L'appello sulla devolution
C’è una parola che per merito di Bossi è entrata nel linguaggio
e nell’immaginario collettivo degli italiani: “devolution”. Che
cosa effettivamente sia non lo sa nessuno. Fa parte di quello
strano lessico di parole anglosassoni che per un singolare
fenomeno si impongono da noi anche quando non ce ne sarebbe
alcun bisogno: “deregulation”, Ministero del “Welfare”. Anche se
confusamente indica però una cosa: che il grande nemico degli
italiani è lo Stato, la nazione con le istituzioni che lo
incarnano, e che per rendere l’Italia più moderna, più ricca e
più efficiente bisogna trasferire il massimo di competenze
possibili alle regioni. E quindi tutto ciò che è regionale è
bello, tutto ciò che è nazionale è dannoso. “Roma ladrona” è lo
slogan che incarna felicemente questa filosofia.
Ebbene, è una filosofia completamente sbagliata. Il
decentramento di una parte delle funzioni amministrative,
soprattutto se fatto verso i comuni, che costituiscono la vera
base dello Stato, è sacrosanto. Ma il perno della vita pubblica
è lo Stato nazionale, le sue istituzioni, e con esso, possiamo
dire oggi, le istituzioni europee. E’ in questa sede che si
giocano veramente i destini d’Italia, è qui che si costruisce il
futuro.
Se guardiamo ai grandi problemi che ci stanno di fronte, quelli
che diranno (a seconda di come li si risolve) se imboccheremo la
strada del progresso o ci avvieremo verso un lento declino,
scopriamo che sono tutti di dimensione nazionale o europea:
immigrazione, ricerca scientifica, politica estera,
infrastrutture continentali. C’è qualcuno di questi temi che può
essere affrontato su scala regionale?
Il futuro non lo si costruisce dilatando i poteri delle regioni;
lo si costruisce rafforzando lo stato centrale. E’ per questo
che, dopo i referendum elettorali che ci hanno dato il
maggioritario, abbiamo l anciato le altre grandi sfide: riforma
della pubblica amministrazione, sindaco d’Italia.
Bossi ha vinto sul piano culturale, convincendo tutti ad
accettare, in qualche modo, l’idea della devolution e
dell’attacco allo stato italiano. Sta vincendo sul piano
politico, perché è sotto la sua spinta che l’Ulivo nella scorsa
legislatura ha varato una sconclusionata riforma del Titolo V,
ed è sotto la sua spinta che la maggioranza sta portando avanti
una amplissima e ancor più sconclusionata riforma della
Costituzione.
Ebbene, è tempo di voltare pagina, di spiegare che il nostro
futuro non dipende dal fatto che Formigoni o Storace abbiano un
po’ di soldi in più, ma dal fatto che abbiamo governi e
parlamenti seri, stabili, in grado di decidere e affrontare le
grandi sfide. E’ tempo di dire a voce alta che la questione
istituzionale non si risolve con riforme fatte a pezzi, e calate
in una conflittualità che spacca l’Italia, ma la si affronta con
un grande strumento che è la Assemblea Costituente, con un
organo che abbia i poteri per riscrivere una intera parte della
nostra Costituzione, e rappresenti tutte le istanze del paese.
Per questo ho diffuso ieri, su questo tema, un manifesto firmato
dal mio amico Luigi Zanda, senatore della Margherita, e da me.
Lanciamo queste idee. Ho voluto che il manifesto fosse firmato
da persone appartenenti a due aree diverse proprio per dire che
questi problemi li si affronta senza confini di schieramento.
Forse lo hai letto sui giornali di ieri. Comunque lo accludo di
seguito. Sarò lietissimo se avrò un tuo commento, un tuo
suggerimento, una tua critica.
Mario Segni
"NO ALLA DEVOLUTION" di
Mario Segni e
Luigi Zanda
In un tempo nel quale il senso dello Stato e la dignità delle
istituzioni nazionali vengono pericolosamente calpestati,
vogliamo con questo manifesto riaffermare il loro valore
assoluto come premessa al rilancio del paese verso quei
traguardi di convivenza civile e di benessere cui possiamo e
dobbiamo aspirare.
Antistato e devolution sono oggi due sinonimi.
La devolution è un modello istituzionale molto debole e
superato. Appartiene al passato e contraddice i veri bisogni
dell’Italia.
Nell’ultimo decennio la forte spinta al decentramento ha molto
rafforzato le autonomie regionali e comunali. In questo senso è
stata proficua. Ma adesso, se viene portata avanti in modo
estremo sino a indebolire e insidiare le istituzioni nazionali,
è antistorica.
La devolution è un’idea vecchia, com’è vecchia e pericolosa la
cultura che la promuove, intrisa di sentimenti antinazionali,
antieuropei, xenofobi se non addirittura secessionistici.
Un’idea astratta che non tiene nessun conto del funzionamento
dei moderni sistemi federalisti, che fanno tutti perno sul
raccordo e il coordinamento tra lo Stato e le autonomie locali e
non sulla loro separazione e contrapposizione.
La devolution non tocca il vero problema dell’Italia d’oggi che
ha invece bisogno di un proficuo equilibrio tra autonomie locali
responsabili e moderne e uno Stato snello e leggero, più
regolatore che gestore, ma proprio per questo ancor più serio e
credibile, con istituzioni pubbliche efficienti, capaci di
decidere e operare.
Una riforma in senso pseudo-federale della Costituzione può
rompere questo equilibrio positivo, provocando gravissimi danni
alla nostra stabilità istituzionale resa fragile e precaria da
operazioni di riforma improvvisate e non largamente condivise.
Le sfide dalle quali dipende il rilancio dell’Italia o il suo
declino hanno dimensioni europee e mondiali. Riguardano la
giustizia, l’immigrazione, la sicurezza ambientale, la ricerca e
l’innovazione, la globalizzazione e la competizione
internazionale, gli equilibri nord-sud, il nuovo ordine
mondiale. L’Italia non può affrontare questi obiettivi
chiudendosi in una angusta prospettiva di egoismi localistici
che nulla hanno a che vedere con lo spirito autonomistico della
nostra Costituzione.
Le grandi questioni del terzo millennio possono essere risolte
solo con uno Stato autorevole e rappresentativo. Sono sfide che
si vincono solo se il popolo si sente nazione e tiene conto
della storia e delle tradizioni comuni all’intero paese. Si
vincono solo con una forte integrazione in Europa e nelle
organizzazioni internazionali, unico vero strumento di dialogo e
di pace.
Questa è la battaglia per il futuro dell’Italia. La battaglia
della modernità.
Se non riusciremo a rinnovare veramente in questa direzione le
nostre istituzioni nazionali diverremo sempre più deboli in
Europa e nel mondo. Non avremo un domani.
Al rilancio dell’Italia servono innanzi tutto grandi battaglie
di respiro civile. Serve adoperarsi per la difesa della nostra
cultura, della nostra storia democratica e delle nostre
tradizioni. Serve un’Europa sempre più forte e autorevole. Serve
dare priorità nazionale alla lotta alla criminalità. Serve uno
Stato motore di sviluppo e di crescita economica che, allo
stesso tempo, sappia non invadere ambiti nei quali non è
strettamente necessario il suo intervento. Servono investimenti
per la scuola e l’università. Servono servizi sociali che
uniscano il paese e diminuiscano le distanze tra nord e sud, tra
ricchi e poveri. Serve anche una televisione pubblica
indipendente e pluralista, al servizio di quella democrazia
compiuta sulla quale il Presidente Ciampi ha spesso richiamato
l’attenzione degli italiani.
Ma soprattutto, al di là delle naturali differenze tra gli
schieramenti politici, riteniamo necessario che il nostro Paese
ritrovi una sua profonda unità su alcuni valori condivisi e
sulle regole fondamentali della vita pubblica.
Nulla nuoce al nostro futuro come la rottura di quei principi
sui quali poggia la nostra convivenza libera e democratica:
l’unità nazionale, la divisione dei poteri, lo stato di diritto,
la rigorosa distinzione tra l’interesse pubblico e gli interessi
privati.
Al di là della devolution, pericolosa e separatrice,
condividiamo l’opportunità di una riscrittura di quelle parti
della nostra Costituzione che è necessario vengano adeguate alle
mutate esigenze dei nuovi tempi.
A questo riguardo osserviamo come le procedure di revisione
della Carta costituzionale previste all’articolo 138, siano la
strada maestra per la modifica di pochi e circoscritti articoli.
Viceversa, ove la revisione dovesse interessare vaste parti
della Costruzione ed una pluralità dei suoi istituti, riteniamo
che sia necessario indire una Assemblea costituente.
Un’Assemblea eletta con il sistema proporzionale che, attraverso
uno sforzo comune e in una cornice di unità nazionale, si
impegni ad adattare la nostra Costituzione e, conseguentemente,
la nostra legge elettorale alle sfide del terzo millennio.
Mario Segni e
Luigi Zanda
GdS 28 II 2005 - www.gazzettadisondrio.it