Una visione internazionale liberale per l'Italia

di Carlo Scognamiglio

Il sistema internazionale - di cui l’Italia è parte
integrante in quanto democrazia liberale ad economia
avanzata - è, dopo la doppia rottura del 1989 e dell’11
settembre, in una fase di profondo riassetto: ciò significa
che le decisioni, gli “allineamenti” internazionali e gli
equilibri definiti oggi conteranno a lungo. Un nuovo
dopoguerra è iniziato.

Non c’è soltanto una questione di riassetto geopolitico e
geoeconomico, tuttavia. E’ anche in corso una trasformazione
di alcuni dei parametri della politica internazionale: in
particolare, l’impianto concettuale dei rapporti tra Stati
(cioè Stati-nazione) sta subendo graduali ma importanti
modifiche. A quell’impianto proprio il liberalismo ha dato
un contributo essenziale, cercando costantemente un delicato
compromesso tra Realpolitik e aspirazione a sviluppare
regole internazionali di comportamento che rendano i
rapporti tra Stati meno anarchici e più prevedibili. Così
come il liberalismo ha realizzato una società basata sulla
rule of law nei rapporti fra i cittadini e fra questi e lo
stato nazionale, il liberalismo internazionale mira ad
affermare i principi della rule of law nei rapporti fra le
nazioni.

Il ruolo delle istituzioni democratiche e dello Stato di
diritto è centrale in questa visione, ma anche in tal senso
esistono nuove sfide da affrontare: l’uso controllato e
limitato della forza a tutela dei diritti umani
fondamentali, e la capacità di rispondere in modo efficace e
realistico alle minacce che la proliferazione di armi di
distruzione di massa e il terrorismo transnazionale pongono
alle società aperte. Rispondere a queste sfide impone - ai
singoli paesi europei e all’Unione nel suo complesso - sia
la capacità di riconoscerle come tali, che l’assunzione di
responsabilità internazionali assai maggiori (in termini di
risorse e di volontà politica). Uscendo da una visione
troppo statica del diritto internazionale, l’approccio
europeo deve combinare interventismo democratico e
affermazione di norme internazionali che lo regolino. Questa
è anche la base di un nuovo deal con gli Stati Uniti sulla
strategia di sicurezza occidentale nel dopo 11 settembre


La principale lezione politica della crisi irachena è molto
chiara, sia per l’Europa che per gli Stati Uniti. L’identità
europea deve essere costruita in positivo e non in
opposizione agli Stati Uniti: qualsiasi tentativo di
affermare l’Europa per contenere gli Stati Uniti è destinato
anzitutto a dividere l’Unione stessa, oltre che a dividere
le due sponde dell’Atlantico. Da parte loro, gli Stati Uniti
devono riconoscere che l’aggregazione dell’Europa, e non la
sua divisione, continua a rientrare nei loro migliori
interessi. Identità europea e identità occidentale (cioè
euro-americana) sono due componenti strettamente legate di
un unico percorso storico e culturale. L’esistenza di valori
comuni fra le due sponde dell’Atlantico non garantisce, di
per sé, l’assenza di conflitti; ma consente di gestirli, e
fonda l’interesse comune a difendere tali valori,
proiettandoli sul piano globale.

Un nuovo accordo transatlantico implica che l’Europa sia in
grado di esprimere una politica estera e di sicurezza comune
più solida: l’alternativa è una sostanziale marginalità o
irrilevanza dei paesi europei. Come dimostra l’esito dei
lavori della Convenzione, la gestione della politica estera
e di sicurezza resta affidata, sul piano istituzionale, alla
cooperazione fra governi; e va combinata, sul piano delle
capacità, a una maggiore integrazione di risorse (spese e
capacità militari). In uno scenario a 25, il futuro della
politica estera e di sicurezza comune dipenderà da nuove
forme di leadership: dallo sforzo congiunto, cioè, dei paesi
in grado di contare quanto a impegno internazionale. E’
ovvio, da questo punto di vista, che la politica di
sicurezza e la difesa europea non avranno realistiche
prospettive di successo senza una convergenza fra Francia e
Gran Bretagna, e cioè dei due paesi europei militarmente più
rilevanti. Interesse essenziale dell’Italia è che tale
prospettiva si realizzi ma si combini alla creazione di una
leadership più ampia, che includa l’insieme dei paesi
maggiori. Perché ciò sia possibile, è indispensabile che
l’Italia aumenti il proprio bilancio della difesa e in
generale investa maggiori risorse (umane e finanziarie)
nella sua azione internazionale.

L’azione internazionale dell’Unione europea dovrebbe essere
basata su una più esplicita divisione del lavoro con gli
Stati Uniti. Sul piano geografico, l’Unione dovrà affermare
il suo impegno primario a stabilizzare le sue periferie,
integrando progressivamente i Balcani e, forse (ma lo
discuteremo assieme), la Turchia. Parallelamente, l’Unione
dovrà costruire una partnership rafforzata con la Russia; e
collaborare con gli Stati Uniti allo sviluppo della road-map
mediorientale. Interesse specifico dell’Italia, in
quest’ambito, è di evitare che la dinamica dell’allargamento
sposti verso Nord e verso Est il baricentro geopolitico
dell’Unione; e di garantire, invece, la centralità della
dimensione mediterranea dell’Unione.

Sul piano funzionale, l’Europa dovrà concentrare le sue
capacità globali nella NATO e nei processi di
stabilizzazione e di ricostruzione delle aree di crisi. E’
anzitutto nostro interesse, prima che interesse degli Stati
Uniti, che la NATO resti essenziale nella gestione della
sicurezza occidentale.

La precondizione politica generale di un nuovo accordo
transatlantico - e di una divisione del lavoro virtuosa - è
che i processi decisionali rimangano multilaterali. In altri
termini, il funzionamento del polo occidentale - fondato
sulla cooperazione e sull’integrazione delle capacità di
Stati Uniti ed Europa - richiede scelte concertate. Solo a
queste condizioni, la solidità del polo occidentale darà
anche forza alla governance del sistema internazionale nel
suo complesso e a istituzioni multilaterali che vanno a loro
volta profondamente ripensate.

"La prospettiva europea e la prospettiva atlantica" della
politica estera italiana resteranno in conclusione
complementari. Per ragioni storiche e per ragioni
geopolitiche, l’Italia ha tutto l’interesse a favorire che
ciò resti possibile, sulla base del nuovo accordo
transatlantico qui appena schematizzato. Ma perché l’Italia
possa influire in questo senso, due condizioni sono
indispensabili: una presa d’atto radicale che entrambe le
prospettive sono cambiate, e richiedono quindi un profondo
aggiornamento della visione europea e internazionale della
nostra classe politica, capace di collocare gli interessi
nazionali nelle dinamiche reali che si stanno aprendo; e la
capacità di parlare chiaramente al paese, aggregando un
consenso nazionale sugli sforzi inevitabili che dovranno
essere compiuti se l’Italia vorrà continuare a restare a far
parte della leadership dell'Unione europea.
Carlo Scognamiglio


GdS 28 IX 03  www.gazzettadisondrio.it

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