MILANO E SONDRIO RISCOPRONO LA GRANDEZZA DEI LIGARI ("Disegni dalle collezioni private"). NELL'OCCASIONE DEL CENTENARIO DEL CREDITO VALTELLINESE (2 - ITINERARI LIGARIANI IN VALTELLINA
I Ligari furono abilissimi pittori.
Dopo aver ammirato i dipinti e i disegni riuniti nelle mostre di Milano e nella Sala Ligari del Museo Valtellinese di Storia e Arte di Sondrio, l'invito è ad inoltrarsi nel territorio alla scoperta dei cicli affrescati e delle grandi pale d'altare opera dei maestri settecenteschi.
Oltre alla celebre famiglia il visitatore scoprirà opere di sicuro interesse e un paesaggio inserito in una straordinaria cornice naturale. Insomma, i Ligari come intelligente pretesto per un fine settimana in una delle zone più affascinanti della Lombardia e non solo.
Le principali tappe:
CHIURO, Chiesa della Madonna della Neve e di S. Carlo
Il primitivo edificio cinquecentesco, registrato dalle visite pastorali sino al 1589, venne progressivamente ristrutturato ed ampliato a partire dal 1621 e consacrata nel 1629 dal vescovo Lazzaro Carafino sotto il doppio titolo della Madonna della Neve e di S. Carlo.
I lavori di costruzione e di decorazione proseguirono con continuità almeno sino al 1670, caratterizzando tanto la fronte esterna quanto l'aula ecclesiale con un ricco corredo plastico attribuito allo stuccatore ticinese Alessandro Casella.
Nella navata la nota dominante è affidata alla decorazione pittorica settecentesca della volta, realizzata da Cesare Ligari per le parti di figura e da Giuseppe Coduri detto il Vignoli per le incorniciature architettoniche.
Nelle tre campate di cui si compone la copertura del vano sono ordinatamente distribuite tre medaglie, raffiguranti dall'ingresso verso l'altare l'Allegoria della Purezza, l'Assunzione o Patrocinio della Vergine, l'Allegoria della Verità.
Le quadrature del Coduri circondano le medaglie di Cesare amplificandone l'effetto di allontanamento e sottolineandone con accortezza gli effetti luministici.
I caratteri tipici del venetismo di Cesare si risolvono, in questi anni estremi della sua carriera, in figure di maggiore gravosità e incombenza rispetto agli ariosi soffitti di palazzo Malacrida;
gli affreschi nella chiesa della Madonna della Neve di Chiuro sono tra le ultime opere di grande impegno della carriera di Cesare.
PONTE IN VALTELLINA, Chiesa di S. Ignazio
La fondazione di una comunità gesuitica a Ponte risale all'iniziativa del nobile Antonio Quadrio, medico alla corte imperiale di Ferdinando I d'Asburgo, sul principio della seconda metà del Cinquecento. I padri si stabilirono dapprima in case di antica proprietà Quadrio, ma è solo dopo la lunga e tormentata parentesi bellica conclusasi con il capitolato di Milano del 1639 che la residenza venne convertita in collegio.
Gli acquisti di proprietà attigue consentirono la progettazione di un nuovo e funzionale complesso di chiesa e collegio, realizzato solo in minima parte, di cui si conservano due planimetrie alla Bibliothèque Nationale di Parigi.
Il cantiere della chiesa venne aperto nel 1639 allorchè ebbe luogo la posa della prima pietra.
I primi interventi decorativi riguardarono le pareti laterali affrescate, sul finire del Seicento, da Giovan Battista Muttoni coadiuvato da un altro maestro negli ovali a monocromo sulle lesene.
Alla glorificazione trionfalistica della memoria di Ignazio di Loyola è legato il tema trattato nella grande medaglia che, entro voluminose e massicce quadrature, occupa il campo mediano della volta della navata: S. Ignazio che irradia la fede sul mondo, dipinto da Cesare Ligari nel 1749
Gli anni in prossimità della metà del secolo sono segnati infatti da commissioni di prestigio, soprattutto nel campo della pittura murale, che comprendono la volta della chiesa della Trinità a Como, entro quadrature di Francesco Palazzi Riva (ante 1746), la cappella di S. Carlo nella parrocchiale di Castione e la collaborazione con Mattia Bortoloni nella villa Casnedi a Birago (entrambe 1746), i lavori per Ponte e Villa di Tirano (1749-1750) e, a concludere, due medaglie per le ville Paravicini a Rebbio e Caimi a Turate (1750).
Numerosi sono inoltre i disegni ligariani di quadrature, destinate sia a incorniciare altari sia a scandire pareti e volte (Pietro Ligari, 1998, pp. 177-179). Dal confronto con questi materiali grafici è possibile indicare in Cesare, se non l'esecutore, almeno l'ideatore delle architetture dipinte della volta dei Gesuiti di Ponte.
LANZADA, Chiesa di S. Giovanni Battista
Gli affreschi del presbiterio della chiesa di Lanzada costituiscono una svolta importante nella vicenda umana e artistica di Pietro Ligari.
Tra il 1720 e il 1727 si registrano infatti diversi spostamenti tra Milano e Sondrio, talvolta con moglie e figli.
I dipinti di Lanzada costituiscono la prima grande opera del suo «ritorno in patria», come ebbe a definirlo lui stesso, e l'inizio di una progressiva affermazione, oltre che della sua maturità artistica. Tale svolta coincide significativamente con l'apertura del Mastro N, il poderoso e puntuale registro di conto della famiglia Ligari, che, nella notazione sui lavori, oltre alle spese fornisce alcune sintetiche informazioni: gli affreschi furono commissionati dallo zio materno don Francesco Mottalini e riguardarono il coro della chiesa di S. Giovanni Battista.
La chiesa di Lanzada
Tra XVII e XVIII secolo Lanzada era un borgo di 500 abitanti, collocato su un'importante via di passaggio per i Grigioni (il passo del Muretto), ma in un contesto ambientale e sociale piuttosto aspro.
La parrocchiale di S. Giovanni Battista è un edificio imponente, iniziato nel 1659 per l'intraprendenza del parroco don Giovanni Giogia; il successore don Francesco Mottalini, curato di Lanzada per 54 anni (dal 1692 al 1746), ne completò l'edificazione, dotandola di un ricco corredo. La chiesa fu consacrata l'8 giugno 1706 da Mons. Francesco Bonesana.
Pertanto nel 1720 don Mottalini si fece promotore di una campagna di decorazione del presbiterio, che presentasse la vita e la missione del santo titolare, incaricando il nipote Pietro Ligari; la madre dell'artista, Maria Maddalena, era una Mottalini di Ardenno e sorella di don Francesco.
Il Mastro N non indica la data di inizio dei lavori, né i particolari esecutivi dell'opera; in quegli anni il pittore aveva un allievo, Camillo Albasino da Magenta, che quasi certamente collaborò all'impresa.
Gli aspetti generali che caratterizzano gli affreschi sono la sapienza compositiva, l'equilibrio cromatico e la ricercatezza iconografica, che sottende conoscenze teologiche e scritturistiche profonde.
Gli spazi da affrescare erano la superficie di fondo del presbiterio, in parte occupata dalla piramide architettonica dell'altare ligneo, e le due ampie pareti laterali; a queste si aggiungeva la volta a botte e la cornice attorno ad una finestra serliana sopra l'altare.
Per quanto riguarda i soggetti degli affreschi, si è già accennato alla realizzazione di due Storie del Battista sulle pareti laterali: La predicazione del Battista davanti ad Erode sulla parete destra e La consegna della testa del Battista a Salomé sulla sinistra. Nello sfondato architettonico della volta è dipinta La gloria del Battista, luminosa composizione in cui il santo è accolto in Paradiso dalla Vergine e dalla Santissima Trinità. Ai lati della finestra absidale sono raffigurati due profeti: Isaia e Geremia. Nel sottarco di ingresso al presbiterio sono affrescati a finto stucco i Quattro Evangelisti, che si alternano alle Virtù cardinali, realizzate a grisaille. Sulla parete di fondo si trovano tre grandi figure allegoriche, spesso indicate come le Virtù Teologali; un'analisi appena attenta consentirà però di dissentire da questa identificazione, aprendo invece problemi interpretativi più complessi.
Sulla parete destra del presbiterio si trova il primo dei due grandi affreschi narrativi: La predicazione del Battista davanti ad Erode. L'ambientazione architettonica è molto scenografica: l'interno di un elegante palazzo, ripreso da un'angolatura trasversale.
Il secondo episodio, sulla parete sinistra, rappresenta l'apice drammatico della vicenda del Precursore: la Consegna della testa del Battista a Salomé. Si tratta di una scena nota e corrispondente al racconto evangelico.
La parete di fondo del presbiterio, dietro l'ancona lignea, è occupata dalla presenza di tre Figure allegoriche, personaggi femminili disposti secondo un triangolo equilatero perfetto. Le due figure laterali si trovano su finti piedestalli e la terza sopra una nuvola che sfonda, letteralmente, i limiti imposti dal cornicione architettonico
Le tre grandi allegorie quindi potrebbero presentare tre aspetti diversi dell'unica esperienza di fede: la croce, l'amore, la vittoria.
La figura di S. Giovanni Battista ben si prestava ad indicare questo percorso. Ma anche l'esperienza dei credenti di Lanzada, soprattutto in quei tempi così tormentati, poteva esserne sostenuta.
MORBEGNO, Chiesa collegiata di S. Giovanni Battista
La Collegiata di San Giovanni Battista, chiesa parrochiale di Morbegno e più importante monumento barocco della provincia di Sondrio, sorge sulla piazza lastricata di San Giovanni e poggia su due gradini che vanno a formare un sagrato rialzato. Si affaccia maestosa sulle vecchie case del centro storico cittadino, sulle quali sembra voglia diffondere la sua spiritualità e solennità.
La posa della prima pietra della collegiata di S. Giovanni Battista ebbe luogo il 14 aprile 1680; sorse a valle della chiesa precedente, di eguale dedicazione, che si trovava sul sito della piazza attuale e che fu definitivamente abbandonata nel 1714 dopo la solenne benedizione del nuovo edificio. Soltanto in un secondo momento, a partire dal 1738, vengono cominciati i lavori per l'edificazione della facciata.
La fabbrica della collegiata fu, sin dalle prime fasi costruttive, il risultato di una collaborazione di tutte le forze sociali e intellettuali, laiche e religiose, della comunità di Morbegno, tra cui anche diversi esponenti di nobili famiglie locali - i Paravicini, i Cotta, i Castelli - legate da rapporti di stima a Pietro Ligari. Non stupisce pertanto che, al momento di dare avvio alle prime campagne decorative, a breve distanza dall'apertura al culto della chiesa, le commissioni di maggior prestigio venissero affidate al maestro sondriese.
La presenza di Pietro e Cesare Ligari all'interno di S. Giovanni si distribuisce in pale d'altare e affreschi nelle cappelle gentilizie disposte sul perimetro della grande aula ellittica, in dipinti su tela di diverso formato e varia provenienza e, soprattutto, nel grande complesso decorativo dell'abside.
La prima commissione cui Pietro fu chiamato riguardava la decorazione della cappella di S. Michele (seconda di destra), di patronato della famiglia Cotta, nel 1724. Ai lati della pala di Pietro Maggi, raffigurante S. Michele arcangelo, probabilmente precedente, Pietro collocò due tele gemelle in cui compaiono la Comunione di S. Stanislao e S. Domenico che confuta un eretico. Probabilmente coeve sono le opere a fresco sulle pareti, animate da una ricca decorazione floreale ed architettonica che racchiude due figure di Angeli, quattro monocromi con le Virtù e sulla volta la medaglia con S. Michele che riceve l'ordine della cacciata degli angeli ribelli.
Pietro ebbe l'incarico di affrescare lo spazio più prestigioso della nuova collegiata, la parete ed il catino absidali, e di progettare la collocazione nello stesso sito del reliquiario della Santa Spina.
I lavori si svolsero tra il 1726 ed il 1727 e sono ben documentati anche dal punto di vista grafico Al centro dell'abside, alle spalle dell'altare, è affrescato il Battesimo di Cristo, in grande formato, entro cornice dorata; ai lati, tra le aperture riccamente incorniciate dalle quadrature, sono allineati i quattro Dottori della Chiesa, a figura intera, poggianti su pilastri svasati. Il catino è interamente occupato dal Trionfo dei simboli della Passione, che circonda il grande tabernacolo ligneo dorato, anch'esso eseguito su disegno di Pietro.
La pala raffigurante la Discesa dello Spirito Santo venne affidata a Pietro Ligari e collocata in sede nel mese di ottobre 1733, dopo aver impegnato il pittore per tre mesi «di continuo studio et operazione»
Tre anni più tardi la magnifica comunità di Morbegno fece decorare la cappella di patronato civico, dedicata al SS. Crocifisso (quarta di destra). Oltre al disegno dell'altare, Pietro fu incaricato di eseguire la pala raffigurante la Deposizione dalla Croce, collocata in sede nell'agosto 1736, annoverabile tra le opere di maggior efficacia drammatica nella produzione sacra del maestro.
L'elevato numero di cicli di affreschi e di tele, legati ai nomi più significativi dell'arte valtellinese fa della collegiata una vera e propria galleria d'arte settecentesca della provincia.
MORBEGNO Palazzo Malacrida
Il palazzo sorge nella parte alta dell'abitato, nella contrada detta per questa ragione Cimacase, all'imbocco della strada che conduce, salendo lungo le ripide pendici della Valle del Bitto di Albaredo, al passo San Marco. Il volto attuale è frutto dell'impegno di più generazioni della famiglia, a partire dall'ultimo quarto del Seicento fino a giungere all'età neoclassica.
I lavori si protrassero dal 1758 al 1762, e furono affidati a Pietro Solari, l'architetto, di origine e di formazione quasi sicuramente intelvese, che nei decenni centrali del Settecento si affermò come interlocutore privilegiato del ceto nobiliare grigione e valtellinese.
Fra i numerosi pittori e decoratori operosi nel palazzo elencati nelle Memorie , un posto di rilievo spetta a Cesare Ligari e al quadraturista Giuseppe Coduri detto il Vignoli.
L'impegno di Cesare comportava l'esecuzione di cinque "plafoni" , ma una serie di dissapori con il committente portò alla interruzione del rapporto, per cui il pittore si limitò ad affrescare le due volte del salone da ballo e dell'attiguo salotto delle Tre Grazie
Nella medaglia sulla volta del salone, di tematica squisitamente illuministica ( Il Trionfo della Verità nelle Arti e nelle Scienze sopra i Vizi e l'Ignoranza) ,Cesare Ligari ritorna alle sue radici veneziane, quasi recuperando una seconda giovinezza. Di ispirazione tiepolesca sono l'impianto a spirale ascendente , i colori chiari e luminosi, il gusto per i tessuti serici rigati e marezzati, la gradazione studiata della luce. Se il gruppo delle Arti, in cui la Pittura è raffigurata in atto di dipingere lo stemma dei Malacrida, si presenta, come "un'accademia di donne eleganti nel clima del razionalismo imperante", nonostante "le figure , rubiconde e corpose , tradiscano una certa rusticità paesana nei tipi ", nell'attiguo saloncino le Tre Grazie , in cui l'"eroico va stemperandosi nel salottiero" sono rappresentate come "dame in 'deshabillé ' con i corsetti allentati, le vesti procacemente scomposte, colte nella loro intimità dal pettegolo occhio dell'artista", secondo una interpretazione ironica e disincantata dei grandi temi mitologici e allegorici ricorrente in altri maestri del Settecento lombardo di cultura veneta.
DOMASO - Collegiata dei Santi Bartolomeo e Nicola
Documentata fin dal XIII secolo ma certamente di fondazione più antica (Zecchinelli 1951), la Parrocchiale dei santi Bartolomeo e Nicola di Domaso fu interessata nel 1551 da lavori di ampliamento che dovettero portarla ad assumere dimensioni non troppo dissimili dalle attuali (Fasoli 1904). Solo nel Settecento, grazie ad un lascito del canonico Giacomo Passalaqua, si procedette a nuovi interventi strutturali, con la costruzione della volta (1730), in sostituzione dellla copertura lignea precedente, e il radicale rinnovamento dell'area presbiteriale.
Degna di rilievo è la ripresa di attività del cantiere decorativo interno verso la fine del secolo, quando intorno al 1692, si procedette al rinnovamento della cappella dei santi Francesco e Antonio abate. Completato in gran parte l'allestimento delle cappelle affacciate sulla navata, i lavori pittorici subirono un sostanziale arresto fin oltre la metà del Settecento, quando a Domaso furono convocati il pittore Cesare Ligari e il quadraturista Felice Biella per metter mano alla decorazione dell'area presbiteriale, oggetto - come già ricordato - di una recente ristrutturazione.
Ottenuto l'ingaggio, Cesare lavora agli affreschi in due riprese, tra il dicembre del 1757 e il giugno successivo portandoli a compimento in quaranta giorni, come lui stesso riferisce in una lettera di qualche anno successiva.
Per l'estate del 1758 i ponteggi per gli affreschi furono smontati, rivelando ai fedeli due noti episodi delle storie dei santi titolari della collegiata, Bartolomeo e Nicola. La parete sinistra è dedicata il Martirio di San Bartolomeo, mentre sull'altro lato è raffigurato un Miracolo di San Nicola, la liberazione del giovane Adeodato.
COIRA Pietro Ligari all'Altes Gebäu, la residenza Salis
Il palazzo di Pietro Salis Soglio detto Altes Gebäu in Postrasse 14, attuale sede del Tribunale cantonale e di proprietà della Banca cantonale grigione, fu edificato verso la fine del terzo decennio del Settecento.
A Coira, nella cittadina centro politico ed economico dei Grigioni, Pietro Salis incaricò l'architetto David Morf di Zurigo di edificare la sede emblematica del suo potere e della sua ricchezza, dopo avere acquisito la cittadinanza nel 1727.
L'Altes Gebäu fu innalzato su un sito periferico rispetto al centro storico medievale, a lato della roggia dei mulini e vicino allo sconsacrato convento di S.Nicolao, ove furono abbattute vecchie costruzioni visibili sulla pianta della città del 1640.
Il palazzo presenta il prospetto sulla strada severo e sobrio, segnato dai rigori di un incipiente neoclassico, e un interno sfarzoso: al piano terra sale di uso prevalentemente domestico e funzionale, al primo piano sale di rappresentanza. L'ambiente più qualificato architettonicamente risulta il salone da ballo al primo piano affacciato non sul fronte principale, usuale nelle dimore settecentesche, ma internamente verso il giardino.
L'Altes Gebäu fu definitivamente compiuto nella parte edilizia e decorativa nel 1731.
Nel 1728 Pietro Salis Soglio affida al pittore valtellinese Pietro Ligari la decorazione dell'Altes Gebäu, da compiere con opere su tela e con affreschi. L'impiego della tela in luogo dell'affresco si motivava sia per aspetti logistici sia per la possibilità di realizzazione in studio e quindi meno vincolante, consentendo al pittore una maggiore libertà nella scelta della composizione.
L'incarico cade in un periodo particolarmente fecondo per il pittore, ristabilitosi dal 1727 in Valtellina, già esecutore degli affreschi della chiesa di S.Giovanni Battista a Morbegno e impegnato nel rinnovamento della chiesa collegiata dei Santi Gervasio e Protasio a Sondrio.
Altri successivi contatti tra Pietro Ligari e Pietro Salis si diluiranno negli anni sino al 1743 con richieste e forniture di opere da cavalletto. Tra i 'quadri da salà spediti a Coira talvolta Ligari proponeva lavori dei figli Vittoria e Cesare, entrambi provvisti di abilità pittorica e pronti a metterla in atto su altri registri, come una ricetta di famiglia. La vicenda di Pietro Ligari a Coira si pone emblematica di un artista che appare non sorretto da straordinario talento nativo ma che rifulge nella coscienza professionale e nella concezione etica dell'arte.
(Dalla Mostra)
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