LA RICERCA “LA DONNA, INQUIETUDINI, RISORSE E PROSPETTIVE”
Sono stati presentati a Roma i risultati della ricerca “La
donna: inquietudini, risorse e prospettive, un’indagine sulla
condizione della donna nella Regione Lazio” a cura dell’Istituto
di Studi Superiori sulla Donna dell’Ateneo Pontificio Regina
Apostolorum, in collaborazione con l’Osservatorio Permanente
sulle Famiglie della Regione Lazio.
Si tratta della prima di una serie di ricerche che l’Istituto di
Studi Superiori sulla Donna dell’Ateneo Pontificio Regina
Apostolorum dedicherà alla condizione della donna nelle varie
regioni d’Italia.
Questa serie di studi ha tra le sue finalità l’esplorazione
della “risorsa femminile”, per riflettere su professionalità e
competenze adeguate alla promozione delle donne e della
famiglia.
La prima indagine si basa su un campione di 700 donne residenti
nella capitale e nelle province del Lazio, suddiviso per fasce
di età in cui il 33% ha tra i 18 e i 33 anni, il 24% ha tra i 34
e i 49 anni, il 32% ha un età compresa tra i 50 e i 64 anni e
l’11% ha dai 65 anni in su. Lo stato civile del campione è
distribuito nel seguente modo: la maggior parte delle donne, il
47% è coniugata, il 37% è nubile, l’11% è rappresentato da donne
separate o divorziate e infine il 5% da vedove.
Tra le varie aree tematiche della ricerca c’è l’attenzione sul
rapporto tra donna e società attraverso la percezione che la
donna ha di sé stessa e del suo specifico contributo per il
miglioramento della società. Sul tema della parità, una
percentuale abbastanza alta ritiene che questa parità sia stata
raggiunta soltanto in parte. A sostenere questa convinzione sono
il 59% delle donne tra i 18 e i 33 anni. Le donne dai 34 e i 49
anni ritiene invece che non sia reale neanche in parte la parità
tra i sessi (25%). Questo dato è indicativo di quanta strada si
è percorsa ma anche di quanto bisogna ancora effettivamente fare
per il reale riconoscimento delle pari opportunità.
Il 28% del campione totale trova che la forza principale delle
donne sia soprattutto la sua capacità di entrare in relazione
con gli altri, nell’accesso alla vita emotiva. Si è rilevato che
per un’ alta percentuale, le donne di oggi sono maggiormente
realizzate ma una percentuale quasi identica le descrive come
maggiormente sole e affaticate.
Molte delle donne del campione sono convinte che il contributo
che esse possono apportare alla società è negli stessi ambiti
degli uomini (43%). Solo l’1,5% del campione percepisce la
risorsa femminile come ininfluente o passiva per migliorare il
mondo del lavoro. La cura della famiglia e la solidarietà sono
gli ambiti in cui le donne forniscono il loro maggiore
contributo.
Le domande sul rapporto tra “la donna e la cultura” sono state
formulate per mettere in evidenza la percezione, il ruolo e
l’identificazione della donna in relazione alla sua presenza nel
mondo della cultura e nei mass media. E’ emerso che la maggior
parte delle donne ritiene che abbiano un ruolo importante ma
poco conosciuto (34,8%), oppure che abbiano un ruolo importante
tanto quanto quello degli uomini nello stesso campo (31,8%).
SEGUE
Nell’analizzare il modello femminile proposto dalla televisione
si è riscontrato che solo lo 0,4% delle donne del campione si
sente identificata con il modello proposto. Il 30,7% del
campione dichiara di non essersi mai posto la domanda. Un dato
significativo che ci parla della passività di fronte ai modelli
culturali proposti dai mezzi di comunicazione di massa.
Nell’ambito “donne, lavoro e famiglia” dall’indagine emerge che
risulta ancora difficile conciliare i tempi di vita lavorativa e
familiare. Tra la stragrande maggioranza delle donne più giovani
del campione si riscontra una stabile percezione dell’importanza
del lavoro in relazione all’identità ed una marcata aspirazione
a fare carriera. Il lavoro appare sempre più come una fonte di
realizzazione personale nonostante le difficoltà (doppia fatica,
maschilismo dell’ambiente lavorativo).
In relazione al tema della tutela della maternità nel posto di
lavoro, l’indagine evidenzia una maggiore tutela delle
lavoratrici tra le dipendenti/impiegate del settore pubblico.
Risulta dall’indagine che questa categoria di lavoratrici è
quella che non ha riscontrato particolari difficoltà nel
rientrare a lavoro a seguito di una gravidanza (42,4%).
Dall’indagine emerge che nessuna donna tra le
dipendenti/impiegate e le libere professioniste dichiari di non
voler riprendere a lavorare dopo la maternità.
Le donne del campione che non hanno scelto di rientrare al
lavoro dopo la maternità costituiscono il 26,7% del campione
(casalinghe).
Rileviamo, però, che tra le casalinghe stesse una buona
percentuale non ha potuto riprendere (o cominciare) a lavorare
dopo la maternità a causa di difficoltà incontrate nel mercato
del lavoro o per il tipo di lavoro, ed anche per il poco
sostegno da parte dei familiari.
Particolarmente significativi sono i dati relativi alle
lavoratrici atipiche cioè coloro che hanno contratti di lavoro
precari (lavoro interinale, co-co-co, part time, ecc.). Sono le
donne che hanno maggiormente trovato difficoltà nel riprendere a
lavorare dopo la gravidanza. Se solo il 5% attribuisce tali
difficoltà al mancato sostegno da parte dei familiari, il 40%
riferisce un’esperienza di difficoltà proprio a causa del tipo
di lavoro o del mercato di lavoro.
I dati relativi alle lavoratrici atipiche pongono seri
interrogativi alle politiche socio economiche attuali in Italia.
Infatti, le donne con questo tipo di contratti “flessibili”
rappresentano il 36,1% delle donne che lavorano in piena età
fertile (le donne più giovani del campione, tra i 18 e i 33
anni). Si osserva così che se da una parte le politiche sociali
tentano di sostenere la genitorialità affinché il tasso di
natalità aumenti, dall’altra le politiche economiche spingono
per una maggiore flessibilità, che però è quella che
maggiormente rende difficile il rientro al lavoro dopo la
maternità. I dati emergenti da questo questionario pongono
quindi uno sguardo lucido su questo “punto critico” rispetto
alla conciliazione tra lavoro e famiglia.
Inoltre dal questionario emerge che, sebbene possa definirsi
confortante quel 78,8% del campione che dichiara di non aver
subito alcuna forma di discriminazione, il 21,2% di donne che
lavorano o hanno lavorato dopo la maternità e che riferiscono di
essere state oggetto di atteggiamenti e comportamenti
discriminati sul posto di lavoro a motivo della loro condizione
di madre, rilancia la necessità di un intervento sulle culture
organizzative che sono probabilmente ancora influenzate da
atteggiamenti maschilisti.
La stragrande maggioranza del campione (57%) ritiene che la
tutela istituzionale che più potrebbe venire incontro alle
esigenze delle madri che lavorano corrisponde ad una maggiore
flessibilità degli orari lavorativi. Di seguito vengono
indicate: maggiori garanzie e possibilità di rientrare a lavoro
dopo la maternità, maggiori sostegni economici alle famiglie, la
possibilità di usufruire di nidi e asili più vicini ai luoghi di
lavoro dei genitori ed infine maggiore flessibilità degli orari
scolastici.
Dall’analisi delle risposte fornite si conferma un bisogno di
flessibilità che riguardi, magari, gli orari ma non il lavoro
stesso per il quale invece le donne chiedono una maggiore
stabilità e una maggiore diffusione dei diritti e delle tutele
delle lavoratrici.
Carlo Climati
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GdS - 20 I 2004 -
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