Le RIFORME ISTITUZIONALI

di Mario Segni

La questione istituzionale in Italia va considerata tenendo
presente il modo del tutto particolare in cui essa si pone
nella storia italiana degli ultimi cinquanta anni. L'Italia
presenta, infatti, due fenomeni del tutto particolari. In
primo luogo è l'unico paese occidentale (con la eccezione
della Francia nel 1958) ad avere realizzato nel dopoguerra
un profondo cambiamento del sistema politico, passando dal
sistema proporzionale a quello maggioritario. Il secondo è
che l'Italia ha sempre presentato, come problema peculiare,
quello di una grave debolezza e inefficienza della pubblica
amministrazione, e che questa è una delle differenze più
significative rispetto ai paesi europei più vicini, come in
altri tempi l'Impero austro ungarico, e in periodi più
recenti la Francia, l'Inghilterra, la Germania, e da ultimo
la Spagna. E' in relazione a questi due fenomeni che va
studiata la questione istituzionale e vanno prospettate le
strategie.


E' indiscutibile che il cambiamento di sistema prodotto dai
referendum elettorali è ancora largamente incompleto. Non mi
riferisco solo alla legge elettorale, tuttora ferma alla
ripartizione del 75% e 25% tra maggioritario e
proporzionale, frutto dei limiti tecnico giuridici del
referendum e purtroppo immodificata dopo l'insuccesso del
terzo referendum elettorale del 99, ma soprattutto al fatto
che il sistema complessivo dell'impianto statuale, che
poggiava sul proporzionale, è stato solo in parte
modificato, e spesso in modo contraddittorio. Il movimento
referendario ha determinato la elezione diretta del sindaco
e del presidente della provincia, e in un secondo momento
quella del presidente della Regione. Alcune scelte poco
appariscenti ma molto significative, come i regolamenti
parlamentari e le leggi sul finanziamento dei partiti, sono
andate addirittura in senso antimaggioritario, favorendo la
disgregazione. L'impianto pubblico è quindi di tipo
presidenzialistico in tutti gli enti locali con una legge
elettorale proporzionale ma con premi di maggioranza;
parlamentare ma con maggioritario a livello parlamentare.
Sotto il profilo della stabilità l'effetto è stato
straordinario nei comuni e province e si annuncia positivo
nelle Regioni. Nel governo centrale, dopo due legislature
burrascose, sembra questa la prima in grado di concludersi
con un governo di legislatura.


Ma la stabilità, per quanto importante, è solo un aspetto
del problema. Un sistema a governo forte, sia maggioritario
che presidenziale, ha infatti bisogno di un sistema di
garanzie e di contropoteri. Di questo non si è fatto
assolutamente nulla. Per di più il primo governo di
legislatura coincide con la vittoria di Berlusconi, e quindi
con un accentramento di potere mediatico e imprenditoriale
sinora sconosciuto e del tutto in contrasto con quelle che,
nella gran parte degli stati occidentali, sono regole
giuridiche o prassi costantemente seguite.


La questione istituzionale oggi riguarda perciò non solo la
configurazione e i poteri degli organi dello stato; ma una
serie di problemi del tutto nuovi, in parte frutto delle
trasformazioni vorticose della società moderna, che
riguardano i limiti e i confini delle autorità pubbliche: mi
riferisco alla disciplina della informazione e alla
questione nota col termine "conflitto di interessi".


In questa situazione sono possibili due strategie. Una è
quella del ritorno all'indietro. La società italiana, ne
sono convinto, è in larga parte maggioritaria e bipolarista.
L'ultima volta che ha avuto occasione di pronunciarsi, come
nel Friuli sulla questione dello statuto, ha scelto a
larghissima maggioranza per il nuovo sistema. Ma il mondo
politico è in prevalenza nostalgicamente proporzionalista,
anche perché con il vecchio sistema il potere del personale
politico era molto più ampio. E' soprattutto con il pericolo
di un eccessivo accentramento nelle mani del sindaco, del
presidente o del Premier che si giustifica questa posizione.
La mia opinione è che questo equivale a dire che l'unico
modo per evitare i troppi poteri è la paralisi. Ci si è
dimenticati del prezzo che l'Italia pagava per i governi che
duravano nove mesi, per i comuni e le regioni bloccate per
anni da crisi e verifiche.


La nostra proposta è invece quella di andare avanti con
coraggio e completare la grande riforma delle istituzioni
iniziata con i referendum. Il primo passo è quello di
portare al governo centrale la riforma che così bene ha
funzionato nei comuni: la formula sarebbe quella del sindaco
d'Italia, della elezione diretta del Premier. Scrivendo il
nome del candidato sulla scheda la riforma è già stata
anticipata nei fatti. Si tratta adesso di
costituzionalizzarla, attribuendo al Premier il potere di
nomina e revoca dei ministri e quello di scioglimento delle
Camere. Dai comuni al governo centrale il sistema avrebbe
una sua armonia.


Naturalmente tutto questo non può essere fatto se la riforma
non è inquadrata in un solido sistema di garanzie e se non è
risolta la anomalia italiana del conflitto di interessi e
dell'informazione. E' giusto dare al Premier più poteri e
stabilità; non si può farlo se ha cinque televisioni su sei.
Già un geniale film di Orson Welles anticipò l'idea che la
stampa è il quarto potere. Con l'enorme potenza della
televisione si può dire oggi che la prima garanzia di
libertà è un complesso di regole che garantisca il
pluralismo. La legge Gasparri purtroppo va in senso opposto.
Ma a parte la attualità di questi giorni bisogna seriamente
porsi il problema se vada posta nella Costituzione la
separazione tra l'informazione e il potere politico, oltre
il principio del pluralismo, che è qualcosa di diverso e più
avanzato della formale difesa della libertà di stampa, e che
è da poco entrato nella Carta dei Diritti della Unione
Europa.


Il sistema di garanzie costituzionali deve poggiare sul
Presidente della Repubblica. Deve assolutamente essere
mantenuta la elezione parlamentare del Presidente (una
elezione diretta lo trasformerebbe da presidente di garanzia
in presidente politico), e occorre anzi valutare se non sia
il caso di elevare il quorum, ma le sue funzioni vanno
ampliate. Già oggi, di fatto, Ciampi si pone come
l'architrave delle garanzie costituzionali. Ma non basta.
Perciò propongo due cose: il potere di nomina delle più
importanti authority, e di una quota del Consiglio Superiore
della Magistratura. Quest'organo va riformato, ma si deve
evitare il doppio pericolo di una sua politicizzazione (se
si aumentano i membri eletti dal Parlamento) e di un
corporativismo. La strada equilibrata sembra quella di far
nominare un terzo dei membri dal Capo dello stato; portando
qui il sistema che ha ben funzionato per la Corte
Costituzionale.


Vanno invece abolite le funzioni di garanzia dei Presidenti
delle Camere. Col maggioritario i Presidenti diventano gli
speaker della maggioranza, come ha giustamente rilevato
Casini. Non ha più senso, ad esempio, che siano loro a
nominare il Consiglio di Amministrazione della RAI.


Il referendum è un grande strumento di garanzia. E' l'unico
istituto che consente di verificare se un singolo problema
vi sia una divergenza tra la maggioranza parlamentare e il
corpo elettorale. Nella storia italiana ha svolto una
funzione di straordinaria importanza determinando, proprio
grazie alla pressione della società, svolte e cambiamenti
che il mondo politico non avrebbe mai fatto. La sua
importanza aumenta in un sistema maggioritario, proprio per
questa sua capacità di registrare divergenze tra cittadini e
Parlamento. La soglia del 50 più uno % del quorum, diventata
anacronistica in una società in cui mediamente non votano il
30 o il 40% degli elettori, ha praticamente cancellato il
referendum. E' un grande sbaglio. Bisogna abrogare la norma
che fissa il quorum e ridare al referendum la funzione di
garanzia che gli è propria.



La pubblica amministrazione ha vissuto in questi decenni due
fenomeni di profonda trasformazione: la nascita e il
progressivo aumento di competenze delle regioni, e la spinta
alla liberalizzazione e alla privatizzazione di una serie di
pubblici servizi. La prima ha portato al trasferimento di
molte competenze dalla burocrazia ministeriale a quella
regionale; la seconda ha spostato sulla sfera privata una
serie di compiti.


La regionalizzazione non ha contribuito a risolvere i
problemi della amministrazione. Il funzionamento della
burocrazia regionale non è per nulla superiore a quella
statale, salvo forse per qualche felice eccezione (il
Trentino, l'Emilia Romagna?); in molte regioni del sud, al
contrario, il livello medio di efficienza amministrativo è
peggiorato. Cittadini e imprenditori sanno bene che da molte
parti avere a che fare con la burocrazia regionale è più
faticoso che trattare con quella statale. Sia ben chiaro;
non pensiamo di tornare indietro, anche perché tutto questo
si inquadra in un vasto movimento europeo. Ciò che appare
nefasta è invece la devolution di Bossi, di cui non si
capiscono bene i contenuti, ma che sembra evocare due idee
sbagliate e pericolose. Da un lato la mortificazione dello
stato nazionale, con tutto ciò che in esso vi è di
fondamentale nel nostro passato e di essenziale per il
nostro futuro. Dall'altro il pericolo di svuotare i comuni
in un nuovo centralismo regionalistico (e da molte parti sta
già accadendo). Noi siamo per la sussidiarietà, e quindi
contro ogni forma di centralismo ingiustificato. Non si
capisce perché il centralismo debba essere sempre cattivo a
Roma e sempre buono a Milano o a Bari. Il centralismo, se
non seriamente giustificato, è sbagliato a tutti i livelli,
nazionale e regionale.


La linea della privatizzazione di alcuni servizi è invece
giusta, e va nel senso dell'ammodernamento del paese.
Bisogna pero' evitare di cadere in un grosso equivoco. Una
frettolosa interpretazione del liberismo thatcheriano ha
portato alla conclusione che la società moderna debba fare a
meno dello stato e della pubblica amministrazione,
considerate come un fastidioso peso. Trovo infelicissima la
frase ad effetto di Reagan "Il problema non è riformare lo
Stato, il problema è lo Stato". Non solo la statualità è un
elemento insostituibile di qualunque organizzazione civile,
se non vogliamo scambiare il Far West per il progresso, ma
proprio questi anni dimostrano quanto sia fondamentale,
proprio per il progresso e la modernizzazione della società,
un alto livello di pubblica amministrazione. In alcuni
settori, come la ricerca scientifica e l'insegnamento, la
sanità e la previdenza, cui l'organizzazione pubblica è
insostituibile, anche se va affiancata da una attività dei
privati.


La riforma e la modernizzazione della pubblica
amministrazione non ha raggiunto il grado di maturazione del
tema istituzionale, che da dieci anni è centrale nel
dibattito italiano. Per questo mi limito a lanciare alcune
idee. Trarremo le conclusioni tra un mese, alla fine del
dibattito.


1) La amministrazione italiana ha una fascia di personalità
e di competenze di altissimo rilievo. Da alcune correnti
politiche è stata sistematicamente condotta, negli ultimi
anni, un'opera di denigrazione e di mortificazione
dell'intero settore. Gli effetti possono essere
destabilizzanti. La parte migliore della amministrazione ha
sempre seguito i suoi compiti per passione e per orgoglio,
assai più che per il livello di retribuzioni quali sempre
inadeguate.


2) La privatizzazione del contratto va portata alle sue
logiche conseguenze. La prima è la caduta, o almeno la
progressiva riduzione, in concreto non in astratto, della
inamovibilità. La applicazione della regola di "licenziare i
fannulloni", nella amministrazione pubblica come nella
azienda privata, è un requisito insostituibile di
funzionalità. La seconda conseguenza è la progressiva
valorizzazione della carriera per merito, in contrasto con
una lunga spinta corporativa e sindacale all'appiattimento
per anzianità. La rigida progressione della anzianità del
resto è più che mai vigente per alcuni importanti carriere,
come la magistratura.


3) Il segreto dell'alto livello della amministrazione di
alcuni paesi, come la Francia, è la presenza di scuole di
preparazione dei pubblici amministratori. Un pezzo della
storia di Francia è stata fatta dall'ENA. Perché non
provarci anche in Italia?


4) Il successo di alcuni nuclei di alta specializzazione,
come quello creato a suo tempo da Ciampi al Ministero del
Tesoro, dimostra la validità della formula della
utilizzabilità di personale esterno, con contratti liberi.


5) La informatizzazione degli uffici vale un sacrificio
finanziario di portata assai maggiore di quello che si sta
facendo.


Attendiamo, idee, critiche e proposte
Mario Segni


GdS 28 IX 03  www.gazzettadisondrio.it

Mario Segni
Politica