Il "vuoto" della politica fra etica ed economia
 Il contesto socio-economico 
 che ha caratterizzato la storia degli ultimi quarant'anni è 
 stato scenario di un processo evolutivo che ha interessato 
 il ruolo svolto dalle imprese, con particolare riguardo agli 
 effetti che l'attività produttiva esercitava sull'ambiente 
 esterno. La concezione neoclassica secondo cui la 
 massimizzazione dell'utilità degli shareholders, intesa come 
 distribuzione dei dividendi e incremento di valore del 
 capitale investito, recava vantaggio anche alla 
 collettività, viene recepita come riduttiva da quelle 
 correnti di pensiero riconducibili al filone anglo-americano 
 della Corporate Social Responsibility (anni '50-'60) e della 
 Business Ethics (anni '80), che alla massimizzazione del 
 profitto affiancavano nuove responsabilità e funzioni 
 sociali alle imprese. 
 In questo quadro, si inserisce la questione 
 dell'allargamento dei possibili portatori di interesse nei 
 confronti dell'attività aziendale, cioè individui (stakeholders) 
 ben identificabili capaci di influenzare od essere 
 influenzati dall'attività dell'organizzazione, in termini di 
 prodotti, politiche e processi lavorativi. L'ampliamento 
 della base degli interlocutori e degli interessi spinge 
 verso l'acquisizione di nuove responsabilità, soprattutto 
 nel momento in cui vengono coinvolte le sfere del sociale e 
 dell'ambiente che caratterizzano il contesto operativo. 
 Questa nuova visione introduce il concetto di responsabilità 
 sociale, intesa come la presa di coscienza da parte 
 dell'impresa che il proprio operare produce delle 
 esternalità di vario tipo, positive e negative. In questo 
 caso essa manifesta la propria attenzione verso gli effetti 
 che riversa sui propri stakeholders, cercando un 
 bilanciamento dei differenti interessi coinvolti. Dati 
 questi presupposti nasce, in un contesto di crescente 
 cambiamento culturale, il problema di come intervenire per 
 esprimere l'intenzione di agire seguendo un comportamento 
 etico, quindi socialmente responsabile ed attento ai bisogni 
 della eterogenea compagine di stakeholders aziendali.Un 
 primo forte impatto di tutto ciò, lo si ha proprio nei 
 confronti della concezione della strategia d'impresa. 
 L'appellativo strategico che prima veniva riferito 
 esclusivamente alle attività economiche si estende, per 
 riconoscere ed accogliere il ruolo sociale dell'impresa, 
 esercitato da un soggetto economico allargato. L'attenzione 
 rivolta alle strategie come processo anziché come contenuto 
 comporta un graduale spostamento della matrice culturale che 
 ha caratterizzato gli studi strategici in passato. 
 L'impresa oggi non può essere semplicemente considerata come 
 mezzo per la realizzazione di progetti consapevoli e 
 deliberati, se alla base di tutto ciò non vi è forte 
 consapevolezza di cosa ciò comporti nei confronti della 
 persona e dell'ambiente. Per comprendere più a fondo il 
 senso di questa riflessione si osservi, a titolo 
 esemplificativo, quanto è accaduto nel nostro paese negli 
 ultimi dieci anni in relazione al comportamento 
 imprenditoriale ed alla conseguente pratica manageriale 
 progressivamente diffusasi nella gestione degli affari. 
 L'indebolimento della concezione etica in economia ha 
 favorito l'allargamento di modelli comportamentali più 
 attenti alla valorizzazione del reddito da capitale, 
 rispetto quello da lavoro. Ciò ha prodotto una spinta allo 
 sfruttamento delle risorse umane (viste come costo da 
 ridurre) e delle risorse naturali (percepite come occasioni 
 di business), che ha alimentato pericolosi circoli viziosi 
 di crescita con degrado. Nel settore finanziario, ad 
 esempio, lo sviluppo delle attività finanziarie non 
 produttive a scapito di quelle produttive in termini reali 
 ha provocato un pericoloso fenomeno di disintermediazione 
 bancaria e di finanziarizzazione dell'economia. In questo 
 quadro, la maggiore complessità dei mercati unitamente 
 all'accresciuta difficoltà competitiva hanno elevato il 
 fronte delle scelte opportunistiche a basso grado di 
 responsabilità sociale, sicchè comportamenti decisionali 
 alimentati da pure dinamiche di potere hanno sovente avuto 
 il sopravvento. 
 E' evidente che orientamenti di questa natura possono 
 spingere i soggetti a compiere scelte egoistiche, che 
 risultano anche deboli sotto il profilo etico in quanto 
 prive di un adeguato orizzonte di senso. Da qui la necessità 
 che vengano ridefinite le più generali linee di condotta e, 
 nell'immediato futuro, è auspicabile che ciò avvenga 
 attraverso l'adozione e la contemporanea diffusione di 
 modelli di comportamento imprenditoriali e di pratica 
 manageriale capaci di sviluppare la catena pensiero-azione 
 in un sistema che si qualifica per maggiore umanizzazione 
 dell'economia e più estesa responsabilità sociale 
 dell'impresa. 
Maurizio Giancarlo Malvestito – "C’è 
 un’altra Italia"
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