Cattolici in politica, PRIMA LA COSCIENZA

a cura di Angelo Sandri (x)



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Merita di essere diffuso il testo integrale del Documento della
"Congregazione per la dottrina della fede" su cattolici e
politica intitolato: «Il cristiano è chiamato a dissentire da
una concezione del pluralismo in chiave di relativismo morale».


La Congregazione per la dottrina della fede, sentito anche il
parere del Pontificio consiglio per i laici, ha ritenuto
opportuno pubblicare la presente "Nota dottrinale circa alcune
questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici
nella vita politica".

La Nota è indirizzata ai vescovi della Chiesa cattolica e, in
speciale modo, ai politici cattolici e tutti i fedeli laici
chiamati alla partecipazione della vita pubblica e politica
nelle società democratiche.

Nota
dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il
comportamento dei cattolici nella vita politica"

I. Un insegnamento costante

1. L’impegno del cristiano nel mondo in duemila anni di storia
si è espresso seguendo percorsi diversi. Uno è stato attuato
nella partecipazione all’azione politica: i cristiani, affermava
uno scrittore ecclesiastico dei primi secoli, «partecipano alla
vita pubblica come cittadini» (1). La Chiesa venera tra i suoi
santi numerosi uomini e donne che hanno servito Dio mediante il
loro generoso impegno nelle attività politiche e di governo. Tra
di essi, san Tommaso Moro, proclamato patrono dei governanti e
dei politici, seppe testimoniare fino al martirio la «dignità
inalienabile della coscienza» (2). Pur sottoposto a varie forme
di pressione psicologica, rifiutò ogni compromesso, e senza
abbandonare «la costante fedeltà all’autorità e alle istituzioni
legittime» che lo distinse, affermò con la sua vita e con la sua
morte che «l’uomo non si può separare da Dio, né la politica
dalla morale» (3).

Le attuali società democratiche, nelle quali lodevolmente tutti
sono resi partecipi della gestione della cosa pubblica in un
clima di vera libertà (4), richiedono nuove e più ampie forme di
partecipazione alla vita pubblica da parte dei cittadini,
cristiani e non cristiani. In effetti, tutti possono contribuire
attraverso il voto all’elezione dei legislatori e dei governanti
e, anche in altri modi, alla formazione degli orientamenti
politici e delle scelte legislative che a loro avviso giovano
maggiormente al bene comune (5). La vita in un sistema politico
democratico non potrebbe svolgersi proficuamente senza l’attivo,
responsabile e generoso coinvolgimento da parte di tutti, «sia
pure con diversità e complementarietà di forma, livelli, compiti
e responsabilità» (6).

Mediante l’adempimento dei comuni doveri civili, «guidati dalla
coscienza cristiana» (7), in conformità ai valori che con essa
sono congruenti, i fedeli laici svolgono anche il compito loro
proprio di animare cristianamente l’ordine temporale,
rispettandone la natura e la legittima autonomia (8), e
cooperando con gli altri cittadini secondo la specifica
competenza e sotto la propria responsabilità (9). Conseguenza di
questo fondamentale insegnamento del Concilio Vaticano II è che
«i fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione
alla "politica", ossia alla molteplice e varia azione economica,
sociale, legislativa, amministrativa e culturale destinata a
promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune»
(10), che comprende la promozione e la difesa dei beni, quali
l’ordine pubblico e la pace, la libertà e l’uguaglianza, il
rispetto della vita umana e dell’ambiente, la giustizia, la
solidarietà, ecc.

La presente Nota non ha la pretesa di riproporre l’insegnamento
della Chiesa in materia, riassunto peraltro nelle sue linee
essenziali nel Catechismo della Chiesa cattolica, ma intende
soltanto richiamare alcuni princìpi propri della coscienza
cristiana che ispirano l’impegno sociale e politico dei
cattolici nelle società democratiche (11). E ciò perché in
questi ultimi tempi, spesso per l’incalzare degli eventi, sono
emersi orientamenti ambigui e posizioni discutibili, che rendono
opportuna la chiarificazione di aspetti e dimensioni importanti
della tematica in questione.

II. Alcuni punti nodali dell’attuale dibattito culturale e
politico.

2. La società civile si trova oggi all’interno di un
complesso processo culturale che mostra la fine di un’epoca e
l’incertezza per la nuova che emerge all’orizzonte. Le grandi
conquiste di cui si è spettatori provocano a verificare il
positivo cammino che l’umanità ha compiuto nel progresso e
nell’acquisizione di condizioni di vita più umane. La crescita
di responsabilità nei confronti di Paesi ancora in via di
sviluppo è certamente un segno di grande rilievo, che mostra la
crescente sensibilità per il bene comune. Insieme a questo,
comunque, non è possibile sottacere i gravi pericoli a cui
alcune tendenze culturali vorrebbero orientare le legislazioni
e, di conseguenza, i comportamenti delle future generazioni.

È oggi verificabile un certo relativismo culturale che offre
evidenti segni di sé nella teorizzazione e difesa del pluralismo
etico che sancisce la decadenza e la dissoluzione della ragione
e dei princìpi della legge morale naturale. A seguito di questa
tendenza non è inusuale, purtroppo, riscontrare in dichiarazioni
pubbliche affermazioni in cui si sostiene che tale pluralismo
etico è la condizione per la democrazia (12). Avviene così che,
da una parte, i cittadini rivendicano per le proprie scelte
morali la più completa autonomia mentre, dall’altra, i
legislatori ritengono di rispettare tale libertà di scelta
formulando leggi che prescindono dai princìpi dell’etica
naturale per rimettersi alla sola condiscendenza verso certi
orientamenti culturali o morali transitori (13), come se tutte
le possibili concezioni della vita avessero uguale valore. Nel
contempo, invocando ingannevolmente il valore della tolleranza,
a una buona parte dei cittadini e tra questi ai cattolici si
chiede di rinunciare a contribuire alla vita sociale e politica
dei propri Paesi secondo la concezione della persona e del bene
comune che loro ritengono umanamente vera e giusta, da attuare
mediante i mezzi leciti che l’ordinamento giuridico democratico
mette ugualmente a disposizione di tutti i membri della comunità
politica. La storia del XX secolo basta a dimostrare che la
ragione sta dalla parte di quei cittadini che ritengono del
tutto falsa la tesi relativista secondo la quale non esiste una
norma morale, radicata nella natura stessa dell’essere umano, al
cui giudizio si deve sottoporre ogni concezione dell’uomo, del
bene comune e dello Stato.

3. Questa concezione relativista del pluralismo nulla ha
a che vedere con la legittima libertà dei cattolici di
scegliere, tra le opinioni politiche compatibili con la fede e
la legge morale naturale, quella che secondo il proprio criterio
meglio si adegua alle esigenze del bene comune. La libertà
politica non è né può essere fondata sull’idea relativista che
tutte le concezioni sul bene hanno la stessa verità e lo stesso
valore, ma sul fatto che le attività politiche mirano volta per
volta alla realizzazione estremamente concreta del vero bene
umano e sociale in un contesto storico, geografico, economico,
tecnologico e culturale ben determinato. Dalla concretezza della
realizzazione e dalla diversità delle circostanze scaturisce
generalmente la pluralità di orientamenti e di soluzioni che
debbono però essere moralmente accettabili. Non è compito della
Chiesa formulare soluzioni concrete e meno ancora soluzioni
uniche per questioni temporali che Dio ha lasciato al libero e
responsabile giudizio di ciascuno, anche se è suo diritto e
dovere pronunciare giudizi morali su realtà temporali quando ciò
sia richiesto dalla fede e dalla legge morale (14). Se il
cristiano è tenuto ad «ammettere la legittima molteplicità e
diversità delle opzioni temporali» (15), egli è ugualmente
chiamato a dissentire da una concezione del pluralismo in chiave
di relativismo morale, nociva per la stessa vita democratica, la
quale ha bisogno di fondamenti veri e solidi, vale a dire, di
princìpi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di
fondamento della vita sociale non sono "negoziabili".

Sul piano della militanza politica concreta, occorre notare che
il carattere contingente di alcune scelte in materia sociale, il
fatto che spesso siano moralmente possibili diverse strategie
per realizzare o garantire uno stesso valore sostanziale di
fondo, la possibilità di interpretare in maniera diversa alcuni
princìpi basilari della teoria politica, nonché la complessità
tecnica di buona parte dei problemi politici, spiegano il fatto
che generalmente vi possa essere una pluralità di partiti
all’interno dei quali i cattolici possono scegliere di militare
per esercitare particolarmente attraverso la rappresentanza
parlamentare il loro diritto-dovere nella costruzione della vita
civile del loro Paese (16). Questa ovvia constatazione non può
essere confusa però con un indistinto pluralismo nella scelta
dei princìpi morali e dei valori sostanziali a cui si fa
riferimento. La legittima pluralità di opzioni temporali
mantiene integra la matrice da cui proviene l’impegno dei
cattolici nella politica e questa si richiama direttamente alla
dottrina morale e sociale cristiana. È su questo insegnamento
che i laici cattolici sono tenuti a confrontarsi sempre per
poter avere certezza che la propria partecipazione alla vita
politica sia segnata da una coerente responsabilità per le
realtà temporali.

La Chiesa è consapevole che la via della democrazia se, da una
parte, esprime al meglio la partecipazione diretta dei cittadini
alle scelte politiche, dall’altra si rende possibile solo nella
misura in cui trova alla sua base una retta concezione della
persona (17). Su questo principio l’impegno dei cattolici non
può cedere a compromesso alcuno, perché altrimenti verrebbero
meno la testimonianza della fede cristiana nel mondo e l’unità e
coerenza interiori dei fedeli stessi. La struttura democratica
su cui uno Stato moderno intende costruirsi sarebbe alquanto
fragile se non ponesse come suo fondamento la centralità della
persona. È il rispetto della persona, peraltro, a rendere
possibile la partecipazione democratica. Come insegna il
Concilio Vaticano II, la tutela «dei diritti della persona è
condizione perché i cittadini, individualmente o in gruppo,
possano partecipare attivamente alla vita e al governo della
cosa pubblica» (18).

4. A partire da qui si estende la complessa rete di
problematiche attuali che non hanno avuto confronti con le
tematiche dei secoli passati. La conquista scientifica, infatti,
ha permesso di raggiungere obiettivi che scuotono la coscienza e
impongono di trovare soluzioni capaci di rispettare in maniera
coerente e solida i princìpi etici. Si assiste invece a
tentativi legislativi che, incuranti delle conseguenze che
derivano per l’esistenza e l’avvenire dei popoli nella
formazione della cultura e dei comportamenti sociali, intendono
frantumare l’intangibilità della vita umana. I cattolici, in
questo frangente, hanno il diritto e il dovere di intervenire
per richiamare al senso più profondo della vita e alla
responsabilità che tutti possiedono dinanzi a essa. Giovanni
Paolo II, continuando il costante insegnamento della Chiesa, ha
più volte ribadito che quanti sono impegnati direttamente nelle
rappresentanze legislative hanno il «preciso obbligo di opporsi»
a ogni legge che risulti un attentato alla vita umana. Per essi,
come per ogni cattolico, vige l’impossibilità di partecipare a
campagne di opinione in favore di simili leggi né ad alcuno è
consentito dare a esse il suo appoggio con il proprio voto (19).
Ciò non impedisce, come ha insegnato Giovanni Paolo II nella
lettera enciclica Evangelium vitae a proposito del caso in cui
non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente una
legge abortista già in vigore o messa al voto, che «un
parlamentare, la cui personale assoluta opposizione all’aborto
fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il
proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una
tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della
cultura e della moralità pubblica» (20).

In questo contesto, è necessario che la coscienza cristiana ben
formata non permetta a nessuno di favorire con il proprio voto
l’attuazione di un programma politico o di una singola legge in
cui i contenuti fondamentali della fede e della morale siano
sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative o
contrarie a tali contenuti. Poiché la fede costituisce come
un’unità inscindibile, non è logico l’isolamento di uno solo dei
suoi contenuti a scapito della totalità della dottrina
cattolica. L’impegno politico per un aspetto isolato della
dottrina della Chiesa non è sufficiente a esaurire la
responsabilità per il bene comune. Né il cattolico può pensare
di delegare ad altri l’impegno del cristiano, che gli proviene
dal Vangelo di Gesù Cristo perché la verità sull’uomo e sul
mondo possa essere annunciata e raggiunta.

Quando l’azione politica viene a confrontarsi con princìpi
morali che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso
alcuno, allora l’impegno dei cattolici si fa più evidente e
carico di responsabilità. Dinanzi a queste esigenze etiche
fondamentali e irrinunciabili, infatti, i credenti devono sapere
che è in gioco l’essenza dell’ordine morale, che riguarda il
bene integrale della persona. È questo il caso delle leggi
civili in materia di aborto e di eutanasia (da non confondersi
con la rinuncia all’accanimento terapeutico, la quale è, anche
moralmente, legittima), che devono tutelare il diritto primario
alla vita a partire dal suo concepimento fino al suo termine
naturale. Allo stesso modo occorre ribadire il dovere di
rispettare e proteggere i diritti dell’embrione umano.
Analogamente, devono essere salvaguardate la tutela e la
promozione della famiglia, fondata sul matrimonio monogamico tra
persone di sesso diverso e protetta nella sua unità e stabilità,
a fronte delle moderne leggi sul divorzio: a essa non possono
essere giuridicamente equiparate in alcun modo altre forme di
convivenza, né queste possono ricevere in quanto tali un
riconoscimento legale. Così pure la garanzia della libertà di
educazione ai genitori per i propri figli è un diritto
inalienabile, riconosciuto tra l’altro nelle Dichiarazioni
internazionali dei diritti umani. Alla stessa stregua, si deve
pensare alla tutela sociale dei minori e alla liberazione delle
vittime dalle moderne forme di schiavitù (si pensi ad esempio,
alla droga e allo sfruttamento della prostituzione). Non può
essere esente da questo elenco il diritto alla libertà religiosa
e lo sviluppo per un’economia che sia al servizio della persona
e del bene comune, nel rispetto della giustizia sociale, del
principio di solidarietà umana e di quello di sussidiarietà,
secondo il quale «i diritti delle persone, delle famiglie e dei
gruppi, e il loro esercizio devono essere riconosciuti» (21).
Come non vedere, infine, in questa esemplificazione il grande
tema della pace. Una visione irenica e ideologica tende, a
volte, a secolarizzare il valore della pace mentre, in altri
casi, si cede a un sommario giudizio etico dimenticando la
complessità delle ragioni in questione. La pace è sempre «frutto
della giustizia ed effetto della carità» (22); esige il rifiuto
radicale e assoluto della violenza e del terrorismo e richiede
un impegno costante e vigile da parte di chi ha la
responsabilità politica.
(A cura di Angelo Sandri)


(x)

Segretario Nazionale della Democrazia Cristiana


GdS - 8 II 2003 -
www.gazzettadisondrio.it

a cura Angelo Sandri (x)
Fatti dello Spirito