“Testimoni di Geova”: non sono d’accordo con voi

Abbiamo
ricevuto la seguente nota:

Prima nota

Spett.le Redazione, ho letto il Vs. articolo al link http://www.gazzettadisondrio.it/edit10lu04feste.html,

e sono particolarmente sorpreso per la maniera in cui viene affrontata la questione della tolleranza religiosa.

In un clima di intolleranza serpeggiante, criticare la scelta di chi pensa che anche i culti cosiddetti "minori" abbiano diritto alla propria libertà è il contrario di gettare acqua sul fuoco.

In special modo, mi ha indignato leggere che i Testimoni di Geova, una comunità nel nostro paese di oltre 400.000 **italiani**, siano considerati alla stregua di "immigrati che devono adeguarsi alle usanze locali".

Se adottiamo questo tono, dovremo dire lo stesso anche degli ebrei italiani, degli Avventisti italiani, degli evangelici italiani, dei luterani italiani, e così via: cittadini a tutti gli effetti che per la propria scelta religiosa non possono essere marchiati come "immigrati". Mi sono sorpreso sul serio della maniera intollerante di presentare la questione. 

Certi che prenderete in considerazione questa email, e augurandomi che come organi di informazione facciate la Vs parte nello smitizzare il luogo comune che chi è in minoranza va ghettizzato, vi ringrazio per l'attenzione e con l'occasione porgo distinti saluti.
A.A.

Abbiamo subito ampiamente risposto al
nostro interlocutore - dando naturalmente, come nostro costume,
offerto la possibilità di esprimere il suo pensiero -
precisando che é ben lungi da noi "ghettizzare" o
manifestare intolleranza. Per quanto attiene i Testimoni di
Geova, di cui altro lettore parla sotto, il riferimento era alla famosa
questione della loro posizione negativa sulla trasfusione
sanguigna che non può essere accettata, con le conseguenze del
caso. La correlazione fra modo loro di sentire e di vivere e
quella di extracomunitari, ma anche di italiani di varie
confessioni religiose, pareva evidente e non offensiva, ma utile
per l'esemplificazione.

E' vero che ci sono scelte individuali anche nei modi di cura ma
capita che siano per altre persone (figli o parenti non in
condizioni di intendere e volere). Non solo, ma in Italia vige
una legge sui trattamenti sanitari obbligatori che ha come fine
la tutela della vita e della salute.

Sul tema più generale, detto del rispetto che si deve a tutti,
vorremmo che altrettanto rispetto sia dovuto anche a noi. In
Italia, uniformandosi chi qui viene alle nostre usanze e regole.
All'estero, con quel diritto di reciprocità che non esiste nel
modo più assoluto.

Per una citazione marginale se qualcuno deve fare scalo a Riad,
senza uscire ma solo passare da un aereo a un altro, non si
porti in valigia una bottiglia di alcolici. Gli viene vuotata
nel lavandino, sia pure dando la ricevuta per farsi rimborsare.
Per una cosa più seria, meglio lasciare a casa, se si va in
parecchi Paesi islamici, Bibbia, Vangelo e quant'altro. Per non
finire male, ben oltre "la ghettizzazione".
Ce
ne sarebbe da dire. Avremo tempo e modo.

Una sola considerazione personale: i miei figli sono i primi che
nascono, dopo secoli e secoli, fuori-Patria. Ma nei cromosomi
resta un patrimonio genetico formatosi nello Stato più avanzato
dell'intera storia umana, l'unico a ordinamento circolare
rispetto a quello piramidale di tutti gli altri Stati: la
Serenissima Repubblica di San Marco. Un esempio di tolleranza,
in tutti i sensi, anche religiosa, interna ed esterna. Con il
senso del limite, per tutti. O quasi, visto che il limite per i
nobili era più severo che per gli altri... (NdD).


La seconda nota


Colgo questa opportunità che il vostro giornale mi conceda.
Ringraziandovi.

Devo però ritenere che un pensiero sia tale, nel momento che si accetti i pensieri altrui. Questo vale, anche per il rispetto della libera convivenza delle multi etnie, e dei loro pensieri. Mi riferisco al vostro articolo dove il vostro
giornalista a dichiarato quando segue:"Ha ragione chi ha replicato che l'integrazione religiosa non si ottiene sostituendo le nostre radici con le tradizioni altrui ma passa attraverso la valorizzazione delle differenze e il reciproco rispetto delle stesse, cosa che non risulta avvenga in tanti Paesi del mondo. Chi viene da noi deve avere da parte nostra rispetto per le sue tradizioni e il suo sentire, mancherebbe altro! Detto questo però deve essere chiaro che chi viene qui deve adeguarsi al nostro modo di vivere."

Fin quì ritengo un pensiero valoristico, e aperto. Ma si contraddice con questa espressione, che ritenco poco felice:"Ma anche se il Testimone di Geova non vuole la trasfusione che salverebbe il figlio, lui vive qui dove la vita va salvaguardata e la trasfusione si fa."

Il vostro giornalista paragona un extra comunitario, con un Testimone di Geova, che non è una nazione ma una confessione religiosa, riconosciuta tra l'altro anche dallo Stato. Questa
espressione oltre a essere fuori luogo per logica, lo è anche per tentenziosità. Perchè la
legislatura Italiana, come nelle altre Nazioni, all'avanguardia dei diritti umani, e la
libertà di espressione, ha concesso il "Diritto di Informato" dove il paziente
può decidere, la terapia, nel rispetto di non violare i suoi alti valori in cui
crede (Tra l'altro, queste decisioni sono strettamente personali, che non influiscono con la Societa Aggregata).

La cosa mi ha lasciato sbigottito, che sia venuta fuori dal suo Giornale, quando invece avete dato e darete prova della vostra sensibilità e coerenza, di sostenere il diritto della libera
espressione. Vostro lettore. 

Lettera
firmata



GdS - 30 VII 2004 -
www.gazzettadisondrio.it

A.A. - Lettera firmata
Fatti dello Spirito