se qualcuno in Irak comincerà – e sarebbe un
disastro – a rimpiangere Saddam!
L’EUROPA
Si è ancora una volta dimostrato che abbiamo un’Europa delle
economie ma non abbiamo l’Europa politica. I nodi sono
venuti clamorosamente al pettine, proprio alla vigilia del
semestre di Presidenza italiana. Per inciso l’attuale era il
semestre di Presidenza greca. Chiunque ha potuto notare,
senza farne una colpa al Premier ellenico, che il criterio
della rotazione se soddisfa tutti gli Stati membri, anche i
minori, non offre quelle garanzie di maggiore autorevolezza
che verrebbe da una Presidenza affidata agli Stati-leader o
comunque anche ad altri ove la personalità del Capo del
Governo sia tale da conferirgli un’autentica statura
internazionale.
Sul tavolo ci sono problemi irrinviabili. Tutti puntano lo
sguardo nella direzione di un riavvicinamento delle
contrapposte posizioni così clamorosamente manifestatesi.
Certo, si tratta di un tema prioritario, ma prima ce n’è un
altro, propedeutico.
Va chiarita cioè la posizione inglese, con una gamba in
Europa e con l’altra fuori (aspetto monetario compreso). Le
gambe debbono stare unite, o tutte e due dentro o tutte e
due fuori. La teoria dello sdoppiamento può sicuramente far
comodo agli inglesi ma nuoce fortemente all’Europa.
Europa che sarebbe monca senza la Gran Bretagna, ma
sicuramente più coesa rispetto alla sua presenza con una
gamba sola.
Red
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