“BADANTI” IN LOMBARDIA: QUALIFICARE IL LAVORO PRIVATO DI CURA

Convegno sulla prima ricerca (curata da IRS, Caritas Ambrosiana e Associazione Migranti di Brescia) sul fenomeno delle assistenti familiari che operano in Lombardia, sui loro progetti migratori e sulla propensione a qualificare il proprio lavoro - Presen

Sarà presentata mercoledì 20 settembre a Milano la ricerca “Qualificare il lavoro privato di cura” (curata

dall’Istituto per la Ricerca Sociale IRS di Milano, in collaborazione con Caritas Ambrosiana e

Associazione Centro Migranti di Brescia), che ha analizzato in modo estensivo – e per la prima volta in

Lombardia – il fenomeno delle assistenti familiari (le badanti), i loro progetti migratori e soprattutto la

loro propensione a qualificare il proprio intervento, a formarsi, a emergere dal lavoro nero.

La presentazione, alla quale sono invitati a partecipare i giornalisti, avrà luogo al Palazzo delle Stelline, in

corso Magenta 61, a Milano, mercoledì 20 settembre, dalle ore 9 alle 13. Alla presentazione, insieme ai

curatori della ricerca DANIELA MESINI e GISELDA RUSMINI, parteciperanno EMANUELE RANCI

ORTIGOSA, presidente dell’Irs, e DON ROBERTO DAVANZO, direttore di Caritas Ambrosiana. Nel corso

della mattinata è prevista una tavola rotonda nella quale si confronteranno CRISTINA MAZZACURATI

dell’Università di Padova, COSTANZO RANCI del Politecnico di Milano, BARBARA DA ROIT,

dell’Università Bicocca di Milano, MARINA MATUCCI in rappresentanza della Regione Lombardia, PEDRO

DI IORIO per la Caritas Ambrosiana e LELLA BRAMBILLA di Cgil Lombardia.

La ricerca è stata realizzata nell’ambito di un progetto Equal (Fondo Sociale Europeo), i cui partner sono

Istituto per la Ricerca Sociale di Milano (capofila), Caritas Ambrosiana, i comuni di Sesto San

Giovanni e Brescia, Cgil Lombardia. Il progetto ha permesso anche l’avvio, a Brescia e a Sesto San

Giovanni, di sportelli per l’incontro tra domanda e offerta di assistenza e di due corsi di formazione per

assistenti familiari. Gli sportelli hanno realizzato oltre 400 colloqui nei primi due mesi di attività. Quanto ai

corsi di formazione, si sta definendo un modello di accreditamento delle competenze maturate dalle

partecipanti. Il progetto è infine promotore della prima newsletter italiana interamente dedicata al lavoro

privato di cura, visitabile all’indirizzo internet www.qualificare.info

Milano, 18 settembre 2006

Ufficio stampa: cooperativa Oltre, tel. 02.67.47.90.17 • ufficiostampa@coopoltre.it

In allegato: abstract della ricerca

Abstract della Ricerca

“Qualificare il lavoro privato di cura”

La ricerca dell’IRS (Istituto per la Ricerca Sociale) ha analizzato per la prima volta in modo estensivo la

presenza di assistenti familiari straniere in Lombardia. Il suo oggetto è stata la propensione delle “badanti” a

qualificare il proprio intervento, a formarsi, a emergere dal mercato nero. Sono state intervistate 354

assistenti familiari, nelle province di Milano e di Brescia.

Formazione e qualificazione

Il lavoro di cura – secondo la maggioranza delle badanti – non richiede specifiche competenze, perché legato

alle funzioni quotidiane della “donna di casa”. Spesso è vissuto con rassegnazione, con spirito di sacrificio

nei confronti di figli e famiglie rimaste nel paese d’origine.

Sei badanti su dieci sarebbero interessate a seguire un corso, ma solo se questo non ha costi. Nel caso delle

sud-americane la disponibilità sale all’88%. Problematica risulta l’effettiva applicazione dei diritti dei

lavoratori: in un caso su tre non è rispettato il contratto di lavoro (giorni di permesso, di riposo e permessi

orari). Una badante su tre non gode di giorni di malattia retribuiti.

Identikit di chi è più interessato a qualificarsi

Sud-americane e asiatiche, più giovani, più intenzionate al ricongiungimento familiare. In tutto comunque

meno del 40% del totale delle badanti. La scarsa propensione a qualificarsi è anche dovuta all’assenza di un

profilo istituzionalmente riconosciuto.

Cala la disponibilità alla co-residenza

L’impegno lavorativo è consistente: la condizione di co-residenza con l’assistito riguarda il 70% delle

assistenti familiari, dato più elevato per le europee dell’Est. Diminuisce la disponibilità alla co-residenzialità.

Il che può essere letto come un indicatore di integrazione sociale delle assistenti familiari, che acquisiscono

progressivamente una propria autonomia abitativa.

Tre profili emergenti

Il primo è dato dalle lavoratrici di provenienza dall’Est Europa (56% del totale), con progetto migratorio di

breve periodo (circa un terzo intende trattenersi in Italia solo 2/3 anni), senza corsi formativi alle spalle e con

la più bassa propensione a seguirne in futuro; due su tre non hanno fatto alcun tentativo di ricerca di lavori

alternativi. Si tratta essenzialmente di lavoratrici co-residenti.

Il secondo profilo vede concentrate soprattutto donne asiatiche e africane, ma anche molte sud-americane

(queste ultime sono il 30% del totale in Lombardia). Si tratta di donne con progetti migratori di lungo

periodo che progettano il ricongiungimento familiare, più propense ad innalzare le proprie competenze nel

lavoro di cura e che spesso hanno già seguito corsi di formazione in Italia.

Il terzo profilo riguarda infine le assistenti familiari italiane. Sono solo il 3% del totale, ma in aumento.

Hanno un basso titolo di studio, lavorano decisamente per meno ore al giorno (4/5 in media), con poche

esperienze formative pregresse. Il lavoro di cura risulta assumere per queste lavoratrici la connotazione

dell’“ultima spiaggia”.

Quasi 700.000

Secondo stime Irs, fondate su dati Inps e una capillare rilevazione nei Centri di ascolto Caritas, in Italia sono

693.000 le assistenti familiari. Di queste, 619.000 sono straniere. Delle straniere, il 38% è senza permesso di

soggiorno; almeno il 22% ha il permesso ma lavora in nero; il rimanente 40% ha permesso e contratto di

lavoro, anche se spesso per un numero di ore inferiore a quelle effettivamente lavorate.

In Lombardia si concentra il 18,2% delle assistenti familiari italiane, 126.000, corrispondenti a 7 “badanti”

ogni 100 anziani over 65: un tasso di copertura di gran lunga maggiore dei servizi domiciliari e residenziali

pubblici. Quasi la metà (45%) degli anziani con problemi di autosufficienza infatti ne usufruisce.

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