GUERRA DOPO 18000 GIORNI DI PACE

La prima volta dal 1945 - Impossibile chiamarsi fuori - Non siamo guerrafondai - Non solo Bin Laden - Guerra fino in fondo - Uno solo se ne era accorto



LA PRIMA VOLTA DAL 1945

L'Italia in guerra dopo 18000 giorni di pace. 18.000
tondi, non uno in più non uno in meno, quasi un dato del
destino.

Ci sono state, in questo periodo, missioni militari che hanno
impegnato in varie parti del mondo le nostre Forze Armate e, in
tale quadro, azioni belliche, ma sempre come operazioni
internazionali alle quali il nostro Paese dava, come tanti
altri, un suo contributo.

Questa volta no, questa volta é proprio guerra.

Formalmente la decisione in Parlamento é venuta mercoledì 7
novembre ma, al di là dei distinguo e delle discussioni
lessicali, sostanzialmente in guerra siamo entrati l'11
settembre come siamo andati scrivendo nei precedenti articoli.

Gli aerei sulle Torri gemelle di Manhattan e sul Pentagono sono
state la Pearl Harbour del terzo millennio, la dichiarazione,
non dichiarata, di guerra, ben al di là della definizione
diffusa e ripetuta di "atto terroristico".

Un atto di guerra che ha avuto migliaia di vittime innocenti e
danni immediati rilevantissimi, ma che é andato ben al di là,
incidendo pesantemente non solo sull'economia mondiale ma sui
sentimenti e sulla vita quotidiana di miliardi di persone,
fornendo a tutti un bel regalo: l'insicurezza permanente.



IMPOSSIBILE CHIAMARSI FUORI


Impossibile chiamarsi fuori. Non ci sono zone franche, non ci
sono aree neutrali ove si possa stare a vedere cosa succede nel
resto del pianeta.

Se anche per avventura avessimo cercato di defilarci la crudezza
della realtà ci avrebbe inevitabilmente risvegliato
dall'illusione.

Ci ha pensato, del resto, Sua Maestà Bin Laden in persona
citando esplicitamente fra i suoi nemici il nostro Paese per il
suo passato coloniale, peraltro il più umano, il più aperto, il
più produttivo per i Paesi interessati, con ben diversi
comportamenti nei rapporti con le comunità locali rispetto a
quelli degli altri Paesi. Teniamo conto poi che bisogna risalire
al 1911 per trovare il motivo di questo inserimento dell'Italia
fra "i nemici dell'Islam", unico Paese arabo fra quelle che sono
state le nostre colonie.

Un uso quindi palesemente strumentale di questo argomento, così
come strumentale é l'uso della religione, e del fanatismo
religioso.
Siamo stati fra i primi, forse sorprendentemente i primi, a
indicare il vero obiettivo di Bin Laden
(si legga, su queste
colonne, il nostro articolo "Bin Laden:
obiettivo Riad. E poi...", pubblicato l'8 ottobre scorso.


Nelle settimane successive abbiamo visto analisti illustri
scoprire questa strada e seguire la nostra interpretazione.
Ebbene, se questa é ormai la tesi più accreditata, le ulteriori
analisi debbono ovviamente collocarsi nella stessa logica.
In questa logica l'Italia per Sua Maestà é un nemico
naturale,
indipendentemente da quello che ha fatto o non ha
fatto, da quello che fa o non fa, da quello che intende fare o
non fare.

L'Italia é un nemico naturale per la sua posizione nel mondo,
per la sua economia, per le sue alleanze. Sotto un certo aspetto
- attenzione! - l'Italia é più pericolosa di altri Paesi, per le
sue aperture, da sempre, verso il mondo arabo, per le sue azioni
nel consesso internazionale, persino per le opere di carità
della Chiesa Cattolica nel mondo, ospitando il nostro Paese il
centro della Cristianità con la sua legge dell'amore.

Risulta certo più facile fomentare proteste e odio fra gli arabi
del mondo contro gli USA, la Gran Bretagna, la Francia, altri
ancora.

Come si poteva o si può pensare che l'Italia potesse chiamarsi
fuori?

NON
SIAMO GUERRAFONDAI


Non siamo guerrafondai.

La guerra non piace a nessun popolo, sotto qualsiasi latitudine,
anche perché poi sono i popoli che fanno le spese dei conflitti.


Agli italiani meno ancora di tutti.

Non é questione di pavidità. 2000 anni di Cristianesimo hanno
lasciato il segno nei cromosomi, anche in quelli di chi é del
tutto disinteressato, o addirittura ostile, a tutto quello che
riguarda la sfera religiosa.

C'é però un limite. E' vero che ci é stato dato un insegnamento
unico, quello di porgere l'altra guancia a chi ci ha dato uno
schiaffo, ma é anche vero che questo é comportamento da Santi,
notoriamente esigua minoranza.

La gran parte di noi ha certo recepito, nel privato come nella
sfera comunitaria, questo invito nel senso di non essere il
primo ad offendere, ma la gran parte di noi, se appena le
condizioni lo permettono, ricevuta una sberla cerca di ridarla
aggiungendo i dovuti e giustificati interessi.

Non fa piacere a nessuno vedere le immagini di quei grappoli di
bombe che escono dagli aerei. Vien da pensare a là sotto, a chi
guarda in su, a chi sente il sibilo che si avvicina, sapendo che
potrebbero essere gli ultimi secondi di vita, per sé e per chi é
vicino. Quelli lì sotto sono persone come noi, ancorché talebani,
che poi non sono tutti fanatici, non tutti volontari della
guerra santa perché ci sono anche quelli obbligati alle armi. Quelle che sono in gioco sono
comunque vite umane.

Ci ricordiamo di quando succedeva a noi. Anche se l'età allora
era freschissima, la comprensione delle cose non completa, la
paura relativa, il ronzio dei motori in aria, quei sibili,
quegli scoppi che erano un segno di liberazione in quanto per
quella volta era andata bene - si pensava dopo agli altri cui
invece era andata male -, sonio presenti alla memoria, immagini
nitidissime. Ci ricordiamo e quindi ci vien da pensare, persino
ai fanatici nelle trincee e non soltanto alla povera gente che
si abbraccia, che stringe i bambini a sé in un tentativo,
ingenuamente inutile, di estrema protezione, a cosa provano, a
come si sentono.

Ma non possiamo neppure dimenticare quelle migliaia di persone,
con la loro vita, i loro affetti, i loro progetti, le loro
speranze, tranquillamente intenti al lavoro quotidiano, un
giorno come un altro, improvvisamente colpiti. E, fra questi,
quelli rimasti in vita, quelli ai piani superiori delle Torri,
consapevoli del loro inevitabile destino, così come i
viaggiatori degli aerei-kamikaze.
Ma non possiamo
neppure dimenticare che chiunque di noi, i nostri cari, i nostri
amici, i nostri convalligiani, i nostri connazionali, potrebbero
essere un prossimo obiettivo, magari anche, come Sua Maestà ha
minacciato, di armi chimiche o nucleari.



NON SOLO BIN LADEN


Nè possiamo dimenticare - il metro é e deve essere di 100
centimetri esatti per ogni dove e in ogni situazione - le altre
vittime di attentati.

In Israele e nello Stato Palestinese (noi cominciamo a
chiamarlo così, come equità e giustizia vogliono anche se
formalmente non c'é ancora).

In Spagna ove Bin Laden si chiama ETA.

In Irlanda e ovunque ancora allignano i messaggeri di morte,
quale sia la causa cui essi sono devoti.
Siamo in guerra. Non l'avremmo voluta, non ci piace, ma dato
che ci siamo ineluttabilmente dentro, va fatta fino in fondo
contro tutte le cellule cancerogene che minano l'organismo
dell'umanità.



GUERRA FINO IN FONDO

Farla fino in
fondo significa farla con tutte le armi e le risorse della
tecnologia moderna. Armi, intendiamo, militari e non, sapendo
che quelle più efficienti, strategicamente le più importanti,
sono quelle politiche.

Ad una condizione: che la politica non sia subordinata
all'economia. Si tratta di un binomio che deve procedere nella
sintesi certamente, ma purché il fine sia l'interesse generale.


E l'interesse generale lo può perseguire solo la politica.

Il danno, nel mondo occidentale, prodotto dall'indebolimento
della politica, lo stiamo scontando, anche in questa vicenda.

La politica era forte quando c'era la cortina di ferro, perché
alla politica era demandata la stabilità, condizione sine qua
non per lo sviluppo dell'economia. Caduta la cortina, anche per
la subitanea, capillare, diffusione dell'economia là ove prima
essa non aveva di fatto diritto di cittadinanza, venuta meno la
condizione di garante della stabilità, la politica ha dovuto
subire (in Italia particolarmente, in coincidenza con
l'emersione di un mondo parallelo, di faccendieri invischiati
con alcuni politici, il che ha portato, un po' per il
carattere italico un po' per gioco di alti interessi, d'ogni
tipo, alla generalizzazione con l'equazione "politica e politici
uguale a corruzione").

Prima della caduta della cortina c'era concorrenza.

Paesi, strategicamente importanti - ma chi più e chi meno lo
erano diventati tutti - del Terzo Mondo potevano pendere di qui
o di là, verso uno dei due sistemi in competizione.

Dopo si é innescata una spirale, per cui il povero ha la
prospettiva di diventare più povero, il ricco quella di
diventare più ricco.

L'allargamento della forbice é condizione potenziale di
instabilità, e il colpo che in concreto ha subito l'economia
occidentale rende più difficile quel compito già difficile di
solidarietà e sostegno ai tanti cittadini del mondo che vivono
al dis otto della soglia di sopravvivenza.

L'instabilità é condizione favorevole per l'innesco
di fenomeni i più diversi, massimo fra loro quello che si
identifica oggi in Sua Maestà Bin Laden.

Non se ne é accorto nessuno nel mondo fatato, e drogato, delle
Borse in continua ascesa, dei PIL sempre più corposi, delle
conquiste tecnologiche e via dicendo.


UNO SOLO SE NE ERA
ACCORTO


Per la verità uno che se ne era accorto per tempo c'era e c'é,
ma per i più lasciava il tempo che trovava con i suoi
riferimenti a valori che nella società dell'opulenza non
calzavano e non calzano proprio, anche se a quell'uomo va il
merito principale della messa in soffitta di una
pseudo-ideologia che in nome di astratti e anacronistici
principi di fatto annullava il valore della persona umana.

Quell'uomo, nel nome acquisito con la sua funzione, si chiama
Papa Giovanni Paolo.

Ripercorrere le sue "prediche inutili" potrebbe essere di grande
aiuto per la soluzione dei drammatici problemi di oggi.
Alberto Frizziero


GdS 7 XI 01

 
                         



                               

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Alberto Frizziero
Politica