IL CIGNO SELVATICO ovvero LA PRINCIPESSA DI CAIOLO
Nadia Tirelli, seducente e misteriosa con i suoi deliziosi cappellini, la pudica, vereconda veletta che le cela lo sguardo, i tacchi a spillo, l’elegante silhouette fasciata da trine, pizzi e volant, dai colori velati o traslucidi della seta e del taffettà, è una di quelle figure eteree che sembrano essere uscite direttamente da un romanzo dell’Ottocento. Nulla di eccentrico o anacronistico in lei, solo il rigore di un canone estetico incarnato in un design unico e irripetibile che si rinnova a ogni nuova sortita per le vie cittadine. Casa Tirelli è il vestito più bello, un magico scrigno che avvolge l’aristocratico incedere di un’amabile donna che vive il suo tempo nell’unicità di un culto estetico inconfondibile: un velo rosè adagiato su un divano a zampa di leone disegna finemente una linea longitudinale che rompe l’unità della trama del bianco damascato. Sulla consolle istoriata candelabri d’oro e d’argento, reliquiari e crocifissi. Nell’angolo, in penombra, una dolcissima maternità di arenaria veglia austera, mentre specchi preziosi in ogni angolo, ben 4 in una sola sala (troppi per chi a torto si è a lungo ritenuta brutta o almeno poco avvenente tra le belle di casa), inseguono il vezzoso ritratto di dame d’altri tempi tra preziosi e datati orologi, vasi policromi, poltrone liberty e una libreria sobria sui cui scaffali fanno sfoggio Arte e Poesia. I passi della padrona di casa risuonano asincroni sul bruno parquet di listoni lignei, mentre deliziosi putti dorati si affacciano timidi e pudichi su un antico arazzo.
“Quei due angioletti me li ha portati una sera Enzo. Uno, sorretto in una mano, e l’altro, nascosto dietro la schiena, entrando in casa come un bambino che vuol fare una sorpresa”- ricorda Nadia che in fondo, pur tra tante immagini religiose, si sente un po’ “bigotta” perché incapace di essere pienamente coerente con il messaggio evangelico.
Nadia Pirana, o meglio Bonomi, anzi Tirelli, nasce in un angolo delizioso di Caiolo, in una graziosa casa accanto ad un grande frutteto.
I suoi ricordi d’infanzia sono come grani di un Rosario gaudioso snocciolati uno dopo l’altro con la sincera gioia di chi assapora antichi sapori.
Lei, a 4 anni, penzoloni sul vuoto, sospesa in bilico sotto l’immensa vastità della volta celeste, a cavalcioni sulle spalle di papà Erminio che la sorreggeva forte per le mani, a contemplare insieme le stelle e tentare vanamente di riempire un vuoto incolmabile di una tragica e dolorosa assenza.
“Mai come allora ho sentito mio padre che mi teneva stretta a sé e mi indicava le costellazioni. Ancora oggi, ogni volta che osservo l’Orsa Maggiore, mi commuovo ripensando a quella sera. Un’emozione che si è riacutizzata quando mi sono imbattuta nella celebre frase kantiana fin troppo abusata: “Due cose mi commuovono al mondo: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”. Quella sera ho avuto la percezione del sacro naturale, il precorrimento della profondità dell’essere uomini di fronte alla natura, un’emozione ineffabile che non sapevo esprimere, ma che ho ritrovato pienamente in questa felice espressione.
Mia madre mi aiutava a cucire gli abiti per le mie numerosissime bambole ed anch’io mi divertivo a confezionare malamente giubbotti e gonne (le maniche proprio non mi venivano bene) rubando le cravatte smesse di mio zio.
I ricordi si fanno poi più scanzonati.
“Come dimenticare le allegre e sfrenate scorribande con i miei cugini nel frutteto del nonno! Ma Bortolo, il factotum del nonno, era un diavolo dispettoso che minacciava di spifferare tutto, tanto da meritarsi un piccolo poema epico il cui incipit suonava pressappoco così:”Sordo e orbo faceva la spia…”.
A chi fu affidata a sua educazione religiosa?
“Le “pie monache” di Caiolo mi hanno voluto bene, anche se con il loro catechismo fatto di dogmatismi inconfutabili mi hanno spesso fatto sentire in balia del giudizio di Dio severo che teneva conto di tutto, che mi giudicava dall’alto per le mie malefatte quotidiane. Ma a loro devo molto, come l’ingenuo senso di stupore di fronte al Natale, l’attesa del Bambino che a mezzanotte in punto avrebbe fatto la sua comparsa sull’altare. A loro devo la poesia dell’andare a Messa di notte attraverso la piccola mulattiera dietro casa, con il cielo stellato, un freddo pungente, acuto e così vitale. E, se nevicava, l’ attesa della Nascita si faceva ancora più bella per un evento religioso a cui anche il paesaggio partecipava, caricato di questo mistico senso di attesa. Come dimenticare il presepe preparato di nascosto da mamma e papà e svelato a Mezzanotte quando venivo svegliata. E, dopo la Messa,… il Bambino!”
Tra i giocattoli preferiti Nadia ha sempre avuto una particolare predilezione per la sua prima bici.
“Una bicicletta rosso fiammante, di seconda mano, venuta dal cielo, così bella che mi pareva brutto non tenerla sempre vicino, di non potermela portare a letto. Ma non potevo.
Iniziano poi le avventure scolastiche.
“Ricordo con grande affetto e riconoscenza le mie due ottime maestre, Carmen Sprengher e Giacomina, Mina Regalini Chiodo. Hanno cercato di educarmi ad un profondo senso critico dinanzi ai vari fatti della vita. E noi eravamo ipercritiche e diffidenti anche nei confronti dei giornali. Non volevano che fossimo creduloni e noi avevamo recepito talmente bene il massaggio che dicevamo:” Ho letto sul tale giornale che Peppina stava male, ma sul Corriere Peppina stava bene. Come sta Peppina?”
Una scuola molto diversa da quella di oggi.
“Le mie insegnanti applicavano metodi moderni: in classe eravamo in pochi e i nostri banchi erano in circolo attorno alla cattedra. Ognuno di noi portava una piantina da curare ed eravamo abituate al decoro del vestire e della pulizia della nostra classe di cui ci occupavamo personalmente con grande amore. Spesso ci portavano belle stampe, immagini importanti, per abituarci al gusto del bello anche se vivevamo in un mondo povero. La loro severità era sempre mitigata da un senso di umanità e comprensione. Andavo d’accordo con i miei compagni e, anche se tra noi poteva nascere qualche simpatia, non osavamo confessarlo nemmeno a noi stessi. Studiavamo spesso insieme, ma in fretta, per andare subito a giocare a salterello o a palla prigioniera dinanzi casa: eravamo animali da cortile. Animali felici. O quasi. Nella prima infanzia anche mio padre era un fedele compagno di giochi e, quando ero ammalata, mi divertiva con le ombre cinesi o teatrini improvvisati di marionette con vestitini cuciti da mamma e da due colleghe di papà che partecipavano al rito della vestizione.
Il passaggio alle Medie è avvenuto senza traumi?
“Le scuole nell’attuale Tribunale in Via Mazzini ospitavano al mattino Ragioneria, Geometri e Scientifico, mentre la media Ligari, l’unica di allora, presieduta da Alma Bonomi, al pomeriggio.
Io ero l’unica “sopravvissuta” del mio gruppetto. Trovai ottimi insegnanti come Alba Dell’Acqua che mi diede il gusto dell’analisi testuale, del valore etimologico, semantico, comunicativo della parola. La lettura dell’Iliade di Monti fu una vera pietra miliare per l’avvolgenza ondosa dei versi capaci di farti sentire fisicamente l’intensità di una lettura che ti tiene sospesa”.
Il suo approccio con il mondo teatrale è stato invece disarmante.
“Da piccola mi fu affidata la parte della stupidina in una piccola scena buffa. Accettai solo per desiderio di esibirmi, ma l’unica volta che mi era toccato un ruolo importante per la festa della direttrice non andai a prendermi la rosolia!”
Al Liceo Classico Piazzi il primo approccio con la creatività poliedrica del mondo ellenico accanto al rigore linguistico di un latino dalla struttura quasi militaresca, di rigorosa logica aristotelica.
“Ricordo persone veramente profonde come il professor Sandro Massera, la professoressa Adriana D’Introno, Mons. Ugo Pedrini e Cesarina Colombo, la mitica professoressa di Matematica dal carattere piuttosto vivace. In questo mi somigliava molto: adoro l’agone dialettico”.
E l’amore?
“Avevo 18 anni. Sul verone del paterno ostello di Caiolo inondato dal sole mangiavo ciliegie, quando una macchina si ferma e ne scende un giovanotto di belle speranze e di gentile aspetto. Enzo si avvicina con una certa titubanza al cancello, poi sbotta tutto d’un fiato: “Signorina, io l’ho notata già da molto tempo, non ho mai osato fermarla lungo la strada, ma vedendola qui…” Naturalmente sono stata lusingata però dalla galante avance, anche perché a confronto della mamma o delle mie cugine mi vedevo proprio brutta.
Ci pensò però mia nonna a farmi notare che avevo un collo da cigno, e ad attribuirmi delle splendide orecchie, oltre ad un bel portamento e, per valorizzarli, di ritorno da un viaggio mi portò in dono un piccolo collier vittoriano e due orecchini che ancora oggi indosso con piacere. A quel tempo si era molto riservati, ma Enzo, dopo una dichiarazione lampo, vari appostamenti all’uscita di scuola per consumare un pezzo di strada insieme, e una buona frequentazione in casa mia, voleva proprio sposarmi”.
Pochi anni dopo le nozze nasce Eugenio. Ma com’è Nadia Tirelli come mamma?
“Una frana. Ho vissuto la maternità con gioia, ma anche con la paura di non essere all’altezza. Fortunatamente c’era mio marito anche nelle piccole incombenze quotidiane, accompagnato ad una bravissima signorina ora madre di un sacerdote. Eugenio è stato un bambino molto amato anche da mia suocera che ha vissuto con me la trepidazione dell’attesa”.
Infine la svolta professionale come educatrice.
“Piccole esperienze al Classico nel ’66 furono preludio al mio I incarico allo Scientifico cittadino dove sono restata fino allo scorso mese. Il mio rapporto con la scuola è stato complesso, difficile e impegnativo, trascorso tra piccole miserie, sconfitte, errori di cui sono dispiaciuta, ma anche con momenti di grandissima emozione.”
E con gli alunni?
“Tutti abbiamo, insieme, cercato la bellezza. Con loro ho sempre avuto un rapporto aperto al confronto e, anche se ne ho perso nel tempo il nome o il volto, ciascuno mi è stato ugualmente caro, cercato individualmente. Ora, al termine della mia attività scolastica, sono assorbita dalla cura di mamma Anna”.
Una madre dolcissima che nella sua vita ha fatto girare la testa a tanti uomini, una donna che tanto sa di eleganza e di tango, maestra di vita e savoir-faire, nella gioia e nel dolore, nel tumulto tempestoso o nel sereno scorrere della vita quotidiana.
Nello Colombo