RASSEGNA STAMPA

IL FOGLIO - 26 luglio 2005 - LIBERO - 6 luglio 2005

Alcuni articoli che sono usciti
nei giorni scorsi:

IL FOGLIO - 26 luglio
2005


PER SEGNI IL BERLUSCONISMO RISCHIA DI CADERE SULLA "QUESTIONE
MORALE"

Al direttore - Come la prima repubblica, il berlusconismo sta
cadendo sulla questione morale. Sarà anche vero, come dice
Mastella, che con la sola morale non si fa politica. Ma senza
morale la politica si riduce a un gretto scontro di interessi.
Non si governa un popolo se non si trasfonde nell’azione
politica una carica di passione e di speranza che supera le
questioni economiche e amministrative. La Thatcher e Reagan non
avrebbero fatto la rivoluzione liberale se non avessero
trasmesso il senso di una missione che valorizzava alcuni
aspetti della personalità umana. Il berlusconismo non poteva
farlo perché è una realtà rivolta in primo luogo a interessi
personali e aziendali. E’ quindi una realtà che mobilita i
furbi, non gli spiriti migliori. Può vincere nei momenti facili,
quando crea l’illusione di una ricchezza facile alla portata di
tutti. Perde nei momenti difficili, quando la politica ha
bisogno di spessore morale e di convinzioni profonde.

Il futuro non sarà dei Pera e dei teocon. Grazie a Dio l’Italia
ha una secolare saggezza che impedisce il diffondersi di
movimenti veramente estremisti. Il futuro sarà del centro
degasperiano, cioè di un qualcosa che erediti le tradizioni
(speriamo le migliori) della Democrazia Cristiana, del
liberalismo cattolico e di quello laico. Piaccia o no, è questa
la situazione dell’Italia, dopo che il popolo delle partite IVA
si è dimostrato incapace di esprimere una classe dirigente
moderna e liberale. Il movimento è già in atto ed è
irreversibile. Ha elementi positivi, come l’ancoraggio a solide
culture e il necessario rilancio della statualità, del valore
dei principi nella politica. Ha il pericolo del ritorno alla
mediazione esasperata, all’immobilismo, ai vizi della
partitocrazia.

Ma c’è un punto decisivo, tutto da vedere, e dal quale dipenderà
molto se prevarranno i vizi o le virtù di questo scenario. E’ la
scelta tra ritorno al proporzionale e bipolarismo. La gran parte
del mondo veterodemocristiano rimpiange il proporzionale e
sostiene che il rilancio del centro è possibile solo con questa
regola. Ma vi è in questo ragionamento un errore tattico e uno
strategico. Tatticamente l’idea che un grande centro sia
favorito dal proporzionale è illusoria. Non rinascerebbe una DC,
ma ne nascerebbero venti. In assenza di un vincolo esterno, e
senza le condizioni storiche che tennero assieme la DC per
cinquant’anni, le spinte centrifughe prevarrebbero. Il
bipolarismo obbligherebbe invece gran parte del centro nella sua
posizione naturale, quello di antagonista della sinistra, e gli
restituirebbe l’elettorato oggi occupato da Forza Italia.

Strategicamente la scelta proporzionale farebbe tornare
l’Italia, in condizioni assai peggiori, alla ingovernabilità
degli ani 80, quando il debito pubblico esplodeva e
l’amministrazione andava in pezzi. Stupisce che a questa idea si
accodino Berlusconi e Follini. Il primo annullerebbe il merito
storico che si è legittimamente attribuito, di avere costruito
nei fatti un pezzo del bipolarismo italiano. Il secondo
cancellerebbe la regola sulla quale il suo piccolo partito ha
fatto le sue fortune, e smentirebbe una linea che ha saggiamente
seguito, da quando, aderendo al referendum del 99, dichiarò di
non essere un innamorato del maggioritario, ma di rendersi conto
che l’Italia aveva imboccato una strada che per alcuni decenni
doveva essere percorsa sino in fondo.

Inizia adesso la grande battaglia. Quella tra chi vuol tornare
indietro, e chi pensa invece non solo che il centro è favorito
dal bipolarismo, ma che il bipolarismo italiano sta fallendo
proprio perché non c’è un centro moderato e liberale.
Mario Segni

LIBERO - 6 luglio 2005

Caro Feltri,

oltre ad altre doti Lei ha certo quella della sincerità, e
l’analisi impietosa (ma esatta) che fa del centro destra ne è
una dimostrazione. Ma non sono d’accordo sul Suo suggerimento,
che è quello di cambiare cavallo all’ultimo momento lasciando
tutto come sta. Non sarebbe nemmeno un pannicello caldo, che
qualcosa allevia. Sarebbe un’aspirina data per un tumore.

La crisi non è solo del manico, e Lei lo sa bene. Per il
semplice motivo che essendo la coalizione costruita a immagine e
somiglianza del capo, la crisi del vertice si trasmette,
amplificata, sino all’ultimo comune. Avendo sempre pensato (e
detto pubblicamente) che vi erano dei difetti di partenza
insuperabili, che il conflitto di interessi non era un problema
morale ma politico perché il paese non avrebbe sopportato la
guida di chi non garantisce affatto di fare gli affari pubblici
invece che quelli propri, sono solo addolorato e non stupito. Ma
questo riguarda il passato, mentre il problema del futuro è un
altro: come ricostruire un centro destra serio, essenziale per i
moderati, per l’Italia, per la sopravvivenza del bipolarismo.

La prima cosa sarebbe smetterla con le cose tanto inutili da
diventare ridicole. I convegni organizzati dal mio amico
Adornato sul partito unico (idea che di per sé sarebbe valida)
mi ricordano tanto i congressi del partito repubblichino nel 44,
quando i gerarchi litigavano ferocemente per la federazione di
Pavia mentre gli alleati erano sull’Appennino. La prima cosa è
darsi una strategia. Si pone un primo problema: è compatibile
una coalizione liberaldemocratici con la Lega? Non sono senza
peccato perché nel 94 provai anch’io ad allearmi con Bossi, e
quindi non faccio critiche personali. Ma do una risposta
politica, che è no. La Lega non è compatibile con una coalizione
liberale, moderna, riformista. Il centro destra dovrebbe avere
la forza di rompere subito, di fare ciò che la destra francese
ha sempre fatto rifiutando l’accordo con Le Pen. Si perdono le
elezioni, dirà qualcuno. Sono già perse, si potrebbe rispondere.
Ma la vera risposta è un’altra. Anche Chirac ha perso
un’elezione per non essersi alleato con il FN. Ma su quella
sconfitta ha costruito la dignità della destra francese e le due
vittorie successive.

Passo a ciò che significherebbe sul piano dei contenuti. Bossi
obbliga la maggioranza alla folle corsa verso la devolution. Io
propongo l’opposto: abolire le regioni. Ha letto bene, caro
Feltri: abolire le regioni. Immagino le grida scandalizzate, ma
faccio un ragionamento freddo. Dopo trenta anni di demagogia
regionalistica, fatta prima dai comunisti e poi dalla Lega,
sfido chiunque a contraddirmi su tre fatti, e cioè che oggi, nel
2005, le regioni sono la causa di un nuovo accentramento, più
pericoloso e più dannoso di quello centrale; che rappresentano
la sede dove spadroneggia indisturbata la peggiore
partitocrazia; esprimono la burocrazia al più basso livello di
efficienza. Se non proprio abolirle, saggio sarebbe spogliarle
di competenze amministrative. Qualcuno ci perderebbe se venisse
gestita da altri la sanità, che oggi è il peggior buco della
finanza italiana?

Altro quindi che chiedere a Montezemolo il favore (diciamo pure
il sacrificio) di una candidatura dell’ultima ora. C’è da
ricostruire tutto partendo dalla base. Per questo all’indomani
della sconfitta avevo chiesto a Letta, a Follini e ad altri
leaders di fare le primarie, di organizzare candidature
contrapposte a Berlusconi, in modo che da un dibattito vero
nascessero e si scontrassero idee e facce nuove.

Non credo in recuperi verticistici, né in candidature di
facciata. Attualmente vedo solo una possibilità: che Casini e
Follini facciano ciò che hanno promesso al loro congresso, non
accettino di lasciare tutto come è anche a costo di sfasciare
l’alleanza e di rovesciare il tavolo. Non è una strada facile,
ma anche per loro non vedo altra scelta. Dopo avere detto
solennemente peste e corna di Berlusconi e dichiarato che il
governo è la causa di molti mali, con che faccia possono andare
alle elezioni a riproporre lo stesso leader e lo stesso governo?
Mario Segni


GdS 10 VIII 2005 - www.gazzettadisondrio.it

Mario Segni
Politica