Dopo Bruxelles un'Europa a due velocità

di Mario Segni

"L'Italia é in tocchi" disse Vittorio Emanuele III a
Mussolini quando lo ricevette all'indomani del 25 luglio.
Verrebbe voglia di dire "l'Europa è in tocchi" all'indomani
del disastroso vertice di Bruxelles di sabato scorso. Ma
sarebbe un po' troppo pessimistico. L'Europa non gode certo
di ottima salute, ma non è a pezzi come l'Italia nel '43. Ma
c'è anche da dire che mentre nel '43 il Re, dopo avere
pronunciato quella frase licenziò Mussolini e in qualche
modo iniziò la ripresa dell'Italia, oggi non si vede per il
momento alcuna reazione e alcun segno di ripresa. E questa è
forse la cosa più preoccupante.


Ma andiamo con ordine, anche per consentire ai nostri
lettori di orientarsi. L'Europa, che si allarga a 25 Paesi,
decide due anni fa di darsi una Costituzione, per fissare
nuove regole che rendano governabile una Unione sempre più
grande, e per fare un passo avanti verso la integrazione
politica, o almeno verso il progetto di parlare al mondo con
una voce sola. C'è insomma il grande sogno di creare una
politica estera e di difesa comune, dopo avere fatto la
moneta unica. Una apposita Convenzione presieduta da una
grande personalità come Giscard d'Estaing prepara una bozza
di Costituzione. I rappresentanti dei 25 Paesi dopo mesi di
discussione si riuniscono a Bruxelles in quella che dovrebbe
essere la riunione conclusiva. Ma dopo appena trentasei ore
di dibattito il vertice si conclude con una gigantesca
fumata nera. Su uno dei punti più qualificanti, il sistema
di voto del Consiglio, non c'è stato accordo. Alle due del
pomeriggio di sabato i venticinque si lasciano senza nemmeno
darsi un nuovo appuntamento. Per il momento tutto rimane
come è. Per il momento, almeno, l'Europa non avrà una
Costituzione, su molti punti si continuerà a votare
all'unanimità, il che significa che se già era difficile
mettersi d'accordo in 15 lo sarà ancora di più in 25, la
speranza di avere un ministro degli esteri comune rimane una
utopia. L'Europa continuerà a rimanere spaccata nei momenti
cruciali, come è già accaduto durante la guerra in Iraq e
adesso a proposito del Patto di stabilità. Nel frattempo la
politica mondiale viene sempre più decisa dagli USA, e sulla
scena economica il vecchio Continente arranca mentre si
affacciano, soprattutto in Asia, nuovi soggetti.


Confesso che in questo scenario preoccupante la cosa che mi
ha lasciato più sconcertato non è tanto il disaccordo,
quanto il fatto che la riunione sia finita senza preparare
un futuro, senza fissare un appuntamento, senza preparare
una via d'uscita per il futuro. Credo che questa sia una
delle maggiori colpe del Governo italiano, che purtroppo ha
condotto un semestre di presidenza disastroso, iniziato con
la famosa gaffe di Berlusconi al Parlamento europeo e finito
peggio, con il fallimento del vertice. Abbiamo detto tante
volte che il nostro futuro è in Europa, e che rincorrere
Bush e Putin non ci avrebbe risolto i problemi. Per una
singolare regola del contrappasso Berlusconi, dopo essersi
schierato con Aznar e Blair e avere cozzato con Francia e
Germania, è stato costretto ad appoggiarsi a Chirac e
Schroeder per cercare una via d'uscita. L'Europa si fa
innanzitutto con Francia e Germania. Ma oramai questo fa
parte del passato. E' al futuro che dobbiamo guardare.


Sarà un dibattito lungo e lo seguiremo
settimana per settimana. Avanzo per ora due prospettive. La
prima è cercare di mettere in salvo ciò che è stato
raggiunto. Sembra che su gran parte dei punti della
convenzione, commissione, poteri del Parlamento, difesa, si
sia raggiunto un ampio accordo (dico sembra perché ancora
mancano dati chiari). Se è vero la prima cosa è un nuovo
vertice che definisca tutto questo. Sembra anche che sul
punto cruciale solo due Paesi, Spagna e Polonia, siano stati
in disaccordo. Anche questo andrebbe chiarito, perché il
circoscrivere il problema e chiarire i soggetti del
disaccordo può far maturare le cose.

Pare che per molti mesi
né Spagna né Polonia intendano recedere, anche perché si
avvicinano elezioni. Ma nel medio termine penso che
sentiranno sempre più forte la responsabilità di avere
bloccato un passo avanti dell'Europa nella quale ci sono
anche loro.


La seconda idea è che un gruppo più ristretto di Paesi vada
avanti e faccia quello che tutti assieme ancora non si è in
grado di fare. La storia europea è piena di questi casi. Lo
SME, l'euro, le frontiere aperte con il Trattato di Schengen,
riguardano gruppi di Paesi, non tutta l'Unione. Se una
Costituzione non può nascere subito per 25, perché non
iniziare con un gruppo più ristretto? A me piace molto
l'idea che il primo passo lo facciano i sei Paesi fondatori.
Forse sono un romantico, e ricordo l'emozione del Trattato
di Roma. Se oltre ai sei ci sta qualche altro, tanto meglio.
La collaborazione tra Francia e Germania, che in questi mesi
progredisce, è comunque un fatto positivo, forse uno dei
pochi elementi positivi. Perché l'Italia, come tante volte
dice Ciampi, non prova a seguire questa strada?
Mario Segni


GdS 18 XII 03  www.gazzettadisondrio.it

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