Lo Stato assorbe una montagna di denaro ma…

di Giuseppe Quarto

Signor direttore,

ho letto in questi giorni sulle pagine economiche di alcuni
giornali come nessun paese della Comunità europea sia in
condizione di rispettare i parametri del disavanzo pubblico.
Per giunta, in forma più o meno velata tutti i paesi
chiedono il superamento del vincolo del 3% di sfondamento
della spesa.


La verità è che, in Italia come altrove, lo Stato assorbe
una montagna di denaro (pari circa alla metà di quanto la
società produce), ma ne destina solo una parte limitata al
finanziamento di quelle attività che in genere si
considerano come tipiche del governo: contrastare la
criminalità e organizzare la difesa, amministrare la
giustizia, aiutare coloro che non sono in grado di
sostenersi autonomamente. In effetti solo il 3% del bilancio
italiano è per la difesa, meno dell’1% serve alla giustizia
e meno del 3% è destinato alle pensioni sociali e agli
invalidi.


La domanda sorge allora spontanea: dove va il restante 91%
delle risorse che lo Stato italiano incamera? La quasi
totalità del bilancio pubblico, in effetti, è sprecato per
servizi che sarebbero molto meglio gestiti da agenzie
private in concorrenza tra loro. Questo dimostra che la
classe politico-burocratica ci tratta come bambini, incapaci
di provvedere a noi stessi. Non ci consente di destinare ad
una mutua privata i soldi per la salute; ostacola lo
sviluppo di un sistema educativo davvero pluralistico ed
effettivamente posseduto dalle famiglie (dai consumatori);
non ci consente di optare per una pensione autonoma (e ci
costringe a buttare miliardi nel gran calderone dell’Inps).
E via dicendo.


Oltre a ciò, la voracità dello Stato si appresta a fare un
grande salto di qualità. Già da qualche anno, infatti, sono
in vigore alcuni parametri in base ai quali secondo il fisco
ogni impresa deve per forza guadagnare una cifra
prestabilita e, quindi, deve pagare le tasse su quell’importo.
Se per qualche motivo le cose sono andate diversamente
bisogna saper dimostrare di non aver guadagnato; ed è
interessante notare come in questo caso le scritture
contabili non contino molto e, quindi, non sempre sia facile
dimostrare di avere avuto redditi modesti o, addirittura,
perdite effettive.


Queste nuove disposizioni, unite alle esigenze crescenti
della spesa pubblica, pongono quindi le premesse per un
livello di voracità fiscale mai raggiunto in tutta la
storia.


Per di più questa sfrontatezza delle richieste fiscali si
associa ad un quadro generale desolante: con tempi di
spostamento che sono raddoppiati (a causa di un sistema
viario da Terzo Mondo), con una burocrazia cartacea da
Inquisizione (si pensi che, solo per fare un esempio, un
ristoratore deve ogni giorno annotare su un registro la
qualità del detergente con cui pulisce i tavoli; e se la
registrazione è fatta in ritardo partono multe dai venti
milioni di lire in su).


È chiaro che questo sistema piace ai burocrati, dal momento
che giustifica la loro esistenza. Piace da morire anche ai
politici, perché finisce per consegnare nelle sue mani quasi
tutti i problemi della comunità.


Per costruire una simile macchina statale, che divora la
metà delle nostre risorse e delle nostre libertà, c’è voluto
però molto tempo. Basti ricordare che un secolo fa in tutti
i Paesi sviluppati il fisco prelevava all'incirca il 10% del
prodotto interno; oggi quel prelievo è quintuplicato.Questo
processo si è per giunta sviluppato in maniera quasi
costante: attraverso regimi autoritari e democratici, di
sinistra o di destra, liberali o socialisti, laici o
democristiani, monarchici o repubblicani, conservatori o
laburisti.


La situazione, allora, è molto pericolosa, perché il rischio
è che oggi uno Stato “democratico” possa riuscire a fare ciò
che il comunismo, con il suo sistema brutale, non è stato in
grado di realizzare. Già oggi, d’altra parte, molte attività
che in teoria sono “private” vengono di fatto gestite
dall’apparato statale. Lo stesso gestore del ristorante
obbligato a compilare registri su registri, ad esempio, non
è libero di rifiutarsi di servire persone poco
raccomandabili e qualche volta non è nemmeno in condizione
di licenziare qualche dipendente di cui non si fida.


Alla luce di tutto ciò, è necessario riflettere
sull’assurdità della situazione in cui ci troviamo. Ormai è
chiaro che noi non abbiamo affatto bisogno della politica,
mentre sono i politici che hanno bisogno di noi per poter
esercitare il loro potere e disporre delle nostre risorse. È
giunto quindi il momento che gli uomini politici facciano un
passo indietro e lascino ai cittadini la libertà di
provvedere a se stessi nel miglior modo.


Lo stato deve limitarsi a operare come un semaforo, vietando
solo ogni aggressione alle libertà altrui e lasciando il
massimo di libertà per le decisioni che le persone
autonomamente prendono.


Forse è troppo tardi, ma continuo a nutrire fiducia
nell’umanità, che è riuscita ad uscire da enormi tragedie
causate in passato dai politici (basti pensare alle guerre
mondiali, con i molti milioni di morti che le hanno
accompagnate). Però bisogna essere vigili e soprattutto
bisogna saper reagire quando il presidente della Commissione
europea, ad esempio, afferma che l’Europa deve contare di
più nel mondo. Sono infatti parole che mettono i brividi e
ci riportano alla mente la politica che ha preceduto la
Seconda Guerra, con i risultato catastrofici che ben
conosciamo.


Lo Stato ha insanguinato l’intero Novecento e ha costruito
schiavitù di vario genere. Non dimentichiamolo mai.

Giuseppe Quarto


GdS 8 VIII 03  www.gazzettadisondrio.it

Giuseppe Quarto
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