Le politiche sociali

di Giuseppe De Rita

1. Oltre la primazia statale

Fare politiche sociali oggi in Italia significa partire da
alcuni dati concreti:

- la tutela sociale (dalla salute alla vecchiaia,
dall’invalidità alla disoccupazione ecc..) è, con il lavoro,
il terreno d’elezione della voglia di libertà e di
personalizzazione che ormai caratterizza le scelte degli
italiani nei diversi ambiti;

- la coesione sociale costituisce storicamente uno dei
pilastri primari sul quale si costruisce lo sviluppo del
Paese, pertanto il welfare non può che essere funzionale
alla coesione sociale e, più in generale, alla crescita
socioeconomica;

- governare e fare politiche sociali non può voler dire
comandare e imporre dall’alto le scelte, ma accompagnare le
fenomenologie che si affermano, entrando in quelle che
coinvolgono milioni di cittadini per guidarle verso assetti
più solidi e chiari.

Infatti, il sociale è sempre più solcato da una pluralità
crescente di soggetti, pubblici e privati, profit e non
profit, con caratteristiche e finalità molto diverse tra
loro, che danno vita a forme articolate di reti e
interazioni e che, nei fatti, hanno segnato l’erosione della
protezione sociale più tradizionale, statocentrica e
monopolista.

Mentre molto si dibatte sul dover essere del welfare,
mutamenti sostanziali sono avvenuti nel concreto creando i
presupposti per modelli di tutela che assicurano il
pluralismo delle opportunità sociali salvaguardando la trama
dei rapporti comunitari.

Devolution istituzionale, pluralismo dei provider,
ampliamento degli spazi di scelta degli utenti e crescenti
investimenti privati dei cittadini sono altrettanti aspetti
che, con intensità diversa, stanno esercitando un ruolo in
questo senso.

La politica dovrebbe confrontarsi con tali dinamiche, mentre
attualmente è troppo spesso permeata di rigurgiti
neocentralisti o neo dirigisti. Tramite il richiamo alle
compatibilità finanziarie pubbliche ricompaiono
periodicamente le spinte a riaccentrare a livello statale
poteri, risorse e competenze. E’ quanto accade con
l’istruzione, la sanità, l’assistenza socioassistenziale
ecc.. con i diversi aspetti che la libera iniziativa dei
cittadini ha progressivamente strappato dalle mani del
monopolio statale.

Si tratta piuttosto di valorizzare la tendenza dei cittadini
a responsabilizzarsi direttamente, anche sul piano
finanziario, nella tutela di fondamentali bisogni sociali,
di dare più spazio e ambiti d’azione a quei soggetti che
vanno svolgendo nei fatti ruoli e funzioni di utilità
sociale, di ampliare e definire in modo più preciso gli
ambiti di competenze e responsabilità delle autonomie
funzionali e di quelle locali che esercitano ruoli ormai
cruciali nella gestione delle politiche e degli interventi
sociali.

In sostanza, si tratta di accompagnare il lento e
inesorabile passaggio da un welfare marchiato a fuoco dalla
primazia dello Stato ad uno centrato sui bisogni, le scelte
e le esigenze reali dei cittadini.

2. Più spazio alla responsabilità individuale

Sono ormai milioni gli italiani che investono direttamente
di tasca propria per la tutela della propria salute, per
dare istruzione e/o formazione più qualificata ai propri
figli, per costruirsi una vecchiaia serena, per fronteggiare
i bisogni legati all’insorgere di malattie
cronico-degeneratice soprattutto in età avanzata.

Da questo impegno diretto delle famiglie e dei cittadini
derivano:

- flussi di spesa che integrano in modo sostanziale le
risorse pubbliche;

- un incentivo alla competizione per la qualità tra la
pluralità di provider che operano nei diversi ambiti.

Riguardo al primo aspetto, la mobilitazione di risorse
aggiuntive rispetto a quelle pubbliche appare una priorità
anche per allentare il “cappio” rappresentato dal vincolo di
bilancio che, allo stato attuale, è la principale minaccia
al pieno dispiegamento dell’autonomia dei soggetti che
operano nel sociale.

Le spese a finalità sociale che le famiglie decidono in
autonomia devono, però, servire a perseguire obbiettivi di
più alta qualità e/o personalizzazione dei servizi e delle
prestazioni, non devono assumere un carattere sostitutivo
per coprire bisogni sociali che non trovano più risposta
nell’offerta pubblica.

In sostanza, va evitato di sovraccaricare gli individui e le
famiglie con una crescente deresponsabilizzazione pubblica,
piuttosto l’impegno dei cittadini va considerato come un
tassello di un più generale mosaico di servizi e interventi
in cui ciascuno dei soggetti, incluso quello pubblico, è
chiamato a giocare la propria parte.

Se si accentuano processi di deresponsabilizzazione
comunitaria, se si lasciano più soli gli individui e le
famiglie si attivano pericolose forme di rinserramento
microcorporativo, di micronflittualità diffusa,
territoriale, di settore, di interessi con un evidente
impatto di sfilacciamento della coesione sociale.

E’ chiaro che occorre puntare sulla centralità del
cittadino-utente, dei suoi bisogni e delle sue esigenze
rispetto al tradizionale e non ancora superato primato
dell’offerta.

Infatti, la politica ha continuato a concentrarsi sui
problemi organizzativi, finanziari, gestionali dell’offerta,
mentre molto meno rilevante è stata l’attenzione alla
domanda, all’attivazione di concreti strumenti e canali
mediante i quali le scelte dei cittadini e la loro crescente
domanda di libertà potessero condizionare e guidare
l’adattamento dell’offerta.

Modulare il sistema delle politiche e degli interventi
sociali sulle esigenze dell’utenza impone di accompagnare e
potenziare le dinamiche spontanee di scelta dei cittadini,
espandendole con strumenti adeguati di incentivazione e
sostegno agli ambiti in cui sono ancora poco diffusi (ad
esempio, la previdenza) e potenziandoli ulteriormente
laddove sono già robusti (ad esempio, la scuola e la
formazione, la sanità).

Altro ambito di espansione della responsabilità individuale
è quello dei comportamenti etici, fatti di altruismo e
generosità diffusa, che danno vita ad un reticolo fitto e
importante di reti che produce beni e prestazioni e
contribuisce in modo importante alla coesione sociale
soprattutto a livello locale.

Aiuti a persone in difficoltà, versamento di soldi ad
associazioni di volontariato, partecipazione a progetti di
adozione a distanza, acquisto di prodotti che non inquinano
e per la cui produzione siano stati rispettati i diritti dei
minori e dei lavoratori, apertura di conti presso banche
etiche o acquisto di fondi etici ecc.. è ormai un
proliferare di scelte volontarie, individuali, autonome che
rappresentano la nuova frontiera delle responsabilità dei
cittadini verso la comunità e i suoi soggetti più deboli.


Tali comportamenti etici non possono più essere considerati
come patrimonio di minoranze illuminate, ma parte integrante
del lento consolidarsi di nuove forme di coesione sociale
territoriale e, pertanto, è cruciale favorirli,
incentivarli, in sostanza valorizzarne gli impatti positivi
proprio perché sono la risposta spontanea, dal basso
all’estrema diversificazione dei percorsi di vita.

3. Difendere e potenziare le sfere di autonomia nel
sociale


Il monopolio dei soggetti pubblici di offerta è stato da
lungo tempo eroso dall’irruzione di una pluralità di
soggetti che offrono servizi e prestazioni in ambito
sanitario, socioassistenziale, nella formazione ecc.. e che
non svolgono più funzioni residuali ma rappresentano quote
importanti dell’offerta complessiva.

Si tratta di un giacimento di energie e competenze ad alta
motivazione, un laboratorio di innovazione nei modelli
operativi con un rapporto ravvicinato con i bisogni e,
proprio per questo, capace di fronteggiare l’insorgenza di
nuove problematiche.

Più in concreto, alla pluralità di soggetti non pubblici
sono ascrivibili una serie di contributi innovativi
relativamente:

- alla personalizzazione dei servizi, con particolare
attenzione alla dimensione umana e relazionale nei rapporti
con gli utenti;

- al progressivo passaggio da interventi focalizzati sul
soggetto disagiato a quelli sul contesto emarginante, con
iniziative preventive di tessitura della trama di relazioni
nelle comunità;

- allo sviluppo di modelli comunicativi e operativi
orizzontali, con architetture organizzative e istituzionali
fortemente innervate nei contesti locali.

L’articolazione dei soggetti riguarda non solo i provider di
servizi, ma investe direttamente il cuore della struttura
organizzativa, gestionale, istituzionale e finanziaria del
welfare pubblico. Infatti, la primazia dello Stato centrale
va progressivamente lasciando spazio alla crescita delle
responsabilità e delle competenze di Regioni e Enti locali
nei diversi comparti del welfare e, in parallelo,
all’ampliamento dello spazio d’azione delle autonomie
funzionali (dalle Asl alle Università).

Quindi ad una logica istituzionale e operativa di tipo
verticale, statocentrica, si è sostituita una logica di tipo
orizzontale con una moltiplicazione delle sfere di autonomie
di una pluralità di soggetti che sono più vicini alle
esigenze dei cittadini e che, potenzialmente, sono in grado
di ridurre il grado di intermediazione burocratica dei
processi decisionali e delle risorse.

In pratica la pluralità dei soggetti istituzionali, pubblici
e privati, for profit e non profit ha dato vita a dinamiche
di condensazione spontanea, dal basso che hanno generato
forme, sia pure embrionali e transitorie, di tessuto
intermedio che beneficiano della fiducia dei cittadini e
facilitano il rapporto con i servizi e le istituzioni
statali.

Tuttavia la spinta alla condensazione dei soggetti e dei
comportamenti non può essere lasciata a sé stessa, è compito
della politica contribuire al suo potenziamento facendo
crescere il tessuto istituzionale spontaneo fondato sugli
organismi del sociale (dal terzo settore al volontariato
alle fondazioni bancarie alle varie forme di
autorganizzazione della domanda).

Non si tratta solo di occuparsi di manutenzione
istituzionale degli apparati o spostare in ambito locale
alcune delle competenze determinando magari il trasferimento
a livello locale dei vecchi vizi di centralismo e dirigismo
tipici del welfare nazionale, ma piuttosto di rispondere
alle esigenze di condensazione della nuova molecolarità del
welfare, favorendo il costituirsi di connessioni, reti,
aggregazioni a vari livelli e su diversi elementi.

Più di preciso, si tratta di:

- dare spazio alle diverse forme di autorganizzazione della
domanda, alla moltitudine di associazioni di utenti e
operatori presenti, soprattutto, in sanità e nel
socioassistenziale. E’ un tessuto socioistituzionale che
spezza il rapporto di dipendenza diretto ed esclusivo tra
Stato e individuo del welfare tradizionale;

- potenziare le responsabilità delle autonomie funzionali,
dalle Asl alle Università, come perno di un sistema di
offerta capace di adattarsi e autoregolarsi rispetto alle
spinte che provengono dall’utenza;

- portare alle estreme conseguenze la territorializzazione
delle risposte ai bisogni sociali, sia come presa in carico
da parte della comunità civile (associazionismo,
volontariato ecc..), sia come responsabilità delle
amministrazioni locali. Consorzi di comuni, distretti
sanitari e socioassistenziali, strutture finanziarie delle
Fondazioni bancarie ecc. è tutto un fiorire di realtà
radicate nei contesti locali che nei processi di devolution
della devolution (cioè di trasferimento dei poteri e delle
competenze dalle Regioni al territorio) daranno sempre più
al welfare quel carattere policentrico e variegato che lo
rende più adatto all’attuale articolazione dei bisogni.

4. Per un welfare dei cittadini

Dare più spazio alla responsabilità individuale e più poteri
ai soggetti dell’autonomia sociale vuol dire dare impulso a
due fondamentali processi:

- l’emancipazione definitiva del welfare italiano dal
connotato statocentrico, monopolista e dei bisogni
standardizzati a vantaggio di un welfare pluralista, della
qualità e della personalizzazione, insomma ricentrato sulle
esigenze dei cittadini;

- il passaggio da un welfare riparativo, che privilegia
interventi ex-post ad un welfare preventivo in cui diventano
cruciali gli interventi e le spese che potenziano la
capacità dei cittadini e delle famiglie di fronteggiare
ex-ante i grandi rischi (dalla salute, alla vecchiaia ) e di
accrescere la propria dotazione individuale di risorse (ad
esempio, mediante la formazione) da utilizzare nella
competizione sociale.

Fuori dalla trite dicotomie “pubblico-privato”,
“Stato-mercato” e dentro l’evoluzione concreta delle scelte,
dei comportamenti e delle esigenze degli italiani, questa la
scelta da fare per politiche sociali vicine alla gente.

Si tratta infatti, di processi non da “volere” ma da
“accompagnare” e in questo sta la loro forza e la loro
modernità, se è vero che quasi sempre i programmi esprimono
cose da volere (che più spesso non si attuano) mentre l’arte
del buon governo consiste sempre più nella capacità di fare
accompagnamento della vitalità e della potenza
fenomenologica della realtà.

Giuseppe De Rita (Da "C'é
un'altra Italia)


GdS 28 IX 03  www.gazzettadisondrio.it

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