PICCOLi Comuni RISCHIO DI DISSESTO FINANZIARIO
La stragrande maggioranza dei piccoli comuni italiani dove
vivono dieci milioni di cittadini non è ancora attrezzata
per gestire efficacemente l'autonomia che la riforma del
Titolo V della Costituzione ha loro attribuito.
L'autonomia, e dunque la libertà di autodeterminazione, dei
Comuni italiani è stata per lunghi anni compressa, e
talvolta oppressa, dal legislatore nazionale e da quelli
regionali che, in cambio di trasferimenti di risorse
finanziarie consistenti e talora esuberanti rispetto ai
fabbisogni (ma soprattutto esenti da qualsiasi controllo
sulla destinazione finale), hanno tenuto le comunità locali
in una sorta di limbo nel quale non era necessario pensare e
decidere: se ne facevano carico le Regioni e, soprattutto,
lo Stato.
Questo stato di cose ha impedito che la "cultura del
risultato" attecchisse nelle realtà locali, così come ha
impedito il formarsi di una classe dirigente che fosse poi
in grado di gestire attivamente, ossia da protagonista quel
processo di riforma avviato con la legge 142/90, che ha
trasformato il Comune da comprimario a protagonista di
primissimo livello, con tanto di imprimatur costituzionale.
E' evidente peraltro che per colmare il notevole gap
esistente fra la "riforma di diritto" e la "riforma di
fatto", la trasformazione aziendale del Comune,sia ancora
lontana dal traguardo, e il ruolo della classe dirigente
locale è essenziale ed ineliminabile.
La principale determinante del permanere di questo gap, e di
tutto ciò che esso genera in termini di ritardo nello
sviluppo socio-economico delle comunità locali, può essere
individuata in una classe dirigente che, pur con delle
pregevoli eccezioni, non è "in linea" con la nuova
configurazione dell'Ente locale.
Per classe dirigente si deve intendere sia i politici, gli
amministratori locali, cui è attribuito il compito e la
responsabilità di programmare, definire gli indirizzi e le
scelte e verificarne l'attuazione con modalità e strumenti
che esistono da almeno tre anni ma che sono finora rimasti
sulla carta, che i tecnici, dirigenti e funzionari, ai quali
spetta in via esclusiva la gestione e la realizzazione delle
attività programmate.
Occorre riflettere sulle cause che con riguardo ad
entrambi i protagonisti della vita amministrativa locale
non consentono ai nostri Comuni di beneficiare degli effetti
della Riforma.
Per quanto riguarda gli amministratori locali:
a) Nelle realtà di piccole dimensioni pesa troppo, in senso
negativo, il rapporto di contiguità, fisica e quotidiana,
con il cittadino-elettore.
Troppo spesso si assiste alla
finalizzazione dell'azione amministrativa esclusivamente
alla conquista/conferma del consenso. Basti osservare, solo
per fare un esempio, in che misura le decisioni relative
alla politica fiscale locale (oggi, come mai in passato,
determinanti per il futuro degli Enti) siano tuttora
"governate" dalla conquista/conferma del consenso e quanto
poco su dette decisioni incidano le esigenze di bilancio e/o
le altre ragioni di ordine squisitamente finanziario o
fiscale.
b) L¹ultradecennale consuetudini a "gestire in prima
persona" piuttosto che definire indirizzi e programmi e
delegarne l¹attuazione a chi possiede le necessarie
competenze professionali, ha fatto si che si consolidasse,
sia tra i cittadini che nella stessa politica locale, una
visione profondamente distorta e fuorviante delle figura dell'amministratore locale.
In ordine ai dirigenti ed ai funzionari è sufficiente
evidenziare qualche constatazione.
Dopo aver operato per
decenni con la cultura dell'adempimento (nessuno ha chiesto
loro di "fare risultato" ma soltanto di garantire la
regolarità giuridico-formale dell'azione amministrativa) i
Dirigenti ed i Funzionari degli enti locali si sono trovati
improvvisamente:
-
a doversi confrontare con dei risultati/obiettivi che
qualcun altro definisce (spesso senza sentirli, ossi senza
operare alcuna verifica preventiva di fattibilità tecnica,
economica e finanziaria) ed assegna loro;
-
a dover essere valutati (e premiati o rimossi) sulla scorta
dei risultati raggiunti;
-
a dover attribuire un valore alla risorsa tempo;
-
a dover gestire il personale loro assegnato con "la capacità
ed i poteri del privato datore di lavoro", e così via
Tutto questo senza poter disporre della necessaria
professionalità.
La tecnocrazia comunale (costituita prevalentemente da
soggetti che, operando nella doppia veste di
funzionario-fornitore di servizi e di cittadino-utente,
hanno a cuore il bene della comunità per cui lavorano)
necessita dunque di una riqualificazione professionale che
ha le dimensioni e la consistenza di una vera e propria
riconversione, che richiede impegno e risorse notevoli (e
forse anche un passaggio generazionale).
In un contesto come quello delineato il venir meno dei
controlli esterni sta determinando, nei piccoli comuni, una
serie di effetti anche di natura finanziaria
estremamente negativi che, in una prospettiva di breve
periodo, possono diventare addirittura devastanti.
Ci riferiamo essenzialmente al processo di gestione della
spesa che già da qualche tempo, esente da quei controlli
preventivi interni ed esterni che in qualche modo ne
limitavano gli eccessi e ancora privi dei controlli interni
che (come conferma la recente indagine della Corte dei
Conti) stentano a decollare, si realizza, sia sotto il
profilo quantitativo che qualitativo, a prescindere da
qualsiasi seppure approssimativa analisi costi/benefici,
come da qualsiasi esame preventivo atto a verificarne
l¹utilità e la conducenza.
Si tratta di un fenomeno, ancora scarsamente visibile
soprattutto agli occhi del cittadino ma che già incide
pesantemente sui bilanci comunali e rischia di svuotare di
consistenza l¹autonomia faticosamente conquistata dai
Comuni. Non può esistere infatti alcuna autonomia che non
sia innanzitutto finanziaria.
Per quanto riguarda l¹aspetto della qualità della spesa, si
registrano disfunzioni ed anomalie preoccupanti. Per rendere
evidenti le dimensioni del rischio basta citare qualche caso
concreto.
1. La scelta di privilegiare la spesa corrente rispetto a
quella in conto capitale è diventata molto frequente nelle
piccole realtà. Gli stanziamenti di spesa destinati ad
investimenti registrano infatti un significativo calo nei
bilanci comunali dell'ultimo decennio. Non si tratta di
scelte dovute alla scarsa disponibilità di risorse
finanziarie (è noto che l'avanzo di amministrazione è
fisiologicamente destinato agli investimenti), né a
difficoltà nell'accesso al credito, quanto piuttosto di
decisioni legate da un lato ad una scarsa attitudine a
programmare (e la programmazione degli investimenti in
Italia è notoriamente più impegnativa), dall'altro alle
numerose sollecitazioni provenienti dagli interessi
rappresentati negli organi di governo locale che l'assenza
di controlli aiuta a soddisfare. E' chiaro che, su un tema
di enorme rilevanza come quello in argomento, il controllo
strategico (di cui all'articolo 6 del decreto legislativo
n. 286/1999) potrebbe, se attivato, esercitare il ruolo che
gli appartiene.
2. Nella programmazione della spesa corrente troppo spesso
la soddisfazione di fabbisogni primari dei cittadini (quali, ad esempio, quelli legati all'istruzione) lascia il
posto a spese di grande visibilità (quali, ad esempio, gli
eventi e le manifestazioni legate al tempo libero) che,
appunto in virtù della maggiore visibilità, hanno la
precedenza nella scala delle priorità degli amministratori
locali. Anche in questo caso l¹assenza del controllo
strategico si avverte non poco.
La dimensione di questo fenomeno la gestione spesa nei
piccoli enti locali in assenza di controlli è già tale da
rendere necessaria ed improcrastinabile l'individuazione e
l'attuazione di forme di controllo che, pur nel pieno
rispetto della Costituzione, possano rendere graduale e, per
quanto possibile, indolore il passaggio dal vecchio sistema
dei controlli esterni (essenzialmente giuridico-formali, e
dunque scarsamente efficaci, ma pur sempre utili alla luce
dei fatti più recenti) al sistema di controlli interni
post-riforma che correttamente interpreta il controllo
essenzialmente nel senso di guida, supporto, consulenza, ma
per il quale i nostri enti locali sono tutt'altro che
maturi.
Non si tratta certo di tornare indietro quanto piuttosto di
investire, tanto e subito, nella qualificazione della classe
dirigente locale, affinché possa presto disporre delle
conoscenze necessarie a gestire efficacemente, utilmente per
i cittadini, i nostri Piccoli Comuni.
Virgilio Caivano
(x)
(x)
del
Coordinamento Nazionale Piccoli Comuni,
Associazione Culturale Europea -
www.piccolicomuni.com
-
virgiliocaivano@piccolicomuni.com
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