Contro la guerra in Irak, perché non d'accordo con gli USA Fedro - Chi è Saddam Hussein? - Gli "aiuti" dell'Occidente - Chi è, realmente, George W. Bush? - Un Governo di «comparse» - Inutile sbalordirsi - Il «nano» ed il «gigante» - I conti senz

di Alberto B. MariantoniFedro - Chi è Saddam Hussein? - Gli "aiuti" dell'Occidente - Chi è, realmente, George W. Bush? - Un Governo di «compar


Riceviamo e pubblichiamo, nella logica
di offrire ai lettori il ventaglio più ampio possibile di
opinioni:



FEDRO

Se volessimo soltanto limitarci a descrivere il mero aspetto
formale dell’impari e disgustoso «conflitto» che da più di
11 anni oppone gli USA all’IRAQ, potremmo benissimo
ricorrere a Fedro o Caius Iulius Phaedrus (10 /-54) della
tradizione latina: «Ad rivum eundem Bushus et Saddagnus
venerant, siti compulsi...» (Bushus e Saddagnus, spinti
dalla sete, erano giunti allo stesso ruscello. Più in alto
stava Bushus, e molto più in basso Saddagnus).

Lo stesso dicasi, se desiderassimo unicamente illustrare il
significato ed il senso dell’indegno e vizioso «serial» che
da mesi, ormai, continua a tenere il mondo intero, con il
fiato sospeso, in una situazione di «non-pace/non-guerra»,
tra le pretestuose e prevaricatrici accuse di George W. Bush
e le puntuali e disarcionanti confutazioni e/o repliche di
Saddam Hussein e degli altri membri del governo iracheno: «Tunc
fauce improba latro incitatus iurgii causam intulit…»
(Allora l'assassino, spinto dalla malvagia bocca, offrì il
motivo di lite: "Perché - disse - facesti torbida l'acqua, a
me che bevo?”. Saddagnus di rimando, temendo: "Come posso -
prego - fare ciò che lamenti, oh Bushus? Da te il liquido
scorre ai miei sorsi!").

Identica considerazione, in fine, se ci accontentassimo
esclusivamente di prevedere e di anticipare l’inevitabile e
scontato esito della meschina e sproporzionata «tenzone» tra
Washington e Baghdad: «Repulsus ille veritatis viribus… »
(Respinto quello dalle forze della verità: “Prima di questi
sei mesi - soggiunse - dicesti male di me". Rispose
Saddagnus: “Veramente non ero nato". "Tuo padre, per Ercole
- egli riprese - disse male di me"; E così presolo, lo
sbrana con ingiusto massacro).

Nel nostro comodo e sbrigativo accostamento allegorico,
però, il solo problema che dovremmo comunque tentare di
risolvere, sarebbe quello di riuscire a fare effettivamente
coincidere - agli occhi dell’opinione pubblica - gli
autentici tratti distintivi del «Ra’is iracheno» con quelli
di un qualunque ingenuo ed indifeso «agnello»… Ed, allo
stesso tempo, fare realmente combaciare le genuine e
provabili peculiarità dell’attuale «Presidente americano»
con quelle di un qualsiasi scaltro e feroce «lupo»…

Chi è Saddam Hussein?

Sappiamo tutti chi è Saddam Hussein… Sfortunatamente per
lui, infatti, il «Rayessna al-Ghali» («Presidente bene
amato») iracheno, lontano dall’essere l’ingenuo ed indifeso
«agnello» della favola di Fedro, è semplicemente un
«autocrate». Un «despota» mediorientale. Un «dittatore» che
– dopo avere sistematicamente e capillarmente eliminato ogni
forma d’opposizione o di dissenso all’interno del suo Paese
– continua a spadroneggiare incontrastato ed inamovibile,
sull’Iraq, da all’incirca ventisette anni.

La «memoria corta» dell’opinione pubblica essendo quella che
è, l’uomo della strada, molto probabilmente, non lo
ricorderà affatto, ma il «feroce Saladino» di Baghdad non è
sempre stato l’irriducibile e lo spietato «anti-americano»
che oggi tutti preferiscono dipingere…

Al contrario, nel 1975 - quando ancora era Vicepresidente
del Paese e «numero due» del regime ba’athista del Generale
Ahmad Hassan al-Bakr - il suo primo atto ufficiale di
governo fu proprio quello di favorire e di avvantaggiare
economicamente, nel contesto dell’OPEC, gli Stati Uniti
d’America ed il resto dei Paesi industrializzati
dell’Occidente: in particolare, facendo in modo che, alla
riunione d’Algeri (1975), il prezzo del greggio –
vertiginosamente aumentato dopo la Guerra arabo-israeliana
del Kippur (1973) ed il conseguente embargo imposto agli
Occidentali dai Paesi Arabi produttori di petrolio – fosse
considerevolmente ridimensionato!

Non sappiamo se fu per esprimergli profonda gratitudine a
proposito di quel suo inatteso e benvenuto «gesto» o per
premiarlo platealmente per quella sua «attitudine positiva»
nei confronti delle nostre economie, ma una cosa è certa: in
Occidente, tra il 1975 ed il 1990, il «despota» Saddam fu
intensamente e strettamente «corteggiato», «adulato» e
«riverito» dalla quasi totalità dei nostri Governi.


GLI "AIUTI" DELL'OCCIDENTE

Questi ultimi, infatti, durante quello stesso periodo, lo
considerarono apertamente un uomo politico «laico»,
«illuminato» e «visionario», nonché un «baluardo sicuro» ed
«indispensabile» nella lotta al «pericolo islamico»,
rappresentato – in quell’epoca - dalla rivoluzione
Khomeinista iraniana (1979-1980). In tutti i casi, lo
propagandarono e lo imposero, alle nostre opinioni
pubbliche, come un alleato «oggettivo» ed «imprescindibile».

A riprova di quella tendenza, La Francia, ad esempio, si
«sbracciò», in quegli anni, a fornire a Saddam, «chiavi in
mano», la famosa Centrale Nucleare di Tammouz (piratescamente
bombardata e rasa al suolo dall’aviazione israeliana, nel
1981) ed a «prestargli» - per tutta la durata della guerra
Iraq-Iran (1980-1988) - intere squadriglie di Super-Etendard
della sua flotta aerea militare nazionale… La Gran Bretagna,
dal canto suo, non esitò – insieme alla Germania,
all’Italia, alla Svizzera, al Belgio, all’Olanda, al Belgio,
alla Spagna, al Giappone, ecc. – a mettergli a disposizione
aiuti finanziari a fondo perduto e prestiti astronomici a
tasso agevolato, armamenti sofisticati, infrastrutture
militari-industriali tecnologicamente avanzate, ecc. E gli
Stati Uniti, per non essere da meno, oltre ad assicurare
all’Iraq una vera e propria «assistenza militare» ed una
quotidiana e dettagliata «copertura» fotografico-satellitare
sui posizionamenti e gli spostamenti delle truppe iraniane
nel corso di quel conflitto, non indugiò affatto – insieme
alla Francia, alla Gran Bretagna ed alla Germania ed, in
certi casi, al Brasile ed all’Argentina… – a offrirgli più
di 80 miliardi di dollari di armamenti a credito, senza
contare la fornitura di numerosi stabilimenti turnkey
contract per la produzione ed il condizionamento, per scopi
bellici, di gas vescicanti ed asfissianti (come le «mostarde
solforose»), di gas nervini (come il «sarin», il «tabun», il
«soman» ed il «vx») e molteplici laboratori scientifici per
la coltura e l’impiego - come deterrenti militari - del «Bacillus
Anthracis», del «Vaiolo», del «Botulino», della «Francisella
Tularensis», ecc. Armi, queste ultime, che il «Ra’is di
Baghdad», negli ultimi anni della Guerra Iraq-Iran
(1986-88), non si privò affatto di utilizzare – con il
beneplacito dell’Occidente (l’ex Presidente Reagan e
l’attuale Segretario di Stato alla Difesa Donald Rumsfeld ne
sanno qualcosa?) – sia contro l’esercito Iraniano (nella
regione di Sulemaniya, in particolare) che contro il suo
stesso popolo: cioè, i ribelli Kurdi del F.K.I. (Fronte del
Kurdistan Iracheno, formato da elementi del Partito
Democratico Kurdo di Massoud Barzani, dell’Unione
Patriottica del Kurdistan di Jalal Talabani e del Partito
Comunista Iracheno), nella regione di Halabja, e le comunità
Shi‘ite del Sud dell’Iraq.

Saddam Hussein, dunque, se vogliamo - tra il 1975 ed il 2
Agosto 1990 (data dell’invasione irachena del Kuwait e del
fallito tentativo di Baghdad di affrancarsi dall’invadente,
inibente e coercitiva tutela statunitense ed atlantica) -
era un «dittatore» amico… Un «tiranno» buono… Un
personaggio, cioè, che – prima di diventare il classico
«mostro nel cassetto», «l’abominevole Hitler» della
situazione ed il «pericolo pubblico No. 1» che oggi tutti
conosciamo - non aveva nulla da invidiare al resto dei
«despoti» e degli «aguzzini» che, da più di 57 anni,
continuano imperterriti ed indisturbati a governare, per
«conto terzi», il mondo arabo (e non solo quest’ultimo…: il
pakistano Parvez Musharraf, docet!), né tanto meno qualcosa
da temere dai governi e dai media occidentali! Questo, per
la semplice ragione che, il suo regime, era – e continua ad
essere – l’ordinaria e corrente «copia conforme» degli altri
21 regimi arabi che l’informazione a «geometria variabile»
dei versatili e prezzolati pennivendoli delle nostre
«democrazie» - per evidenti ed indicibili motivi d’ordine
economico, politico e/o militare – stima più opportuno, in
generale (e sicuramente più conveniente e redditizio…, in
particolare), definire, «regimi arabi moderati»! (Per
saperne di più su Saddam Hussein, il regime iracheno, il
ruolo occidentale ed israeliano nel Vicino Oriente e la
Guerra del Golfo, vedere il mio: «Gli occhi bendati sul
Golfo», Jaca Book, Milano,1991).

Chi è, realmente, George W. Bush?

Crediamo tutti di sapere chi è George W. Bush jr.… Ed,
invece, come avremo modo di constatare quasi nessuno lo conosce
veramente per quello che effettivamente è!

Grazie, infatti, al subdolo e capillare «monopolio
dell’informazione» che Washington ha instaurato nel mondo ed
al sistematico e compiacente «schermo protettivo» che
l’insieme dei media occidentali (impropriamente ritenuti
«liberi»…) continua servilmente a «stendere» sulla sua
persona, la maggior parte degli abitanti della Terra ignora
perfettamente la sua specifica natura, il suo iter personale
e le sue autentiche e tangibili «qualità» e «peculiarità».

Certo, l’attuale Presidente degli Stati Uniti d’America
vorrebbe… (e fa di tutto per…) rassomigliare, almeno
formalmente, allo scaltro e feroce «lupo» della favola di
Fedro ma, in realtà, è semplicemente un «pupazzo», una
«marionetta», un inconsistente ed insignificante
«fantoccio»!

Se vogliamo, oltre a calcare supinamente ed indegnamente le
«nobili» orme del bisnonno Samuel Prescott (nel 1914-1918
«servo fedele» e «factotum» di Percy A. Rockefeller
proprietario della City Bank e della Remington Arms Co.,
nonché dello speculatore borsistico Bernard Baruch e del
banchiere «privato» Clarence Dillon), del nonno Prescott
Sheldon («uomo di paglia» e «prestanome» e del gruppo Brown
Brothers Harriman) e del padre George Herbert Walker («ex
sfortunato petroliere», «ex disastroso coordinatore» del
fallito sbarco filo-americano della Baia dei Porci, a Cuba,
ed ex «ufficiale di collegamento» del futuro dittatore
panamense Manuel Noriega; poi, di punto in bianco…
«consulente speciale» e «strisciante leccapiedi», fino al 26
Ottobre 2001, di Carlyle Group, il principale
fornitore di materiale da guerra delle forze armate
americane; Direttore della CIA tra il 1976 ed il 1981;
Vice-Presidente con Reagan, tra il 1981 ed il 1989; e
quarantunesimo Presidente degli USA, tra il 1989 ed il
1992), George W. Bush jr. è addirittura il peggiore epigono
della sua stessa «famiglia di lacchè». Ed allo stesso tempo
- come la maggior parte dei Presidenti americani degli
ultimi settant’anni - il classico «burattino» della
situazione. Un personaggio, cioè, interamente «inventato»,
artatamente «pompato» e totalmente «sponsorizzato» e
«manovrato» dagli effettivi detentori del potere reale negli
USA. In particolare: il vorace e guerrafondaio complesso
militare-industriale del paese (Carlyle Group, Lockheed
Martin Corp., McDonnel Duglas Corp., Tennero Inc., General
Motors Corp., Northrop Grumman Corp., Raytheon Corp.,
General Electric, Loral Corp., Boeing Co., United
Technologies Corp.); le fameliche ed insaziabili «sorelline»
del petrolio (Chevron-Texaco, Exxon-Mobil, Marathon Oil,
BP-America - che è la fusione tra Standard Oil e British
Petroleum - e BP-AMOCO; senza contare Halliburton Inc.,
Unocal, Delta Petroleum, TMBR/Sharp Drilling, ecc.); i
principali istituti di credito del sistema bancario americano (Citicorp, Citibank , Bank of
America, First National Bank of Boston, Morgan Stanley,
ecc.) ed i maggiori gruppi monopolistici del mercato
statunitense (AT&T; Microsoft; Schering-Plough; Monsanto;
Tom Brown Inc.; Motorola; Gulfstream Aerospace; General
Dynamics; Tribune Company; Gilead Sciences; Amylin
Pharmaceuticals; Sears; Roebuck & Co.; Allstate; Kellogg;
Asea Brown Boveri; Pharmacia, Ford Motor Company; Lear
Corp.; DaimlerChrysler; Philip Morris; Amtrak; America
Online; Time Warner; Merck; Abbott Laboratories, Brownstein,
Hyatt & Farber; NL Industries; Ford Motor Company, Northwest
Airlines; Clorox; C.R. Bard; HCA-The Healthcare Company;
Dole Food; Northwest Airlines; Enterprise Rent-A-Car;
Greyhound; United Airlines; Union Pacific; Boeing,
International Paper; Lucent Technologies; Eastman Kodak;
Alcoa; Schering-Plough Corp.; Qualcomm Inc.; Eli Lilly;
Charles Schwab; Transamerica Corp.).

Un Governo di «comparse»

Per rendersene conto, basta dare una rapida «occhiata» alla
composizione dell’attuale staff dirigenziale statunitense:
lo stesso Bush jr., in passato, è stato direttore di una
filiale del gruppo Carlyle ed - insieme al padre - ha
ricevuto onorari da questa società fino all’Ottobre del
2001, data alla quale la famiglia Bin Laden (sic!) ha
venduto le sue azioni…; il Vice-Presidente Dick Cheney
continua ad essere totalmente legato all’industria militare
del Paese ed al gruppo petrolifero Halliburton Inc.; il
Segretario di Stato o Ministro degli Esteri Colin Powell è
fortemente «ancorato» alla General Dynamics, Gulfstream
Aerospace e America Online; l’Attorney General o Ministro
della Giustizia John Ashcroft è la particolare «emanazione»
di AT&T, Microsoft, Schering-Plough, Monsanto ed Enterprise
Rent-A-Car; il Segretario di Stato alla Difesa Donald
Rumsfeld la specifica «persona di fiducia» di General
Dynamics, Gulfstream Aerospace, Asea Brown Boveri, Gilead
Sciences, G.D. Searle/Pharmacia, General
Instrument/Motorola, Tribune Company, Amylin
Pharmaceuticals, Sears, Roebuck & Co., Allstate e Kellogg;
la Segretaria di Stato agli Interni Gale Norton è
strettamente «infeudata» con Delta Petroleum, BP Amoco, NL
Industries, Brownstein, Hyatt & Farber, e Ford Motor
Company; la Consigliera alla Sicurezza Nazionale Condoleezza
Rice è la diretta e fedele espressione di Chevron, Charles
Schwab e Transamerica Corp.; il Segretario di Stato al
Tesoro Paul O'Neill è l’interessato «factotum» di Alcoa,
Lucent Technologies, International Paper ed Eastman Kodak;
il Segretario di Stato al Commercio Donald L. Evans è
«l’uomo di punta» di Tom Brown Inc. e di TMBR/Sharp
Drilling; il Segretario di Stato all’Energia Spencer Abraham
è la «longa manus» di General Motors, Ford Motor Company,
Lear Corp. e DaimlerChrysler; il Segretario di Stato alla
Sanità ed ai Servizi Umani Tommy G. Thompson è apertamente
«vincolato» a Philip Morris, General Electric, Merck,
Amtrak, America Online, Time Warner ed Abbott Laboratories;
la Segretaria di Stato al Lavoro Elaine Chao è
«l’espressione semi-nascosta» di Bank of America, Northwest
Airlines, Clorox, C.R. Bard, HCA-The Healthcare Company e
Dole Food; la Segretaria di Stato all’Agricoltura Ann M.
Veneman è il «pezzo da novanta» di Monsanto Co e Pharmacia
Co., (i principali produttori e propagatori di O.G.M. nel
mondo!); il Segretario di Stato ai Trasporti Norman Y.
Mineta è lo speciale «periscopio» di Lockheed Martin,
Northwest Airlines, Greyhound, United Airlines, Union
Pacific e Boeing; il Segretario di Stato agli ex-combattenti
Anthony Principi è «l’informale» ed efficace
«plenipotenziario» di Lockheed Martin, Ford Motor Company,
Microsoft, Schering-Plough Corp., Federal Network, QTC
Medical Services e Qualcomm Inc.; il Responsabile dello
Staff presidenziale Andrew H. Card Jr. è uno degli «uomini»
di General Motors; il Direttore dell’Amministrazione e del
Budget della Casa Bianca, Mitch Daniels, Jr. è uno dei
«delegati» di General Electric, Citigroup, Eli Lilly e
Merck.

Inutile sbalordirsi

Tenuto conto di queste realtà, dobbiamo ancora domandarci il
perché del rifiuto, da parte dell’Amministrazione Bush, di
ratificare il «Protocollo di Kyoto» (relativo alla riduzione
dei gas ad «effetto serra»)?

Dobbiamo ancora continuare a
questionarci per conoscere le reali ragioni
dell’atteggiamento statunitense al «Summit della Terra» di
Johannesburg o a quello di Durban, sul «razzismo», sempre in
Sud Africa?

Abbiamo bisogno di comprendere il motivo per
cui, il «libero-scambismo» propagandato e selvaggiamente
imposto da Washington ai nostri Paesi, rima quasi sempre -
negli USA - con il più egoistico ed arrogante
«protezionismo» (ad esempio, i 100 miliardi di euro
ultimamente devoluti ai produttori agricoli statunitensi o
l’iniqua tassa del 30% recentemente introdotta sulle
importazioni d’acciaio in provenienza dall’Europa e dal
Giappone)?

In aggiunta, c’è ancora necessità di sbalordirsi
a proposito delle contraddizioni di fondo che emergono - ad
esempio - tra i discorsi ufficialmente «moralizzatori» di Bush jr. (come quello del 9 Luglio 2002, alla Borsa di New
York…) e le quotidiane e costanti implicazioni della classe
politica americana negli scandali economici della maggior
parte delle grandi imprese del Paese, come Enron, WorldCom,
Merrill Lynch, Andersen, Global Crossing, Qwest
Communications International, Dynegy, Adelphia
Communications, Xerox, Imclone, Tyco, ecc.?

Inoltre, dopo le invereconde e capillari «connections» che
abbiamo potuto verificare tra la politica e l’economia negli
USA, è tuttora lecito stupirsi, se il traffico di droga
(oppio, coca, cannabis), nel mondo – che rappresenta
all’incirca 700 miliardi di euro all’anno (più del 9% del
commercio mondiale!) - seguita ad essere principalmente
alimentato dai Paesi (Pakistan, Turchia, Turkmenistan, Uzbekistan, Kazakhstan, Tagikistan, Kirghisistan, Egitto,
Laos, Nepal, Birmania, Thailandia, Guatemala, Giamaica,
Colombia, Bolivia, ecc.) che intrattengono delle strette
relazioni con Washington?

E’ ancora valido determinare i
motivi che spingono la Casa Bianca a rifiutare qualsiasi
incontro al vertice con l’Organizzazione per la Cooperazione
e lo Sviluppo di Parigi che si propone di smantellare i
«paradisi fiscali» e di reprimere il conseguente traffico e
riciclaggio di «denaro sporco?»

E’ ancora utile
interrogarsi, per individuare le ragioni che pressano gli
Stati Uniti a volere assolutamente imporre al mondo i loro O.G.M. (organismi geneticamente modificati) o le carni
commestibili dei loro allevamenti debitamente «dopate» con
numerosi prodotti farmaceutici (tra i più conosciuti: il 17
beta estradiolo, il progesterone, il testosterone, lo
zeramolo e l’acetato di trembolone e di melengesterolo)?

Conoscendo, tra l’altro, «chi» tira effettivamente «le fila»
della politica americana, è ancora sensato chiedersi il
perché dell’«inattesa» e «sbalorditiva» ricusazione
statunitense del «Trattato sul bando totale dei test
nucleari» o degli «Accordi START» (riduzione dell’insieme
degli armamenti strategici); oppure, il loro antagonismo
alla «Convenzione sulle armi biologiche e chimiche» del
1972; o ancora, la loro opposizione al «progetto onusiano»
contro il «traffico illegale di armi leggere» nel mondo;
ovvero, il loro rifiuto di fornire una qualunque spiegazione
ai responsabili dell’Unione Europea a proposito di «Echelon»
(il sofisticato sistema americano ed anglosassone di
sorveglianza elettronica dell’insieme delle comunicazioni
telefoniche, fax ed e-mail)??

Diciamocelo francamente: è ancora ragionevole lambiccarsi il
cervello per comprendere il significato ed il senso
dell’insolente e sfrontata ostilità dell’attuale Presidente
americano nei confronti del «Tribunale Penale
Internazionale» (TPI)?

E’ ancora opportuno evocare
l’incontrollabile ed inarrestabile «spirale della violenza»,
per spiegare la rimessa in discussione degli «Accordi di
pace» israelo-palestinesi del 1994, l’arrivo al potere di
Sharon e la messa in pratica della tracotante politica colonialista, vessatrice e massacratrice di Tel-Aviv, in Palestina?

E’ ancora equilibrato parlare di
«Attacco all’America», per scoprire la vera origine degli
«attentati» dell’11 Settembre 2001 e le reali ragioni
dell’«inevitabile» e consequenziale «guerra infinita» al
terrorismo degli ex freedom fighters filo-americani di
al-Qa’ida?

In fine, sapendo come stanno davvero le cose negli USA,
dobbiamo ancora arrovellarci il cervello, per afferrare le
ragioni del colossale e farneticante aumento del budget
americano della «Difesa» che è passato dai 297,7 miliardi di
dollari del 1998 agli attuali 331 miliardi (all’incirca, un
miliardo di dollari al giorno! Quando, comparativamente, i
quindici Paesi membri dell’Unione Europea – su «consiglio
disinteressato» dei loro «padroni» USA – sono passati, per
lo stesso genere di spese, dai loro complessivi 180,5
miliardi di dollari del 1998, agli attuali 144,4 miliardi)?

Dobbiamo ancora spremerci le meningi, per individuare e
circoscrivere i reali motivi che spingono la Casa Bianca a
volere a tutti costi demonizzare, aggredire ed eliminare Saddam Hussein, per intronizzare, al suo posto, un qualunque
Sharif ‘Ali Bin Al-Hussein (finalizzato e provvidenziale
«pronipote» di terzo/quarto grado dell’ultimo Re d’Iraq e
classico «dandy di servizio» degli interessi USA, nonché
strumentale ed addomesticato duplicato dell’attuale
«mescalero» afghano Hamid Karzai)?

Inutile, quindi, riferirsi al Lupus et Agnus di Fedro, per
tentare di spiegare i minacciosi e rivoltanti «venti di
guerra» che sembrano, ancora una volta, planare indisturbati
sul malcapitato Iraq… Ugualmente vano ed inefficace cercare
di interpretare il cosiddetto «duello all’ultimo sangue» tra
Bush e Saddam, in chiave di semplice e programmato
«regolamento di conti».

Il «nano» ed il «gigante»

La vera verità sul «conflitto» che oppone, da ormai 11 anni,
gli Stati Uniti all’Iraq, è da ricercarsi in tutt’altra
direzione: quella - a mio giudizio - della «strategia
economica» per fini di «dominazione politica e militare» del
mondo.

Se abbiamo, infatti, la pazienza di dare uno sguardo ad un
qualunque Atlante e ci dilettiamo a paragonare le annesse
tavole di sintesi demografica, mineralogica, merceologica,
tecnologica, finanziaria, industriale e commerciale degli
Stati Uniti e quelle del continente Euro-Asiatico, ci
accorgiamo che l’insieme dei Paesi che compongono quest’ultima area geopolitica, rappresentano cumulativamente
una potenzialità generale che è di gran lunga superiore a
quella che è normalmente vantata o pretesa dagli USA nei
loro singoli confronti.

In altri termini, se la totalità dei Paesi del vecchio
continente decidessero, un giorno, per pura ipotesi, di
mettere in comune la globalità delle loro risorse e delle
loro potenzialità economiche (cioè, tutte le loro materie
prime, tutta la loro tecnologia, tutte le loro capacità
finanziarie, bancarie, industriali e commerciali, tutta la
loro manodopera, l’incommensurabile vastità e le infinite
esigenze dei loro territori e l’inesauribile mercato
consumistico che è rappresentato dalla somma aritmetica
delle loro popolazioni) costituirebbero immediatamente il
primo impero politico, economico e militare del mondo. Una
potenza tale che, a suo confronto diretto, gli Stati Uniti -
oltre a dovere immediatamente rinunciare al ruolo di
superpotenza che, fino ad ora, hanno infondatamente ed
indebitamente usurpato – apparirebbero, agli occhi
dell’opinione pubblica mondiale, come una potenza di secondo
piano. Un «potenza», cioè, il cui ruolo politico
internazionale rassomiglierebbe rapidamente, come per
incanto, a quello che la Polonia o la Bulgaria, tra il 1945
ed il 1990, esercitavano all’interno del «Patto di Varsavia»
sovietico!

Conosciamo la situazione reale dell’economia statunitense…
Dopo avere, negli anni 1980-1990, scelleratamente
delocalizzato la maggior parte della loro industria di
produzione consumistica in Estremo Oriente ed avere
stoltamente concentrato l’essenziale del loro avvenire
economico all’interno di tre regioni specifiche del Paese
(California = «nuove tecnologie»; Texas = «industria
petrolifera»; Florida = «complesso militare-indusriale»),
gli strateghi di Washington erano praticamente convinti che
il problema della crescita economica del Paese sarebbe stato
determinato dal dilagare nel mondo delle loro «nuove
tecnologie»; quello della disoccupazione autoctona, sarebbe
stato in gran parte risolto dal consequenziale potenziamento
e sviluppo dell’«economia virtuale» o «on-line»; quello dei
consumi interni, dall’importazione dei prodotti finiti, a
basso costo, dalle loro aziende che nel frattempo si erano
trasferite in Asia.

I conti senza «l’oste»

Quella loro, a dir poco, azzardata e poco felice scelta di
strategia economica, però, era confortata dal fatto che, in
quell’epoca, gli Stati Uniti - oltre ad essere restati (dopo
la caduta dell’URSS) la sola superpotenza militare del mondo
- potevano tranquillamente permettersi il lusso (visti pure
gli stretti legami che gli USA intrattenevano con l’Arabia
Saudita ed il Kuwait) di bruciare all’incirca 15 milioni di
barili di petrolio al giorno (di cui 9,5 milioni, importati
dai paesi del Golfo e pagati a prezzi «politici» irrisori…
In tutti i casi, estremamente meno esosi di quelli che
allora pagava - ed oggi continua a pagare - l’Unione
Europea!), per alimentare e sostenere, al minor costo
possibile, la totalità del consumo energetico del Paese.

Iniziata tra il Luglio del 1990 ed il Marzo 1991 (periodo
della penultima importante recessione economica USA che
coincise - guarda caso! – con la trappola tesa all’Iraq il 2
Agosto 1990 e la successiva “crociata” statunitense per
“liberare” il Kuwait in nome del diritto, dei principi e
della morale…) e rivelatasi fragorosamente e drammaticamente
al gran pubblico a partire dal Marzo 2001, la crisi
economica statunitense (notevolmente aggravata dalla
situazione di bancarotta nella quale continuano
a operare la maggior parte degli istituti bancari
nord-americani che, da più di 20 anni, insistono a volere
portare in attivo, nei loro bilanci, i miliardi di dollari
che, a suo tempo, furono allegramente prestati all’URSS, al
Messico, all’Argentina, al Brasile ed alla maggior parte dei
Paesi del Terzo mondo, e che mai e poi mai saranno loro
restituiti!), ha un nome: quello delle «nuove tecnologie».

Queste ultime, infatti, lontano dall’ottenere i successi
scontati che i loro più quotati «guru» avevano spavaldamente
preannunciato, si sono inevitabilmente ed oggettivamente
urtate a due ostacoli principali: quello dell’impossibilità,
da parte della maggior parte dei Paesi del mondo (eccetto
l’Europa Occidentale, il Giappone e l’Australia), di poterle
finanziariamente acquistare e quello dell’impossibilità, per
la maggioranza dei cittadini delle singole nazioni del
Globo, di poterle intellettualmente «assorbire» e
«maturare», in tempi brevi.

Quell’inattesa situazione, a sua volta, ha provocato negli
USA una serie di «contraccolpi» economici, come gli
innumerevoli ed inarrestabili «tracolli in borsa» dei
principali titoli tecnologici del Paese; l’accumulazione
impressionante degli invenduti nel campo elettronico e
computeristico; la riduzione considerevole dei profitti per
le principali aziende del settore; lo scadimento della
produzione industriale; la caduta del PIL; la diminuzione
complessiva dei consumi; l’assottigliamento generale del
volume globale delle importazioni e delle esportazioni; un
deficit commerciale trimestrale di all’incirca 130 miliardi
di dollari; la considerevole diminuzione negli investimenti
industriali; e, quindi, un ulteriore e notevole incremento
della disoccupazione…

Ed a nulla sono servite, fino ad ora, le successive
decurtazioni dei tassi d’interesse voluti dalla Federal
Reserve (tassi passati, nel corso del solo anno 2001, dal
6,5% all’1,75%: il tasso più basso registrato dal 1947!),
per tentare di rilanciare la «macchina economica»
statunitense.

Per gli Stati Uniti, dunque, tra le ultime carte da
«giocare», per non essere costretti in breve tempo a
dichiarare fallimento, rimanevano soltanto quella del
«petrolio» e quella dell’«armamento».

«L’uovo di Colombo» americano

La carta del «petrolio», però, era fortemente handicappata e
resa insicura dall’instabile situazione politica interna in
Arabia Saudita e nel Kuwait, e quella dell’«armamento» era
momentaneamente inutilizzabile, in quanto - dopo la fine
della «Guerra fredda», la scomparsa dell’URSS e la
«spoliticizzazione» e «l’allineamento economico» della Cina
- obiettivamente non esistevano più «nemici», degni di
questo nome… A meno che, di inventarseli di sana pianta!

E per «inventarli» come si doveva, ecco, dunque, uno dietro
l’altro – dopo le puntuali «boccate di ossigeno» che gli
USA, negli ultimi vent’anni, avevano già potuto ottenere per
la loro economia dai loro interventi militari in Nicaragua,
a Panama, a Grenada, ad Haiti, in Somalia, nel Sudan, in
Libia, nel Libano, in Iraq e nei differenti Stati dell’ex
Iugoslavia – spuntare, provvidenziali, dal «cappello del
mago»: Sharon in Israele… per provocare i Paesi arabi ed
islamici e creare un artificiale ed incontenibile «scontro
di civiltà» tra Occidente e mondo musulmano; gli (auto?)
attentati dell’11 Settembre 2001… per scatenare una guerra
contro l’Afghanistan, occupare il Paese e prendere piede,
formalmente o informalmente, in Asia centrale e, di
conseguenza, soggiogare militarmente, senza colpo ferire…,
la quasi totalità delle ex repubbliche musulmane sovietiche
(dove, è noto a tutti, esistono importantissime riserve di
gas e di petrolio); e, dulcis in fundo, il «pericolo»
Saddam!

Ma per quale ragione - direte voi - proprio Saddam…? Quando,
sappiamo benissimo, che lo stesso padre di Bush jr., nel
1990-1991, 41° Presidente degli Stati Uniti e capo della più
importante coalizione militare messa in piedi dall’epoca del
Secondo conflitto mondiale, con i suoi carri armati a
pochissimi chilometri da Baghdad, alla fine della Guerra del
Golfo (1991), non solo (secondo la versione ufficiale…) lo
lasciò in vita per non «infierire»… ma, affermando di averlo
ormai militarmente «sgominato» e politicamente reso
«inoffensivo», lo mantenne addirittura al potere (quasi
sicuramente, per dare modo all’opinione pubblica mondiale di
potere meglio distinguere, con più spigliata facilità, i
responsabili dei già citati «regimi arabi moderati»…), in
Iraq?

Diversi «piccioni» con una «fava»…

Rimettere dopo 11 anni, il «pericolo» Saddam sul «tappeto»…,
sembra - a prima vista - una flagrante e grossolana
contraddizione/impostura… Eppure, non lo è!

Se prendiamo in conto, infatti, la terribile crisi economica
che gli USA stanno attraversando, i recenti e preoccupanti
«attriti» e «dissapori» con l’Arabia Saudita ed il pericolo
mortale che rappresenterebbe - per la loro economia e la
loro sempre più contestata egemonia politica e militare - un
eventuale accordo (anche esclusivamente economico!) tra
l’Unione Europea e la CSI (Russia e Paesi ex sovietici
rimasti nel «girone» di Mosca), ci accorgiamo immediatamente
che il «pericolo» Saddam - per i reali detentori del potere
negli USA (e non certo, per i «parrocchetti»
dell’Amministrazione Bush jr.!) – era (ed è…) l’unico
«pericolo» che il loro Paese avrebbe potuto agevolmente ed
impunemente paventare, per togliersi momentaneamente e
sicuramente d’impaccio e, contemporaneamente, fare «bingo»
su tutta la linea!

Come fare altrimenti… per «distrarre» l’opinione pubblica
americana, ridare «spago» all’economia del Paese, rimettere
al «passo» l’Arabia Saudita ed impedire a tutti i costi una
qualsiasi intesa eurasiatica, avendo simultaneamente una
qualunque concreta speranza di continuare ad assicurarsi il
ruolo di superpotenza e, quindi, il dominio del mondo, per i
prossimi 40/50 anni, senza per altro dovere, in nessun modo,
rischiare alcunché?

E’ semplice: prendendo diversi «piccioni» con la «fava»
Saddam!

L’ «arma» del petrolio

Non dimentichiamo, infatti, che un eventuale guerra
statunitense contro l’Iraq - dopo la tutela militare e
politica che Washington ha imposto alla maggior parte delle
petro-monarchie del Golfo ed all’Afghanistan, ed i
«protettorati» formali o informali che è riuscita a
realizzare sulle ex Repubbliche musulmane sovietiche –
farebbe immediatamente «rientrare nei ranghi» Riyad e
neutralizzerebbe definitivamente l’Iran. Inoltre, la diretta
o indiretta presa di possesso del petrolio iracheno
(potenzialmente 3/4 milioni di barili al giorno) - insieme
al WTI americano, al petrolio della Penisola Arabica, quello
delle Repubbliche musulmane dell’Asia centrale, quello
messicano, quello venezuelano (ed il Brent del mare del
Nord?) - metterebbe nelle mani degli USA, il «monopolio» di
all’incirca i tre quarti (circa 900 miliardi di barili)
delle riserve d’idrocarburi attualmente accertate e
disponibili sul nostro pianeta. E con quella certezza
energetica nel «cassetto», gli Stati Uniti si
assicurerebbero senz’altro la «parte del leone» nel mondo,
per almeno mezzo secolo: in particolare, avrebbero la
possibilità di concedere, alla loro malandata economia, la
tanto attesa «boccata d’ossigeno» che permetterebbe alla
loro società di uscire rapidamente dalla crisi; in secondo
luogo, avrebbero l’occasione di ricompattare la loro
opinione pubblica e rinverdirebbero notevolmente, agli occhi
dei propri amministrati, il tradizionale sentimento di
potenza e d’invincibilità che caratterizza e tiene unita
l’eterogenea e squinternata società americana; in terzo
luogo, giocando «l’ago della bilancia», in materia
energetica, con gli interessi mercantili divergenti
dell’Unione Europea (che ha assolutamente bisogno
dell’energia petrolio) e della Russia (che produce petrolio
ed ha delle riserve accertate per all’incirca 65 miliardi di
barili), ricatterebbero alternativamente i due blocchi di
paesi (in poche parole: facendo artatamente aumentare il
prezzo del petrolio, gli Stati Uniti sarebbero in grado di
soffocare drasticamente l’economia europea, mentre facendolo
abilmente scendere, sarebbero in condizione di creare delle
serie difficoltà alla già vacillante e tuttora instabile
economia russa) e, mettendo commercialmente l’uno contro
l’altro, ne impedirebbero la possibile intesa; in fine,
rendendo indispensabile la loro presenza militare in Europa,
nel Vicino Oriente ed in Asia Centrale (soprattutto a causa
dei possibili disordini generalizzati che la guerra contro
l’Iraq potrebbe scatenare all’interno del mondo arabo e
musulmano), darebbero la possibilità alla loro «macchina da
guerra» di rinforzarsi ulteriormente e di continuare ad
imporre - manu militari e contro ogni umana logica - il
ruolo politico ed economico «guida» di Washington
all’insieme dei paesi del mondo.

Che le suddette congetture o eventualità rappresentassero (e
continuino a rappresentare…) le reali intenzioni di
Washington nella sfrenata ed assurda corsa alla guerra
all’Iraq, sembra l’abbiano capito perfino il «satrapo» Putin
e il «valletto» Chirac. Ed è per quella ragione che –
nonostante l’attacco «terroristico» alla petroliera francese
nello Yemen e la recente «presa di ostaggi» filo-cecena al
teatro di Mosca – i due hanno continuato imperterriti ad
ostacolare, con tutti i mezzi a loro disposizione, fino alla
«risoluzione 1441» del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, i
frettolosi e furbeschi progetti americani di guerra
immediata all’Iraq.

Come avremo, però, ben presto, modo di constatare… il «piano
Iraq», per gli USA, ce n’est que partie remise…
Alberto B. Mariantoni


(*) Note biografiche sull’Autore

Alberto Bernardino Mariantoni è nato a Rieti il 7 Febbraio
del 1947. E’ specializzato in Economia Politica, Islamologia
e Religioni del Medio Oriente. Politologo, scrittore e
giornalista, è stato per più di vent’anni Corrispondente
permanente presso le Nazioni Unite di Ginevra e per diciotto
anni sul tamburino di «Panorama». Ha collaborato con le più
prestigiose testate nazionali ed internazionali, come «Le
Journal de Genève» e «Radio Vaticana». Ha al suo attivo
decine e decine di inchieste e di reportages in zone di
guerra e di conflitti politici soprattutto in area
mediorientale. E’ autore di oltre trecento interviste ai
protagonisti politici dei Paesi del Terzo Mondo e della vita
politica internazionale.

Ha scritto: «Gli occhi bendati sul
Golfo» (ed. Jaca Book, Milano 1991) e «Le non-dit du conflit
israélo-arabe» (ed. Pygmalion, Paris, 1992).

Dal 1994, è
Presidente della Camera di Commercio Italo-Palestinese.


GdS 8 XII 02

 

Alberto B. Mariantoni (x)
Politica