GUERRA AL TERRORISMO, CI SIAMO DENTRO TUTTI - L'INVASIONE DELL'AFGHANISTAN
HISTORIA MAGISTRA VITAE
C'è ancora gente che, pur condannando il terrorismo e l'orrore di martedì 11 settembre, pensa che la questione sia americana, totalmente per alcuni, sostanzialmente per altri.
Fra quella gente c'è chi che quando scatterà l'ora X per i militari avrà quindi occasione per criticare (nel caso migliore), di manifestare, di opporsi.
La storia dovrebbe essere "magistra vitae", ma spesso e volentieri gli allievi non ne riconoscono il magistero, non ne fanno tesoro, non ne traggono insegnamento.
Illuminante il caso dell'invasione russa dell'Afghanistan, che merita attenzione, pur a distanza di 22 anni,per due ragioni:
- la prima riguarda la dimostrazione come si possa essere coinvolti anche da fatti lontanissimi;
- la seconda riguarda il motivo di fondo, oggi lo stesso di allora.
1 - IL PROBLEMA NON CI TOCCA?
22 anni fa (o quasi). Arriva la notizia dell'invasione. Chi scrive teneva una seguita rubrica alla TV locale la domenica sera alle 19.45, "La nota politica", ogni volta commentando i fatti politici della settimana, internazionali, nazionali, locali. Dato che più d'uno, pur apprezzando la rubrica, aveva suggerito di lasciar perdere la politica internazionale, la sera dell'invasione, ripresi queste critiche dicendo che avrei dimostrato come fatti a 20.000 Km distanti possono riguardare casa nostra. Intanto, dissi, domani è di nuovo guerra fredda, si irrigidiscono tutti i rapporti internazionali, non solo politici. Per quanto di interesse di entrambi i Paesi, si bloccherà l'avvio, ormai prossimo, dei lavori del metanodotto Siberia-Italia, e il rinvio non sarà a breve. Conseguentemente si bloccherà il programma del "Nuovo Pignone" di costruzione di attrezzature e macchinari. Si bloccherà quindi anche la progettata assunzione di un centinaio di persone allo stabilimento di Talamona e le centinaia di famiglie che speravano di avere la fortuna che un loro congiunto fosse tra quel centinaio saranno deluse, e magari dovranno vederlo fare la valigia per andare in Svizzera o chissà dove.
Non si trattava di una profezia, ma di deduzioni logiche, come i fatti dei giorni successivi dimostrarono. L'intreccio degli eventi oggi avviene su scala mondiale e talvolta ne basta anche uno apparentemente minore per produrre conseguenze a catena.
I BUCHI NERI DELLA COMUNICAZIONE
A questo aggiungasi che nella civiltà della comunicazione globale, in cui si pensa di sapere tutto di tutti, in realtà restano dei buchi neri, per cose che quelli che sanno, addetti ai lavori ma talora non solo loro, hanno l'interesse a tenere coperte, magari per ragioni le più diverse ed anche opposte.
Allora l'opinione pubblica mondiale non poté rendersi conto delle ragioni dell'intervento sovietico deciso da Breznev. Al tempo della Guerra del Golfo non vi fu chiarezza di come e perché Saddam aveva invaso il Kuwait. Ed oggi? Quante cose restano sconosciute?
L'ANNIENTAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO.
Ci voleva l'orrore di martedì 11 settembre per venire a sapere che a febbraio è stato sventato l'attentato che il terrorismo aveva progettato, ossia l'annientamento del Parlamento Europeo, uccidendo con il gas nervino, che ha effetti rapidi e letali, tutti i deputati presenti, fra i quali diversi dei maggiori leaders europei.
IL MANCATO ATTENTATO A BUSH A GENOVA.
Ci voleva l'orrore di martedì 11 per venire a sapere che la decisione di piazzare all'aeroporto Cristoforo Colombo di Genova, in occasione del G8, batterie di missili antiaerei - decisione che suscitò prese di posizioni anche sarcastiche -, era dovuta a segnalazioni di un possibile attentato all'aereo presidenziale di Bush. Chi aveva commentato sarcasticamente dovrebbe oggi riflettere, pensando, vista l'inclinazione del terrorismo per i brevetti di pilotaggio, che senza questa misura sarebbe bastato magari soltanto un elicottero con pilota suicida, senza bisogno di scomodare l'aereo dirottato di cui si è parlato, ad avventarsi contro l'aereo in atterraggio per colpire senza possibilità di difesa.
QUANTI ALTRI?
E quanti altri di cui non si è saputo e non si sa nulla? In queste situazioni si comprende la necessità di non divulgare le notizie, da un lato per evitare panico o comunque condizionare la vita quotidiana, dall'altro per non fornire una cassa di risonanza a chi, attentando, è questo proprio che si propone.
E DI MARTEDI' 11 QUANTO NON SI SA?
Buchi neri anche per l'orrore di martedì 11, nonostante che notoriamente la stampa americana sia la più libera del mondo. Ci è stato comunicato, per fare un esempio, che le scatole nere dei due aerei, di quello che ha colpito il Pentagono e di quello che "è precipitato", sono state ritrovate ma sono inservibili. Sarà anche vero, ma certo si è che se non lo fosse gli inquirenti hanno tutto l'interesse a sostenere che si sono rovinate. Così come quella dell'aereo finito su una delle due Torri. Se è stato possibile ritrovare la carlinga, con il particolare che l'hostess aveva le mani legate, c'è da presumere che non sia stato impossibile ritrovare anche la scatola nera…
Dell'aereo "precipitato" si sono avute poche immagini, lontane, del limitare del bosco. Nessuna foto aerea come di solito avviene in simili circostanze. Come mai?
Il numero degli aerei. Tutti, quel pomeriggio e nelle ore seguenti, abbiamo sentito parlare di sei aerei dirottati, anziché quattro. Erano sei o quattro? E se erano quattro da cosa ha avuto origine la notizia di sei, con tutti i rischi del caso visto che si erano levati in volo i jets militari? Intanto è emersa la notizia che un quinto aereo non ha fatto la fine degli altri solo perché una banale avaria lo aveva tenuto a terra. E il sesto?
E l'attacco a Kabul, visto in diretta grazie alla CNN con la contraerea che sparava, le esplosioni sullo sfondo, la prima dichiarazione dei talebani "Aerei sconosciuti hanno attaccato l'aereoporto di Kabul", la successiva loro dichiarazione "E' esploso per un incidente un deposito di munizioni" (e allora perché e contro chi sparava la contraerea?), le notizie del giorno dopo che attribuivano l'attacco alla guerriglia, dopo di che il silenzio. Come avrebbe fatto la guerriglia, che controlla tra il 5 e il 10% del territorio afgano, una zona in sostanza grande poco più della Lombardia, a disporre di mezzi aerei e a riuscire ad arrivare a Kabul dalle impervie montagne del nord è cosa che lascia, al minimo, dubbiosi.
Quante altre notizie sono mancate e mancano alla diffusione?
Intendiamoci, non critichiamo, anzi giustifichiamo. Qualsiasi notizia che potesse o possa essere utile ai maestri dell'orrore, ispiratori, mandanti, collaboratori, fiancheggiatori, è bene resti coperta, ma questo ha la sua conseguenza.
Noi, gente comune del mondo, non possiamo farci opinioni o dare valutazioni definitive, proprio perché bisogna essere coscienti che ci sono dati che mancano. Nella guerra che sta per cominciare, secondo alcuni già iniziata, non avremo le immagini in diretta come
2- LE RAGIONI DELL'INVASIONE RUSSA DELL'AFGHANISTAN - I RICORSI
Torniamo all'invasione sovietica. Allorché l'URSS, regnante Breznev, invase l'Afghanistan tutti gli analisti del mondo si scervellarono per capirne le ragioni. Razionalmente non se ne trovava una. Non c'erano ragioni strategiche e non c'erano materie prime tali da stimolare l'attenzione, le caratteristiche del territorio, di aspre montagne, con una scarsissima rete di comunicazioni in un Paese grande circa il doppio dell'Italia (e con una popolazione meno di un quarto della nostra), erano tali da scoraggiare qualsiasi velleità, le difficoltà logistiche e operative per un esercito enormi, i rischi altissimi tanto che il consuntivo rivelò il prezzo altissimo pagato in vite umane, circa 20.000 tra il 1979 e il 1989, e costi esorbitanti. Inoltre era scontato, come fu, che questa invasione avrebbe prodotto una recrudescenza della guerra fredda con tutte le conseguenze del caso.
Eppure l'URSS, senza quindi motivo apparente, si lanciò in questa avventura che ad anni di distanza stimolava ancora il dibattito tra gli addetti ai lavori.
Una ragione c'era e una fortunata circostanza mi permise di coglierla, scrivendone poi sul giornale che dirigevo.
LA FONTE
In provincia si conosceva il sen. Bonacina, Presidente dell'INT, Istituto Nazionale Trasporti, che aveva rilevato le autolinee ex FAV. Suo figlio medico venne all'Ospedale di Sondrio.
Ero a Roma spessissimo, come membro dell'Esecutivo nazionale dell'ANCI, l'Associazione dei Comuni italiani e, poi, come Presidente di uno dei quattro settori dell'ANCI stessa, "Territorio, Casa, Servizi". Avemmo modo di conoscersi in un Convegno nazionale in cui ero relatore e di rivederci. Un giorno mi chiamò e in un bar di Via Veneto avemmo una lunghissima conversazione.
Bonacina era appena rientrato da una missione in Afghanistan, inviato dalla Banca Mondiale che, ideologie a parte, non disdegnava affatto, anzi, di inviare uomini di sinistra in certi Paesi. E lui era stato in direzione nazionale prima del PSIUP e poi del PCI.
A Kabul aveva appena avuto una serie di incontri con tutte le Autorità più importanti del Paese, nonché, - nella stessa Kabul! -, con tutti Capi della guerriglia.
LA RAGIONE VERA
In quell'incontro appresi la ragione vera dell'invasione russa.
A Mosca la preoccupazione per quello che stava avvenendo in Iran era altissima. Komeini, rientrato in Iran da Parigi e divenuto di fatto il potere assoluto, non si era limitato a modellare lo Stato secondo lo schema in essere nella regione intorno all'anno mille, ma stava esportando il suo modello. Esportazione pericolosissima in quanto faceva leva non sull'Islam ma sul fanatismo interno all'Islam.
Un punto di attacco era il sud dell'URSS, le Repubbliche islamiche del Kirghizistan, del Tagikistan, del Turkmenistan, dell'Uzbekistan e più sopra del Kazakistan Il rischio era molto grave per l'URSS in quanto il komeinismo sarebbe stato fortemente destabilizzante in queste Repubbliche islamiche, con le conseguenze presumibili per un regime centralizzato com'era quello sovietico.
L'invasione del territorio afgano nel dicembre del 1979 avrebbe, come ha, consentito di erigere quindi una sorta di cintura sanitaria, impermeabile al contagio del fanatismo komeinista. (Sarebbe venuta poi la lunga guerra promossa nel 1989 dall'Irak contro l'Iran a polarizzare l'attenzione , e poi la morte di Komeini, dopo di che iniziò in quel Paese una sia pur lenta inversione di tendenza e un ritorno verso il XX° secolo, recentemente consacrato da un esito elettorale largamente positivo per la moderata classe dirigente al potere).
OGGI COME IERI
Quando, martedì pomeriggio, poche ore dopo l'orrore di New York e Washington, il Premier russo Putin, nel dichiarare la sua piena solidarietà agli americani ha accennato ad una situazione che i russi conoscono bene (attentati a Mosca e Cecenia) il collegamento con quanto sopra illustrato è stato automatico. E la conseguenza prima: Russia sulla stessa linea degli Stati Uniti, tanto da scriverne subito nella prima nota pubblicata su questo sito il giorno successivo, associando altri, ma in particolare la Cina che, non va dimenticato, ospita il Governo in esilio oppositore degli ineffabili talebani, quelli che se la sono presa persino con le gigantesche immagini di Budda, sicuramente un "infedele" per loro, scolpite nella montagna.
Il fronte comune è quindi frutto di esigenze comuni, in questo caso contro il fanatismo islamico, ma non basta. L'orrore di martedì 11 ha messo il dito sulla piaga indicando cosa può fare il terrorismo in una società complessa, ma fragilissima, come quella contemporanea, nell'impossibilità di difendere tutti i potenziali obiettivi di attacchi terroristici in qualsiasi parte del mondo.
Historia magistra vitae, e quindi non va dimenticato quello che è successo qualche anno fa nella metropolitana di Tokio quando un gruppo terroristico, che non era legato certo all'Islam, con gas venefici provocò 12 morti e molti feriti, un bilancio limitato soltanto per l'efficienza delle forze dell'ordine e della protezione civile giapponesi.
Farebbe comodo a ciascuno di noi continuare come nulla fosse.
Ci si deve render conto che è impossibile.
Dicono molti che domani sarà tutto diverso, anche con una maggiore limitazione delle libertà individuali.
Inevitabile.
Un prezzo da pagare per la sicurezza nostra e delle future generazioni.
Alberto Frizziero