Speculare sulle debolezze altrui è immorale!

Oggi è di moda attribuire sempre la colpa dei propri errori agli altri

“Ma la speculazione è il sale
dell’imprenditoria”, questo è il titolo dell’articolo di fondo a
firma di Alberto Mingardi pubblicato da “La Provincia” del 28
luglio scorso.

L’articolista, a mio modo di vedere aveva impostato bene il
discorso sulla speculazione intesa come modo truffaldino di fare
profitto e di depredare quanti soffrono di ingenuità nel mondo
degli affari. Sennonché ad un quarto dello scritto cambia linea
di pensiero e inneggia alla speculazione come “uno degli
ingredienti fondamentali dell’imprenditoria”.

I dizionari ci spiegano che lo speculatore è colui che “fa abili
operazioni commerciali, con pochi scrupoli, con
spregiudicatezza, nel perseguimento del proprio utile, anche a
danno degli altri”.

Ho volutamente sottolineato l’operazione settoriale cui si
presta la attività speculativa richiamata dai dizionari: il
commercio. Ossia la attività di compra - vendita di prodotti, di
beni immobili, di capitali.

Definire imprenditori solo coloro che si dedicano al commercio,
mi sembra molto riduttivo e, per certi versi, anche offensivo
nei confronti di quegli imprenditori (industriali e non solo)
che dedicano le loro energie, la loro creatività e i loro
capitali alla costruzione di prodotti utili alla comunità e che
spesso sono vittime proprio di operazioni speculative.

E’ pur vero che la tentazione di scivolare sul terreno improprio
dell’imprenditoria e quindi della speculazione finanziaria è
sempre presente, ma le eccezioni confermano la regola. Infatti,
ogni qualvolta che ciò avviene, o è avvenuto, si verificano
colossali disastri.

Per parlare di casa nostra, tutti abbiamo appreso degli scandali
Cirio e Parmalat. Ma le cronache ci hanno informato anche della
Enron, della Swissair eccetera. Scandali frutto di colossali
errori esercitati al di fuori della attività imprenditiva vera e
propria, ma all’interno di un sistema perverso impropriamente
additato come mercato e dominato appunto dalla speculazione fine
a se stessa.

Quello che fa specie in queste tristi vicende è il fatto che a
pagarne lo scotto non sono (o lo sono di rado) i diretti
responsabili, i quali sono sempre coperti da sostanziosi
“paracadute”, ma sono invece gli operai, gli impiegati e gli
azionisti; i quali ci rimettono il posto di lavoro, gli
stipendi, le pensioni e i risparmi.

Bisogna chiarire a questo punto chi è l’imprenditore.

Non bisogna, ne per comodità di linguaggio ne per convinzione,
definire imprenditore l’affarista mordi e fuggi; lo speculatore
appunto, che intravede l’affare, il realizzo immediato, magari a
spese di enti pubblici quindi della comunità dei contribuenti.
L’unico pregio di questi personaggi è l’intuizione del momento,
la furbizia e la tempistica della e nella azione. Questi non
sanno cosa sia il lavoro, lo studio, l’etica professionale, la
dignità imprenditoriale. Questi praticano indifferentemente il
dumping, l’aggiotaggio e la truffa continua. Hanno vita
abbastanza breve e solitamente lasciano una eredità disastrosa
per tanta gente e guasti spesso insanabili nell’ambiente in cui
hanno operato.

Esempi eclatanti di questo sistema di malaffare ne abbiamo
purtroppo subìto a decine anche nella nostra provincia nei
decenni scorsi.

Joseph Schumpeter, economista e insigne storico delle dottrine
economiche, vissuto nel secolo scorso, ha definito
l’imprenditore un creativo, uno sperimentatore, un ricercatore,
un innovatore del suo prodotto e del modo in cui produrlo.

Non si trova nella saggistica dell’illustre personaggio nessun
accenno alle capacità speculative, ma bensì insistenti richiami
alla responsabilità sociale dell’imprenditore, verso i propri
collaboratori e verso le comunità locali in cui esercita le sue
attività.

Quindi, parlando di speculazione, forse è meglio qualificarla
come degenerazione cancerosa dell’economia in generale; non come
sale dell’imprenditoria, ma come trappola mortale per
l’imprenditore.

Forse si farebbe opera meritoria condannando senza appello la
speculazione, evitando di giustificarla con argomentazioni
fasulle, ne tanto meno attribuire la degenerazione speculativa
agli attori del passato. Oggi è di moda attribuire sempre la
colpa dei propri errori agli altri. E questo è un ulteriore
segnale degenerativo, non solo dell’economia e
dell’imprenditoria, ma anche dell’etica, della cultura e della
convivenza civile in un paese democratico.
Valerio Dalle Grave


valeriodallegrave@virgilio.it


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Valerio Dalle Grave
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