Capitolo quinto. LA NASCITA DELLE COMUNITA’ MONTANE. 1) PERDUTA UN’OCCASIONE D’ORO PER L’AUTONOMIA CON LA DIVISIONE IN DUE DELLA PROVINCIA
PREMESSA
L’antivigilia del Natale 2001 è giorno importante per la montagna italiana. La Gazzetta Ufficiale pubblica la Legge 3 dicembre 1971, n. 1102 “Nuove norme per lo sviluppo della montagna”. Si tratta di una novità che potremmo definire strutturale. In precedenza il quadro di riferimento era costituito dalla legge. 25 luglio 1952, n. 991 “Provvedimenti in favore dei territori montani”. Ottima legge, con anticipazioni importanti quali una programmazione, anche in fase preventiva, bonifica ecc., e della quale ha abbondantemente usufruito la provincia grazie all’ottimo lavoro svolto dalla SABM (Sezione Autonoma di Bonifica Montana del BIM). A questo va aggiunta la significativa, e produttiva, presenza nel primo Governo Rumor (12.12.1968 - 08.08.1969) del sen. Athos Valsecchi alla guida del Dicastero dell’Agricoltura. La 1102 apre invece una nuova strada
LA LEGGE 3.12.1971, N. 1102 “NUOVE NORME PER LO SVILUPPO DELLA MONTAGNA”
Le finalità danno subito il taglio: Le disposizioni della presente legge sono rivolte a promuovere in attuazione degli articoli 44, ultimo comma (“La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane.”), e 129 (“Le Province e i Comuni sono anche circoscrizioni di decentramento statale e regionale. Le circoscrizioni provinciali possono essere suddivise in circondari con funzioni esclusivamente amministrative per un ulteriore decentramento.”) della Costituzione, la valorizzazione delle zone montane favorendo la partecipazione delle popolazioni, attraverso le Comunità montane, alla predisposizione e all'attuazione dei programmi di sviluppo e dei piani territoriali dei rispettivi comprensori montani ai fini di una politica generale di riequilibrio economico e sociale nel quadro delle indicazioni del programma economico nazionale e dei programmi regionali.
LE NOVITÀ, A RAFFICA: COMUNITÀ MONTANE, PROGRAMMI, PIANI
Subito viene definito un soggetto del tutto nuovo che qualcuno definirà addirittura a-costituzionale: la Comunità Montana. Si introducono programmi di sviluppo e piani territoriali. Per che cosa? Per la eliminazione degli squilibri di natura sociale ed economica tra le zone montane e il resto
del territorio nazionale, per la difesa del suolo e la protezione della natura mediante una serie di interventi intesi a:
a) dotare i territori montani, con la esecuzione di opere pubbliche e di bonifica montana, delle infrastrutture e dei servizi civili idonei a consentire migliori condizioni di abitabilità ed a costituire la base di un adeguato sviluppo economico;
b) sostenere, attraverso opportuni incentivi, nel quadro di una nuova
economia montana integrata, le iniziative di natura economica idonee alla valorizzazione di ogni tipo di risorsa attuale e potenziale;
c) fornire alle popolazioni residenti nelle zone montane, riconoscendo alle stesse la funzione di servizio che svolgono a presidio del territorio, gli strumenti necessari ed idonei a compensare le condizioni di disagio derivanti dall'ambiente montano;
d) favorire la preparazione culturale e professionale delle popolazioni montane;
e) di realizzare gli interventi suddetti attraverso piani zonali di sviluppo da redigersi e attuarsi dalle Comunità montane e da coordinarsi nell'ambito dei piani regionali di sviluppo.
ZONE OMOGENEE E COMUNIRÀ MONTANE
Viene demandata alla legislazione regionale la delimitazione, nei territori montani, delle zone omogenee ma “d'intesa con i comuni interessati”.e la costituzione, in ciascuna zona omogenea tra i comuni che in essa ricadono la Comunità montana, ente di diritto pubblico. Dovrà essa inoltre indicare le norme cui le Comunità montane dovranno attenersi: a) nella formulazione degli statuti; b) nell'articolazione e composizione dei propri organi; c) nella preparazione dei piani zonali e dei programmi annuali; d) nei rapporti con gli altri enti operanti nel territorio. Alla Regione pertanto
compete legiferare per delimitare le zone e indicare i comuni chiamati a costituire le
Comunità montane; emanare le norme citate, determinare i criteri per ripartire tra
le Comunità i fondi assegnati; approvare gli statuti delle singole Comunità; coordinare ed approvare i piani zonali; regolare i rapporti tra Comunità ed altri enti operanti nel loro territorio.
I PIANI DI SVILUPPO ECONOMICO-SOCIALE E L’OCCASIONE PERDUTA
La prima novità riguarda il piano pluriennale per lo sviluppo economico-sociale della zona che ogni C.M. dovrà approntare entro un anno.. Omettendo le indicazioni sui contenuti ricorderemo la grande novità che la legge prevedeva: “Al piano di sviluppo economico-sociale della zona, così formulato, debbono adeguarsi i piani degli altri enti operanti nel territorio della Comunità”. Grande norma ma di cui nessuno ha fatto uso in Italia soprattutto perché, volando basso, si è arrivati ad un elevato numero di Comunità Montane (in Lombardia prima 27 e poi 31, in Piemonte quasi una cinquantina!), di piccole dimensioni e quindi di scarsa autorevolezza. Poche in Italia erano in grado di avvalersi di questa straordinaria norma ed erano unicamente le maggiori come Valtellina, la prima in Italia, e Valcamonica. Occasione perduta ai fini di una programmazione reale e una pianificazione concreta.
PIANI DI SVILUPPO URBANISTICO
Alla Comunità Montana viene data facoltà con un “può”, culturalmente demoralizzante, di “redigere piani urbanistici, di cui si dovrà tener conto nella redazione dei piani generali di bonifica, dei piani regolatori e dei programmi di fabbricazione che i comuni sono tenuti ad adottare”.
E’ il vero elemento di novità concreta. I piani di sviluppo economico-sociale sono infatti aleatori per la loro natura nessuno avendo riferimenti certi di risorse e settori prioritari per via dei mille vincoli esterni. Piani di sviluppo urbanistico no. Per fare un esempio lampante si pensi a quella sfilata di capannoni ai lati della Statale 38 da tutti, o quasi, negativamente giudicati. Con il piano della Comunità unica della Valtellina non ci sarebbe stato quell’obbrobrio. Il piano però prima fu infilato nei cassetti degli uffici milanesi e poi vanificato dalla vivisezione della grande in quattro piccole Comunità…
LA SITUAZIONE IN PROVINCIA
La situazione in provincia, alla data della 1102 e cioè a fine 1971, è notevolmente diversa da quasi tutte le altre zone montane del Paese. C’è il Consorzio dei Comuni del Bacino Imbrifero dell’Adda, comunemente chiamato BIM e c’è la Sezione Autonoma di Bonifica Montana, comunemente chiamata SABM, operante all’interno del BIM senza quindi la necessità di altro Ente (Consorzio di Bonifica). Nel BIM sono consorziati tutti e 78 i Comuni della provincia, mentre ne resta fuori il Comune di Sorico, provincia di Como ma bacino imbrifero dell’Adda, ricevendo annualmente una quota consensualmente concordata. Sul piano politico la Democrazia Cristiana, maggioranza assoluta, guida tutti gli Enti e larga parte dei Comuni. Nell’assemblea del BIM sparuta è la presenza di altre parti politiche che non ci sono nel Consiglio Direttivo e nel Comitato esecutivo. Questa situazione influenzerà molto il dibattito e condizionerà l’attuazione della legge 1102 con posizioni radicalmente opposte, in parte anche dentro la DC. Prevarrà il dato politico su quello Istituzionale che però recupererà successivamente per poi risultare sconfitto a Milano (non solo).
UNA O PIÙ COMUNITÀ MONTANE IN PROVINCIA?
La Regione deve legiferare. Punto cruciale la delimitazione delle zone omogenee, in altri termini la definizione dei confini delle Comunità Montane. Dopo un ampio dibattito interno la DC indica la via dell’unica Comunità Montana. Sulla stessa posizione i Partiti laici. I socialisti, seconda forza politica con quasi il 20%, si battono per cinque Comunità corrispondenti alle zone tradizionali della provincia. A loro fianco si schierano fra l’altro anche i Sindacati ma si muovono, soprattutto in Valchiavenna dissidenti (sull’argomento) DC. I comunisti invece sono per quattro Comunità, accorpando in sostanza Tiranese e Alta Valle, tenendo d’occhio evidentemente la situazione di Sondalo, Comune tradizionalmente di sinistra, e del suo maxi-ospedale.
VALTELLINA LUNGIMIRANTE
In Valtellina non ci sono grossi problemi. Scontato il NO alla Comunità unica dei Comuni di sinistra, la maggior parte dei 65 Comuni si pronuncia per il SI. E’ importante questa scelta perché la Regione, che avrebbe voluto una dizione di legge meno vincolante vale a dire “sentiti i Comuni” rispetto a quella invece diventata norma “d’intesa con i Comuni”. Qualche incertezza iniziale in Alta Valle facendo sponda alla ventata autonomistica che prevarrà, sia pur di misura, in Valchiavenna. “Valtellina lungimirante”, l’espressione uscita in una importante riunione di tutti i responsabili, amministratori e politici, dell’Alta Valle. Senza costituire apprezzamento negativo nei confronti di chi la pensava diversamente chi si era così pronunciato rifletteva una posizione diffusa: per contare a Milano dobbiamo unire le forze, non dividerci e farci coordinare da qualche funzionario regionale. Si vedrà la lungimiranza di questa uscita.
VALCHIAVENNA INDIPENDENTISTA
La situazione di allora non era quella di oggi che vede un Ente di larga maglia, la Provincia, titolare di ampie competenze specie, quel che più conta, in fatto di programmazione e pianificazione. Provincia che allora si occupava di strade, di alcune scuole, del manicomio, di un piccolo settore assistenziale e poco più. Oggi le cinque Comunità Montane sono in ben altra posizione compreso anche il fatto che di fatto si sono sostituite in gran parte al BIM nell’amministrazione dei fondi derivanti dai sovracanoni persino in difformità da quanto sancito dalla Corte Costituzionale.
C’erano due visioni diverse. Una che prendeva la forte carica innovativa della legge 1102 interpretandola in chiave strategica e quindi, senza mettere in canto la partecipazione, volando alto.
L’altra era quella, per carità meritoria pur essa pur di accontentarsi, fortemente incentrata sulla partecipazione e in una logica più di CM come grosso comune e quindi di esercizio associato di servizi e funzioni.
LA DC, MAGGIORANZA ASSOLUTA, PER UNA SOLA COMUNITA
Siamo “alle cinque della sera”. Gli occhi sono puntati sulla Democrazia Cristiana cui fa riferimento la maggior parte dei Comuni. Il vincolo di legge è tassativo: compete alla Regione la delimitazione delle zone omogenee e quindi delle Comunità Montane ma deve farlo “d’intesa con i Comuni”. Dopo la promulgazione della legge 1102 c’è stato un periodo di forzata attesa per via dello scioglimento del Parlamento e conseguenti elezioni anticipate con una campagna elettorale che allora era molto più lunga dell’attuale. Alle spalle il voto e il dibattito conseguente è la DC a dare il via agli approfondimenti sul delicato ed importante tema. Il 9 luglio si riunisce il Comitato Provinciale della DC. L’organo di Partito, ma ad un tempo principale giornale di informazione della provincia, “Il Corriere della Valtellina” del successivo sabato 15 dedica ampio spazio al dibattito e così sarà anche per le settimane successive. La posizione è chiara ed unanime: proposta ai Comuni per la scelta di una sola Comunità in provincia e impegno, da tradurre in norme statutarie, per forme di partecipazione dei rappresentanti comunali nella determinazione degli indirizzi di gestione dell’Ente.
Sono su questa linea anche i Partiti laici, non il PSI, secondo Partito in provincia, che è per cinque Comunità, come i Sindacati, e il PCI che è per quattro Comunità.
SORPRENDENTE PROPOSTA DELLA REGIONE
Sorprendente la proposta dell’Assessorato regionale all’Agricoltura inviata ai Comuni il 20 luglio. Si prospetta loro la scelta tra tre diverse ipotesi:
a) una di tredici Comuni e una di 65.
b) una di otto Comuni e una di 70.
c) una di 78 Comuni.
In altri termini quella di tredici Comuni è la Valchiavenna, quella di otto è l’Alta Valle con l’aggiunta agli storici cinque Comuni Sondalo, Grosio e Grosotto.
LA SCELTA DEI COMUNI: COMUNITA’ UNICA
I Consigli Comunali via via si pronunciano. A metà novembre il quadro è definito.
- COMUNI: Su 78 Comuni si sono espressi 74.
53 per la Comunità Unica, 20 per più Comunità, uno del tutto atipico: Livigno si è pronunciato per la Comunità di Livigno!
- ABITANTI: 122.608 quelli dei Comuni per la CM unica, 33.240 per più CCMM.
- TERRITORIO: ha 212.817 quelli dei Comuni per la CM unica, 70.600 per più CCMM
I COMUNI NON D’ACCORDO
Comuni non espressi Bormio, Cercino, Mantello, Teglio.
Comuni non per una CM unica ma per più Comunità
- In Valchiavenna Mese, Novate, Piuro, Verceia per la CM di Valchiavenna
- In Alta Valle Livigno, come detto, per la CM di Livigno, Sondalo per la CM dell’Alta Valle
- Nel resto della Valtellina per più CCMM Albaredo, Ardendo, Bianzone, Caiolo, Castello, Castione Cedrasco, Lovero, Mazzo, Piateda, Ponte, Postalesio, Serio, Tartano, Villa di Tirano
LA “COSPIRAZIONE”
Il pronunciamento è chiaro. La Regione non ha che prenderne atto. “Non avrebbe” che prenderne atto. In realtà questa soluzione non piace in quel di Milano. E anziché procedere indugia, e si vedrà perché.
Vengono a saldarsi tre fattori:
a) L’idiosincrasia negli ambienti regionali per una CM coincidente col territorio provinciale. C’è il timore, peraltro fondato, che questa soluzione sia brodo di coltura per una tenuta autonomia. Un autorevole personaggio della Regione, a chiara dimostrazione di questo timore, chiede discretamente se non è possibile una soluzione che preveda due CCMM, quella di Livigno e il resto… In fin dei conti il prof. Alberto Quadrio Curzio ha definito la Valtellina, intesa dalle Lepontine all’Ortles, come vera e propria Regione Alpina. C’è un’occasione d’oro, visto cosa prevede la legge 1102, per la Valtellina, da vedere come il fumo negli occhi a Milano.
b) Le posizioni politiche di PSI che è in maggioranza e nella Giunta Regionale, e del PCI, all’opposizione, ma entrambi fortemente contrari alla CM unica
c) Il campanile di Valle. Le aspirazioni locali, stimolate e sorrette da Milano, di un’autonomia di Valle – 13 Comuni, 23.000 abitanti - prevalgono sul grande disegno di un’autonomia autorevole di provincia che ripetendo, Quadrio dixit, in realtà è Regione Alpina. Si saldano la sinistra DC con le forze di sinistra. E via con il lavorio per ribaltare il precedente risultato.
TRE FATTORI CONTRO LA CM UNICA
Si tratta di tre fattori che combinati insieme andranno a determinare la scelta finale della Regione. Inutilmente la DC provinciale cerca di trovare una accettabile mediazione. Inutilmente in particolare la sinistra del Partito provinciale cerca di convincere i fautori della CM di Valchiavenna, della sinistra democristiana. Nella seduta del 25 gennaio 1973 dopo un dibattito non solo impegnato ma anche culturalmente fecondo la DC approva un documento nel quale si garantisce la presenza delle cinque zone negli organi dell’Ente, si prevedono “sub-piani” da redigersi a cura dei rappresentanti dei Comuni di ciascuna delle cinque zone della provincia, relativi alle scelte di carattere locale, si garantisce un’equa distribuzione di risorse nelle varie zone in un certo arco di tempo, saggia misura per evitare una sorta di parcellizzazione annuale con inevitabile serie di interventi a pioggia. Una soluzione di alto profilo per conciliare le esigenze di carattere generale di fronte a problemi concernenti la provincia nel complesso e quelle di ambito locale.
Il documento è approvato all’unanimità ma non basta. I fautori della CM di Valchiavenna vorrebbero anche l’autonomia decisionale, cosa che non può essere prevista a livello Statutario.
RIBALTONE IN VALCHIAVENNA
Il risultato della precedente consultazione dei Comuni viene rimesso in discussione, solo in Valchiavenna, naturalmente nessun problema essendoci invece in Valtellina. Alle battute conclusive su tredici Comuni sei hanno confermato il SI. In un incontro il giorno prima del Consiglio Comunale i vertici provinciali della DC hanno l’assicurazione del SI di Verceia. Con questo, 7 su 13, risulterebbe confermata la scelta per la Comunità unica. Nella notte però piombano a Verceia i fautori della CM di Valchiavenna e strappano un consenso di misura che l’indomani porterà, con la deliberazione consiliare, la situazione in parità. Resta Chiavenna, Comune a maggioranza assoluta DC. Il gruppo consiliare DC si spacca. Sinistra DC, PSI e PCI votano per la CM unica. Il Sindaco Aleandro Moro si dimette. Ribaltato quindi il precedente risultato. La Regione, dopo gli indugi delle settimane precedenti, questa volta è un fulmine nel decidere quasi alle idi di marzo la delimitazione delle CCMM. Nella nostra provincia due, Valtellina e Valchiavenna.
E’ prevalso il disegno autonomistico valchiavennasco, di ambito locale. Sfuma un disegno autonomistico di più vasto respiro. Non un’autonomia locale, all’interno di logiche zonali (provincia) ma nei confronti di una Regione che con i suoi 9 milioni di abitanti, una volta e mezza quelli della Svizzera, e con i problemi legati alla sua struttura socio-economica, ha ben altri problemi rispetto a quelli dell’unica provincia interamente montana. E’ vero che si è stralciata una zona limitata con in tutto un sesto dei Comuni della provincia e tra un settimo e un ottavo della popolazione, ma si ricordi la proposta di Livigno. A Milano sarebbe bastato questo, evitando così la coincidenza della Comunità con la provincia, pericoloso innesco, appunto, di un discorso autonomistico che avrebbe avuto un supporto legislativo fortissimo, anche se pochi se ne erano accorti. D’altronde si è poi visto nel funzionamento concreto quale rilievo e autorevolezza avesse la Comunità di Valtellina. Pari a pari con i vertici della Regione, con l’ANAS a Roma (ironia della sorte: grazie alla CM di Valtellina arrivarono i finanziamenti anche in Valchiavenna per le gallerie di Verceia e Novate della SS 36) con l’ENEL, con il Credito Svizzero in quel di Zurigo, con il Magistrato del Po, con l’AEM (per la prima volta toccò a Presidente e Direttore venire a Sondrio come puntualizzato dalla CM i cui responsabili erano stati invitati, come abitudine costante, a Milano). Avesse potuto giocare la carta autonomistica…!!!
B.U.R.
A fine aprile il B.U.R. ufficializza le scelte pubblicando l’elenco delle 27 Comunità Montane lombarde. I Comuni nominano i loro rappresentanti. In Valchiavenna l’Assemblea conta 41 consiglieri, in Valtellina 205. Fiumi d’inchiostro per dimostrare che con 205 membri non ci sarebbe stata partecipazione, posizione di retroguardia prefigurando l’assemblea come una sorta di grande Consiglio Comunale invece di guardare avanti. Di guardare a un Ente strutturato in Commissioni, con adeguate istruttorie e funzionamento mutuato dalle assemblee legislative, ad esempio il Consiglio Regionale. Un organo inoltre con qualificate rappresentanze politiche di livello provinciale.
IN VALCHIAVENNA
Il 26 settembre la prima seduta a Chiavenna. Sondrio, varie sedi, non interferisce minimamente, autonomia completa. Viene nominato un Ufficio di Presidenza ovviamente provvisorio perché per gli incarichi definitivi prima deve essere predisposto lo Statuto che deve avere l’approvazione regionale. Presidente Virgilio Longoni, che poi diverrà Presidente dell’Ente. Vicepresidente per la maggioranza Fausto Barincelli, Vicepresidente per la minoranza Gino Festorazzi. Viene nominata la Commissione per lo Statuto che risulta composta da Da Ponte, Fustella, Giovannettoni, Raineri, Sciucchetti, Tognini per la maggioranza e Canali, Olivieri, Cipriani per la minoranza.
IN VALTELLINA
Il 6 novembre la prima seduta a Sondrio ove si segue una linea diversa. Viene nominato un Ufficio di Presidenza dell’Assemblea, con Alberto Dassogno Presidente, Geremia Fumagalli Vicepresidente per la maggioranza e Giancarlo Giugni Vicepresidente per la minoranza. Poi la nomina della Commissione per lo Statuto che viene investita anche di pur limitati compiti esecutivi che permetteranno un primo utilizzo di risorse. Alla Presidenza Mario Garbellini. Con lui Maganetti, Oreggioni, Rovaris, Visini e Giumelli (PSDI) per la maggioranza; Zoia, Bonafoni e G. Bettini per la minoranza.
AVVIO DELL’ATTIVITA’
Avvio dell’attività. Non fine a se stessa. I Partiti, contrariamente all’immagine diffusa, e non disinteressatamente, di macchine da potere e peggio, erano, almeno qui da noi, luoghi di discussione e di elaborazione. Basta consultare le raccolte dei giornale per vedere con quale frequenza, con qualche intensità, con quale spessore si affrontassero i problemi della provincia, non dimenticando anche quelli di più larghi orizzonti. La Comunità unica, la maggiore d’Italia, in quei mesi calamitò veramente l’attenzione, e i risultati si videro.
Ma di questo si parlerà nel prossimo capitolo.
Alberto Frizziero