LA GUERRA CONTRO GLI USA, CONTRO L’OCCIDENTE
Due articoli di seguito;
Il commento del 15 settembre, “E’ cambiato il corso della
storia"
Il commento del 12 settembre, “La nostra
rivolta”
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E’ CAMBIATO IL CORSO DELLA STORIA
Qualche giorno dopo – Le missioni suicide – L’invulnerabilità americana – Gli obiettivi prossimi –
La fortuna degli USA: Bush - E noi?
di
Alberto Frizziero
QUALCHE GIORNO DOPO
CENTINAIA DI VOLTE IN TV. Qualche giorno è passato. Centinaia di volte abbiamo visto in TV quello che non c’è mai stato neppure nei più catastrofici films, con quei due aerei che si infilano nelle Torri Gemelle trapassandole da parte a parte, con quella persona lassù, a quasi quattrocento metri di altezza che agitava dalla finestra un drappo bianco per richiamare l’attenzione di impossibili soccorritori. E centinaia di volte siamo andati col pensiero dentro quegli aerei, immaginando il dramma di quei viaggiatori, o dentro i piani soprastanti il punto di impatto, ove la gente si rendeva conto che non avrebbe mai più potuto tornare, viva, giù quand’anche l’edificio non fosse crollato. E centinaia di volte abbiamo pensato a quelle telefonate, a chi comunicava di stare andando incontro alla morte e a chi riceveva l’ultimo addio delle persone care.E poi tutto il resto.
E’ passato qualche giorno. Ci si chiede quale sarà la risposta, inevitabile e legittima, che prossimamente verrà.Ma c’è dell’altro cui è bene pensare, traendo le debite conclusioni.
SCELTA ABOMINEVOLE. Cominciamo da “quelli là”, dagli innominabili dato che non esistono nel nostro linguaggio sostantivi o aggettivi atti a definirli.Abbiamo scritto, a botta calda “se i terroristi, che si considerano in guerra con gli Stati Uniti, avessero colpito il Pentagono, basi militari, persino le sedi politiche, la cosa sarebbe stata gravissima comunque ma da inquadrarsi nello scenario di una guerra non dichiarata ma reale”.
Avessero voluto colpire le Torri Gemelle per la forza del significato simbolico, potevano farlo due giorni prima, quando le scrivanie erano vuote e la gente a spasso. Hanno invece voluto colpire in un giorno e in un’ora tali da assicurare il massimo di visibilità, con l’eloquenza tragica del numero delle vittime. Anche se l’esito probabilmente è andato oltre il preventivato perché nessuno poteva pensare al crollo, essendo gli edifici stati progettati calcolando – male, e non sarebbe sbagliato, andarlo a verificare se non altro come insegnamento per il futuro e per verificare le situazioni di altri maxi-edifici esistenti – anche l’impatto di un aereo, giorno e ora erano tali da condannare a certa morte tanta gente che ha avuto la sorte di trovare un posto di lavoro lassù. Se negli aerei complessivamente c’erano invece poche persone e molti posti vuoti, questo è dipeso unicamente da una scelta operativa, essendo più semplice il dirottamento di un aereo con 45 passeggeri a bordo rispetto ad uno con posti tutti esauriti.Una scelta abominevole. Verrebbe da dire “da bestie” se non fosse che così scrivendo ci sentiremmo in debito verso le bestie per l’offesa loro arrecata con questo paragone. Milosevic è a processo per i crimini nei Balcani. Al confronto di questi Milosevic se non si può certo dire che sia un santo quantomeno appare un modesto ladro di polli…Aggiungasi che se gli esecutori hanno portato all’estremo limite il loro fanatismo, portando via tante vite ma mettendoci anche la loro, gli altri, gli ispiratori, i mandanti, gli organizzatori, per non parlare di complici e fiancheggiatori, hanno tirato il sasso tirando indietro la mano, e continuando la loro vita tranquilla, magari pensando al prossimo colpo.
UN PROCESSO PER I RESPONSABILI? NO.
Sentiamo qualcuno dire che vanno presi e processati, magari con i loro avvocati tesi a rincorrere cavilli e attenuanti, lungo le spirali dei formalismi per la mancanza sul piano sostanziale di qualsiasi argomento a difesa.
Non servirebbe.
Contrari come siamo alla pena di morte ci piacerebbe però vedere quelli là a trascorrere la vita in qualche miniera, mille metri almeno sottoterra, senza far vedere più loro il sole o la luna o le nuvole, nemmeno in TV, parificandoli almeno in questo alle migliaia di persone che grazie a loro non solo non vedono più sole, luna o nuvole, ma neppure le pareti rocciose della miniera.Ai garantisti che vengono fuori anche nelle occasioni-limite rispondiamo preventivamente, ora, a quello che diranno fra qualche giorno, ricordando che gli attentati non sono finiti e che, se non vogliamo pensare a noi, abbiamo il dovere se non altro di tutelare le giovani generazioni cercando, tutti, di eliminare per loro qualsiasi bubbone dalla faccia della Terra.
Se non si seguirà questa strada inevitabilmente vedremo altre Torri Gemelle, e non solo negli Stati Uniti, perché di fronte a missioni suicide non c’è difesa che tenga.
LE MISSIONI SUICIDE
Le missioni suicide.
Strategia e tattica militare si sono sempre basate sostanzialmente sul rapporto costi-benefici, probabilmente con l’ammaestramento avuto 2280 anni fa quando, dall’esito della battaglia ad Ascoli di Abulia, ed anche le successive, fu coniata l’espressione “vittoria di Pirro”, quelle vittorie cioè che costano più delle sconfitte.Uno degli elementi fondamentali della difesa contro gli attaccanti è sempre stato il prezzo da far pagare al nemico se vuole prevalere a tutti i costi, un prezzo che nella sostanza porti, fosse raggiunta questa prevalenza, appunto ad una “vittoria di Pirro”.
IL CASO COREA. Elemento cardine, in questo quadro, la perdita di vite umane. Quando nel 1950 la controffensiva delle forze dell’ONU, soprattutto statunitensi, in Corea, dopo lo sbarco di Inchon, le aveva portate nel nord del Paese, intervennero, fine ottobre, i cinesi con una tattica nuova. Venivano all’assalto delle posizioni americane a valanga nonostante un fuoco di sbarramento infernale che avrebbe sconsigliato qualsiasi esercito per via del costo altissimo in morti e feriti. Il risultato era che in un campo di battaglia cosparso di caduti qualcuno, fortunato, riusciva ad arrivare alle linee e a neutralizzare una postazione con una bomba a mano. In sostanza si trattava di missioni-suicide collettive.
I 5000 KAMIKAZE GIAPPONESI. Non molti anni prima i giapponesi, a fronte della superiorità aerea nemica, avevano escogitato le missioni-suicide dei piloti kamikaze – al termine del conflitto se ne contarono quasi 5000 - che, nella prima apparizione, colarono a picco 30 navi americane. Lo sbarramento dell’artiglieria contraerea era tale che nessun pilota avrebbe potuto superarlo per sganciare bombe o siluri. Un pilota-suicida però dirigeva il suo aereo imbottito di esplosivo sulla nave. Anche se raggiunto da molti colpi, salvo il caso fortunato per i difensori di un’esplosione in aria, l’aereo-killer finiva sulla nave.
PIETRO MICCA, l’ANTESIGNANO. Rileggendo la storia d’altronde l’antesignano, il primo “kamikaze”, lo troviamo in casa nostra, quel Pietro Micca, ventinovenne soldato piemontese, che durante l’assedio francese il 30 agosto del 1706 fece saltare, con se stesso, un deposito di munizioni impedendo così l’accesso dei nemici attraverso una galleria.In tempi recenti sono venute altre missioni suicide: gli uomini-bomba e le auto-bomba, una specialità che ha trovato diffusa applicazione nel Medio Oriente.Contro una missione suicida generalmente c’è poco da fare, al di fuori di una duplice prevenzione: quella in profondità, tesa ad evitare che queste missioni abbiano inizio, e l’altra operativa, tesa a limitare i danni, là ove è possibile, e non sempre è possibile.
NOVITA’. Missioni suicide come quelle cui tutti abbiamo assistito sui cieli d’America sono una novità, per la quale senza l’intervento preventivo c’è veramente poco da fare. Il tempo breve intercorso tra il dirottamento e la corsa verso l’obiettivo non lascia neppure il tempo di un intervento dei caccia. Per la difesa di obiettivi particolari, come Casa Bianca o Pentagono, potrebbero avere successo, in teoria, missili antiaerei del tipo Patriot, per ragioni di rapidità d’intervento. In teoria, perché si pensi a cosa succederebbe abbattendo un aereo sul cielo di città come New York o Washington, oppure Londra, Parigi, Milano, Mosca, Pechino e quant’altri…
UNICA DIFESA LA PREVENZIONE. Per attacchi dal cielo di questo tipo, o anche di minore portata come potrebbe essere il raid di un modesto aeroplanetto da turismo, non resta che una soluzione: la prevenzione. Occorre addirittura prevenire il formarsi di gruppi terroristici, ovunque, perché non vi sono sul nostro pianeta zone franche.
SCENARIO MONDIALE PROFONDAMENTE CAMBIATO. Si capisce a questo punto come in pochi minuti, con la penetrazione dei due aerei nelle Torri Gemelle, con la picchiata sul Pentagono e con la fine del quarto aereo in un bosco, sia profondamente cambiato lo scenario mondiale.Stati Uniti, Europa, Russia, Cina, ma in pratica ogni Stato della Terra è sulla stessa barca. E’ interesse di tutti a questo punto condurre una guerra senza quartiere a qualsiasi focolaio di terrorismo, non senza precisare che questa guerra, ahimè, non può avere troppe regole ed in particolare sullo stesso piano, contrariamente alla normale Giustizia, sono destinati a finire esecutori, mandanti, complici, fiancheggiatori e persino simpatizzanti.
L’INVULNERABILITA’ AMERICANA
DA 136 ANNI…Da 136 anni, fine della Guerra di Secessione, gli Stati Uniti non avevano visto il loro territorio interessato da azioni belliche. In molti continuano a chiamare atto terroristico quanto è successo, ma in realtà per la pianificazione che ha avuto, per la complessità dell’organizzazione, in simultanea, per gli effetti che ha prodotto e ancora produrrà, si è trattato di una vera e propria azione bellica.C’era stato qualche atto terroristico, ma tale configurabile e quindi circoscritto, nelle perdite di vite umane e nei costi.
Al più qualche minaccia.LE MINACCE
MISSILI A CUBA. Nel 1962 i preparativi per installare missili a medio raggio a Cuba provocarono la violentissima reazione USA, dato che questi missili avrebbero potuto raggiungere il territorio americano. Il mondo stesse col fiato sospeso per una settimana, con il rischio di una terza guerra mondiale sulla testa, ma poi Kennedy e Kruscev raggiunsero un’intesa e la nave sovietica con i missili se ne tornò indietro, come pure, per compenso, se ne andarono dall’Italia i missili a medio raggio già qui da noi
installati.
MISSILI INTERCONTINENTALI. Altra minaccia negli anni successivi, con lo sviluppo della tecnologia aerospaziale e la costruzione di missili intercontinentali in grado di raggiungere, sia dagli USA che dall’URSS tutto il pianeta. Qui c’era però un antidoto. Le ogive erano testate nucleari, addirittura poi testate multiple, impossibili a intercettarsi. La minaccia era più apparente che reale perché gli attori sapevano che schiacciando i bottoni rossi non avrebbe vinto nessuno ma perso tutti con la quasi distruzione del genere umano. La decisione di dare il via allo scudo spaziale di Reagan, decisione che la storia troverà eccezionalmente lungimirante in quanto fu la premessa per l’inversione di rotta – e anche per il redde rationem del sistema marxista.-leninista - , completò il
quadro.
LE ARMI SEGRETE NAZISTE. Per completezza ricorderemo i progetti dei nazisti durante la guerra. Nel 1944 fu ritenuto un espediente della propaganda nazista l’annuncio delle armi segrete in preparazione. Si trattava allora delle V1, V2, – sperimentate dai londinesi sulla loro pelle – e delle V3, V4, V5, V6, V7, V8 nonché dei K1 e K2.Non erano invenzioni della propaganda. V stava per “Vergeltungswaffe” ossia “arma di ritorsione”, e i numeri indicavano i diversi modelli. Uno di questi era quello che avrebbe attraversato l’Atlantico per colpire gli Stati Uniti. Con K1 e K2 presumibilmente ci si riferiva agli ordigni nucleari, la cui preparazione fu fortunatamente ritardata dal bombardamento che distrusse in Norvegia, occupata dai nazisti, lo stabilimento nel quale si produceva l’essenziale “acqua pesante” (biossido di deuterio).
L’IDEA: PORTARE IL CONFLITTO NEGLI USA. Non si tratta di un semplice excursus storico. In una situazione militare in progressivo degrado l’idea nazista era di portare il conflitto dove non c’era mai stato, appunto nel territorio degli Stati Uniti. L’intento era quello perseguito dall’Ammiraglio Doenitz, quello che firmò l’8 maggio del 1945 la capitolazione della Germania, dopo il suicidio di Hitler . Prima della resa ci fu il tentativo della pace separata con gli USA e alleati occidentali, nell’intento di puntare ogni sforzo militare ad est e, con forniture militari occidentali, sconfiggere la Russia e far sparire il comunismo. (Per inciso osserviamo che l’obiettivo poteva essere allettante, ed utilissimo per gli USA, ma prevalse la lealtà verso i patti stipulati a Yalta e l’indisponibilità a qualsiasi intesa con chi si era macchiato del genocidio degli Ebrei. Dovrebbero ricordarlo i tanti in giro per il mondo, Italia compresa, con il virus dell’antiamericanismo nelle vene, o meglio nel fegato).
QUALE SAREBBE STATA LA REAZIONE AMERICANA? Quale sarebbe stata la reazione americana se una di queste V, tale da poter attraversare l’Atlantico, fosse finita in territorio americano? Probabilmente non quella sperata dai nazisti, perché il popolo yankee avrebbe preso quei missili come un insulto alla Patria, come una spinta colossale intorno alla bandiera a stelle e strisce, aumentando la determinazione.
ALLORA COME OGGI: TUTTI INTORNO ALLA BANDIERA. E’ quello che è successo in questi giorni, dopo il primo atto di guerra, della intera storia degli Stati Uniti, in territorio americano proveniente dall’esterno Tutti intorno a quella bandiera, e tutti, fra qualche giorno, intorno a Bush nel momento della verità, di quella reazione che è inevitabile, non cieca ma mirata e plurima.
GLI OBIETTIVI PROSSIMI
Non siamo profeti, ma la logica induce a pensare che gli obiettivi saranno diversi, contestuali e sparsi nel globo.Il popolo americano ha reagito nel modo migliore, ma si aspetta però la punizione dei responsabili, ad ogni livello. E non basta un nugolo di missili o di bombe intelligenti. La punizione che si attende è quella proporzionata all’offesa, che non vi è dubbio sia stata enorme, per vite umane, per danni reali, per simboli.
LA FORTUNA DEGLI USA: BUSH
GIOVANE PRESIDENTE. Gli Stati Uniti hanno una gran fortuna, quella di avere Presidente Bush.
Un giovane Presidente, chiunque sia, eletto da pochi mesi, non ha ancora l’esperienza necessaria in momenti di enorme delicatezza. In situazioni di questo genere inevitabilmente dominante diviene il peso della struttura, che non sempre negli Stati Uniti in situazioni difficili ha seguito le vie migliori.
LA CRITICA: DOVEVA STARE ALLA CASA BIANCA. Negli Stati Uniti ci sono state critiche perché il Presidente, che si trovava in Florida, se ne è andato in volo in Nebraska e nella Louisiana anziché tornarsene subito alla Casa Bianca. A Parte il fatto che in momenti di emergenza tutto è pianificato dalla Sicurezza, è stato fatto quanto di meglio poteva essere fatto. Priorità assoluta mantenere il Presidente in condizioni di prendere qualsiasi decisione senza perdite di tempo. Bush avrebbe anche potuto rientrare alla Casa Bianca e infilarsi nel bunker antiatomico, ma non sarebbe stata la stessa cosa. Di fronte ad atti di guerra pressoché simultanei, nel dubbio che altro ancora dovesse venire, poteva anche esserci il bisogno di azionare la macchina militare e dove meglio che in una sicura base, discutere e decidere con gli Alti Comandi ?I bastian contrari ci sono sempre. Il fatto positivo è che i giorni successivi siano spariti dai giornali. Speriamo in un loro futuro radioso a zappare la terra nell’Idaho.
IL VANTAGGIO DI BUSH, PER FORTUNA DEGLI AMERICANI E NOSTRA
.Bush ha qualcosa di particolare, di unico; suo padre. Un grande Presidente, di lunga esperienza non solo alla Casa Bianca, ma nell’Amministrazione, CIA compresa. E’ una marcia in più, per loro ma speriamo vivamente anche per noi, e per il mondo intero.Ricordiamo che sbagliare oggi potrebbe voler dire guai grossi per tutti noi, forse anche per i nostri figli.
Imboccare la via giusta potrebbe voler dire un soffio di speranza per questo millennio, iniziatosi cos’ male.
E NOI?
E noi? Noi Europei, noi italiani?
Non illudiamoci. L’unità realizzatasi dappertutto, ma vediamo in particolare il nostro Paese, nella condanna e nella solidarietà, non è affatto permanente. Non appena la parola passerà ai militari, quale che sia l’intervento, quali che siano gli obiettivi, quali che siano gli strumenti, ci saranno i distinguo e verranno fuori le ragioni dell’antiamericanismo di alcuni ambienti.Non che gli USA siano indenni da critiche per alcuni aspetti della loro politica, o per aspetti macroeconomici anche se non imputabili ai Governi, ma questa non è questione da mettere sul tavolo oggi.
Farlo significherebbe, di fatto pur se indirettamente, fare un grosso favore a quelli là che oggi sono isolati a quasi. Con loro, allucinanti e allucinati talebani a parte, si è schierato solo Hamas vale a dire quello che, ci fosse un Governo meno guerrafondaio di quello attuale guidato dal Generale Sharon, dovrebbe essere il vero nemico, e il vero obiettivo anche militare, di Israele. Israele
- o meglio Sharon, anche per la spinta dei partiti della destra
religiosa che ha nel suo Governo -che invece, incurante dell’opinione contraria di quasi tutto il mondo, USA compresi, vuole destabilizzare e quindi detronizzare Arafat, l’unico che potrebbe, sia pure con enorme difficoltà, riportare i Palestinesi sul binario, lungo, della
pace. Persino Saddam si è chiamato fuori, con quel suo monito agli americani ad “usare la saggezza”. Una formula, che tradotta dal linguaggio della politica internazionale a quello comune di tutti i giorni, è l’annuncio di chiamarsi fuori. Per calcolo e per interesse certo, ma non ci meraviglieremmo che sotto sotto da Bagdad arrivino ai servizi occidentali notizie utili.
Non dimentichiamo infatti i pronunciamenti di Paesi importanti fra i quali il nostro, oltre al Vaticano, per superare l’embargo,
- come oggi sarebbe giusto salvo che per gli armamenti -, che tuttora perdura sostanzialmente per volontà di americani, inglesi,
israeliani. Scenario prossimo venturo come scenari passati prossimi e remoti. Avremo le dichiarazioni, avremo gli slogans, avremo le manifestazioni.
E i rischi aumenteranno.
Non ci si è resi conto che la scorsa settimana è cambiato il corso della storia e che se si vuole un futuro meno incerto oggi i piedi in due scarpe non si possono più tenere.
Da una stessa parte gli USA, l’Occidente, la Russia, la Cina, l’ISLAM non fanatico.
Dall’altra i fanatici, e non solo quelli islamici.
Alberto Frizziero
GdS 15.9.2001
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Di seguito la nota, listata a lutto, che abbiamo pubblicato nella prima pagina di questo giornale il 12 settembre scorso.
LA NOSTRA RIVOLTA
Quello che é successo ieri a New York non solo supera ogni immaginazione di qualsiasi sceneggiatore di film di fantascienza o fantapolitica. Tocca vertici sinora inespressi di abiezione che richiedono, prima di ogni altra cosa, la nostra rivolta morale.
Non emotiva. Razionale, lucida, fredda, riflessiva.
Ci si scusi l'accostamento, ma vogliamo ricordare un caso italiano.
Quando la mafia, in un delirio di onnipotenza e in una sfida a tutto campo mirò al cuore dello Stato massacrando prima Falcone e poi Borsellino, con relative scorte, la rivolta morale che ne seguì fu fondamentale non solo per far finire dietro le sbarre la gentaglia che aveva la responsabilità ma anche per azioni incisive che notevoli risultati hanno ottenuto, anche se c'é ancora da fare, con determinazione, e magari senza quel po' di ideologia e di teoremi che abbiamo visto in questi anni.
L'accostamento, almeno metodologicamente, é calzante.
Se i terroristi, che si considerano in guerra con gli Stati Uniti, avessero colpito il Pentagono, basi militari, persino le sedi politiche, la cosa sarebbe stata gravissima comunque ma da inquadrarsi nello scenario di una guerra non dichiarata ma reale. E' stato citato moltissimo l'assalto giapponese a Pearl Harbor, ma in quell'occasione l'obiettivo era la flotta americana, uno strumento essenziale di guerra in quello scacchiere.
Qui l'obiettivo principale, pur con tutto il suo significato simbolico, é diventata la gente comune, noi compresi perché a quell'ora poteva esserci qualcuno di noi, da turista, a salire lassù, come altri turisti erano sulla Statua della Libertà, a
Central Park o in qualsiasi altra parte della Grande Mela.
Ed allora per chi ha deliberatamente scelto le sue vittime, in un numero superiore a quelle dell'intera Guerra di Secessione americana non basta affatto la condanna che é venuta quasi da tutti nel mondo, condanna scontata, ma da verificarsi quanto profonda e motivata.
Non é solo problema però di Governi e Stati, bensì della gente, di tutti noi, della nostra
RIVOLTA MORALE.
E non scaricando sullo sceicco miliardario di turno, cui il minimo da farsi é l'augurio di finire i suoi tristi giorni in un modo altrettanto, se non di più, orribile delle vittime di questi giorni.
La rivolta morale deve cominciare da casa nostra, da appena fuori della nostra casa, non solo contro i violenti ma contro gente ben più pericolosa di chi la violenza pratica, vale a dire gli istigatori.
Ai tempi delle Brigate Rosse c'era un tale, di nome Toni Negri, rivelatosi nella intervista in TV a Biagi da un rifugio ignoto un omuncolo da quattro soldi tale da meritare solo disprezzo, che con i suoi scritti ha indotto parte di una intera generazione a prendere la via sbagliata.
La violenza comincia quando si urla, si disobbedisce, si minaccia, ci si maschera, in uno Stadio o nelle vie di Genova o qualsivoglia altra località. La violenza ha un incoraggiamento quando scatta un malinteso garantismo, il buonismo, persino il perdono cristiano (dimenticando in questo caso che in una serie di situazioni questo perdono é da santi non da gente comune come siamo tutti noi).
Siamo in guerra, bisogna ricordarselo. E la guerra, per dovere nei confronti dei cittadini, chiunque é chiamato a guidarla la deve fare con gli strumenti della guerra. Con i distinguo e le limitazioni che la nostra cultura e la nostra civiltà impongono, e non certo a senso unico.
USA, Europa, Giappone, Russia, Cina sono e devono essere insieme in questa guerra, perché solo così si può venire a capo, in tempi peraltro non brevi, delle follie e dei fanatismi di barbarica memoria.
Ci sarà ancora da commentare. Per ora a queste note una sola aggiunta: per chi crede l'appello alla fede, per chi non crede il rifugio nella solidarietà.
a.f.
GdS 12.9.2001
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