DIBATTITO DOPO BERLUSCONI

di Mario Segni

Il berlusconismo

Il direttore del Riformista, Polito, ha avuto il merito di
aprire il dibattito sul dopo Berlusconi. Il provocante
articolo che invita Berlusconi a scegliere il successore è
infatti un modo di porre il problema cui tutti pensano ma di
cui nessuno parla. Ma il suo articolo ha un limite,
probabilmente inevitabile in un primo passaggio: che il vero
problema non è Berlusconi ma il berlusconismo, e che quindi
la questione politica che sta di fronte al centro destra non
è la persona che succederà a Berlusconi ma la linea politica
che seguirà.

L'impronta più forte il Governo l'ha data in questi anni
nella difesa ad oltranza degli interessi aziendali della
Fininvest e nella protezione del Premier e dei suoi amici
nelle questioni giudiziarie. Il giorno in cui Berlusconi si
ritirerà questo cesserà automaticamente, a meno che il
successore non sia Previti o Confalonieri. Ma che cosa verrà
al suo posto è tutto da vedere. Perché ci sono tre punti in
cui si è caratterizzata la politica di questi anni.
L'interruzione del processo di privatizzazione, ed anzi in
certi campi, vedi fondazioni bancarie, il ritorno a forme di
pubblicizzazione. Una politica istituzionale incentrata
sulla devolution di Bossi, con un accentramento di poteri
nelle regioni a scapito, non solo dello stato nazionale, ma
dei comuni. Una politica estera che ha abbandonato il
tradizionale europeismo per allinearsi progressivamente alla
nuova politica estera di Bush.

Assente una politica liberaldemocratica

In nessuno di questi tre campi si può parlare di una
politica liberaldemocratica. Non nel settore economico, dove
la spinta alla riduzione dello statalismo si è fermata, e
caso mai riprende proprio in settori dove più è discutibile,
come la vendita ai privati dei beni artistici e culturali
(consiglio la lettura di un bell'articolo a
firma Fisichella e Melandri, due ex ministri dei Beni
Culturali di opposti partiti, comparso qualche giorno fa sul
"Corriere della Sera"). Non in quello istituzionale, dove la
spinta della Lega crea un nuovo accentramento mortificando
la vera autonomia che è quella dei comuni. Neppure nella
politica estera, dove l'allineamento alla linea di Bush,
così diversa da quella tradizionale americana, ha più
l'aspetto di un nazionalismo mal inteso che di un nuovo
corso liberaldemocratico.

Il vuoto da riempire

Noi proponiamo una inversione di linea. Siamo europeisti
convinti, ci battiamo per il federalismo municipale,
vogliamo una grande liberalizzazione della società italiana,
anche se siamo convinti che questo non coincide con il
liberismo totale, ma richiede uno stato forte e
intelligente. Ma è in grado la coalizione di centro destra
di fare oggi questa svolta? No assolutamente. Non lo è
perché la alleanza con Bossi è in contrasto con una politica
liberale. Non lo è perché parte di AN è rimasta a vecchie
pregiudiziali stataliste. Non lo è soprattutto perché manca
un motore in questo senso. Avrebbe dovuto esserlo Forza
Italia, che si proponeva di diventare un partito
liberaldemocratico di massa. Non lo è stato perché un
partito azienda non può essere liberale.

E' questo il vuoto da riempire. Ecco perché noi proponiamo
un ritorno al grande pensiero liberale laico e cattolico.
Attorno a quelle idee, con un campo che fosse sgombro dal
partito azienda, si potrebbe ricomporre una grande alleanza
liberaldemocratica, il fulcro di una alternativa alla
sinistra moderna ed europea.
Mario Segni



GdS 18 XII 03  www.gazzettadisondrio.it

Mario Segni
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