FATTI DELLO SPIRITO: UN PROBLEMA ETICO: NE UCCIDE PIU' LA PENNA CHE LA SPADA E PUO' TOCCARE A CHIUNQUE

(A proposito di certo giornalismo e del conclamato, e preteso, diritto di cronaca
Il triste caso dei suicidi)



Egregio Direttore,

le scrivo per uno sfogo, ma anche per un invito

a prendere posizione (logicamente se lei la pensa come me).

Il proliferare dei quotidiani locali : la Provincia e il Giorno (con le 

nuove pagine) ha scatenato negli "…omissis, NdR….." giornalisti locali

la voglia di notizie a tutti i costi e così le notizie più

stupide finiscono sugli strilloni al di fuori delle edicole.

Ora , fin che sono notizie 'stupide' grossi problemi non sorgono; ma quando 

pur di vendere sugli strilloni appaiono titoli relative alle

purtroppo tante, tremende e angoscianti morti

di nostri convalligiani sulle strade, la cosa diventa

per i familiari e le persone vicine al defunto una cosa veramente orribile; 

anche per la morbosità con la quale questi 'strilloni' seguono la tragica 

vicenda (titoloni relativi al funerale ecc. ecc.)

Lei è da tempo un giornalista intento ad osservare e descrivere la nostra 

società (piccola ma grande in tradizioni) e non può aver notato questa 

degenerazione della carta stampata locale.

La mia ignorante riflessione rimane che se la notizia che mi fa vendere il 

quotidiano tutti i giorni non c'è, non posso sfruttare i drammi di famiglie 

e amici per cercare di guadagnare in visibilità.

Grazie comunque per l'attenzione.

(Lettera firmata)


Ne uccide più la penna che la spada, si diceva una volta. Non lo si dice più, ma si uccide molto di più proprio in funzione della proliferazione degli strumenti di comunicazione.

Il lettore si riferisce alle angoscianti morti sulle strade, dietro cui viene, non per gli strumenti di comunicazione, una serie di conseguenze a catena per chi da quelle morti è direttamente, o indirettamente coinvolto. Ma lo stesso si può dire di tanti altri episodi che coinvolgono, in un modo o nell'altro, le persone.

Sua maestà il titolo. L'alibi: il diritto di cronaca. Il dovere non esiste, o quasi.

La tal notizia viene pubblicata. La persona coinvolta ne subisce un danno, morale sempre ma qualche volta anche economico. Se intervengono fatti, approfondimenti, chiarimenti per cui emerge che quella persona, facendo leva sul "diritto" di cronaca era stata tirata in ballo a sproposito (certe volte anche non per colpa dei media), per "dovere" di cronaca sarebbe giusto che con altrettanto rilievo se ne desse atto. Non lo fa quasi nessuno. Chi lo fa, in genere, non scomoda Sua Maestà il titolo, ma usa un titolino, magari in una pagina secondaria. Altri addirittura non fanno nulla.

Siamo al punto che nel caso di rettifiche ormai è prassi pressoché generale ignorare quanto sancisce la legge sulla stampa che, all'art. 8 testualmente prescrive che esse vengano pubblicate "in testa di pagina e collocate nella stessa pagina", "nella loro intrezza" e "con le medesime caratteristiche tipografiche". Del pari disinvoltamente spesso ci si dimentica dell'art. 2 della legge sull'Ordine dei Giornalisti che all'art. 2 non si limita a definire i "diritti" del giornalisti ma in pari misura fissa anche i "doveri".

Il risultato è sotto gli occhi di tutti.

C'è però un altro risultato che è sotto gli occhi non di tutti ma quantomeno degli addetti ai lavori, ed è il dato relativo alla diffusione dei giornali nel nostro Paese che ha 57 milioni di abitanti e che vede, per fare un solo esempio, il primo quotidiano attestato su circa 700.000 copie e il totale diffuso ogni giorno da tutti i giornali italiani dell'ordine di grandezza di quello che in altri Paesi (Giappone, Gran Bretagna ecc.) vende un solo quotidiano.

Perché, per tornare al lettore, tutti questi titoli, tutta questa compiacenza con i fatti di cronaca nera, di incidenti et similia? Per vendere, si crede sbagliando, di più.

E' vero che è più facile, meno impegnativo, meno "creativo" seguire questa strada rispetto all'altra che per interessare il lettore, e per acquisirne di nuovi, richiede impegno particolare e assiduo, alta professionalità, trattazione di temi spesso "snobbati" perché ritenuti banali. Tutto questo presuppone un elemento fondamentale: la conoscenza del target, dei destinatari cioè, in parte da assecondare ma in parte anche da guidare, sia pure intelligentemente e discretamente.

S'è accennato ai giornali stranieri. Esclusa qualche testata, dichiaratamente "scandalistica", Sua Maestà il titolo non viene scomodato in maniera così assillante e roboante, salvo casi particolari di evidenza lampante, per vicende che coinvolgono le persone in modo diretto.

IL CASO CENTRO VALLE

Assunsi la direzione di Centro Valle nella primavera del 1985. Era una cosa semplice, otto pagine, eccezionalmente dodici, distribuito nelle edicole in omaggio a chi acquistava un altro giornale e diffuso in circa 5000 copie in provincia.

Pochi anni dopo, in una provincia di circa 175.000 abitanti - conservo ancora i tabulati su cui i rivenditori effettuavano i pagamenti e quindi probanti! - con un numero di pagine enormemente superiore e con un ampio uso del colore il venduto in edicola, a prezzo uguale a quello dei quotidiani, superava le 16.000 copie, cui andavano aggiunte quelle spedite in abbonamento e le non poche copie-omaggio a inserzionisti, collaboratori ecc. Non solo ma mediamente il 15-20% delle edicole dava l'esaurito documentando una richiesta ancora superiore.

Centro Valle vendeva cioè in provincia più di tutti i quotidiani sommati insieme. Nelle stesse proporzioni in Italia il Corriere della Sera non dovrebbe limitarsi alle 700.000 copie ma dovrebbe vender qualcosa come cinque milioni di copie!

Ebbene Sua Maestà il titolo era un mostro sacro anche per Centro Valle, ma non per le purtroppo quasi quotidiane disgrazie umane, bensì per i problemi, in genere d'interesse della provincia.

La straordinaria ascesa della diffusione del giornale non era avvenuta per crescita spontanea ma sulla base dei principi prima indicati, considerando nel target anche coloro la cui prima preoccupazione la domenica mattina era l'acquisto del giornale per contestare questo o quell'articolo che rifletteva la linea di "valtellinesità", forte ma non becera, proposta da centro Valle ai lettori e da essi largamente e positivamente accolta.

IL CASO DEI SUICIDI

Illuminante il caso dei suicidi, un triste fenomeno rilevante in provincia.

La regola nel giornalismo un tempo era il silenzio, o formule del tipo "tragica scomparsa", quando il silenzio non era proprio possibile.

Non si trattava di prudérie, di bigottismo, di perbenismo o quant'altro si voglia dire. C'erano, e ci sono, ragioni molto serie per postulare questo silenzio:

1) Il processo imitativo. E' noto che la diffusione di notizie sui suicidi può stimolare altri a compiere lo stesso passo. E' rimasto negli annali il caso dei ragazzi di oltre Stelvio che si uccisero in auto collegando il tubo di scappamento all'abitacolo. In poco tempo vi fu in Italia una sorta di epidemia. Tanti che, forse, senza la diffusione della notizia, non avrebbero compiuto tale infausto passo, almeno in parte.

2) La tragedia di chi resta. Potremmo raccontare casi di famiglie che, avuto un congiunto suicida, hanno visto sì la solidarietà della comunità ma in una con essa hanno anche avvertito una cortina per così dire di "cautela sociale" , frutto di un'attribuzione collettiva a quella famiglia, magari anche inconsapevole e nella stragrande maggioranza dei casi infondata, di una sorta di "male oscuro". Non facciamo esempi, perché in teoria qualcuno potrebbe riconoscersi in essi, anche senza far nomi e stando sul generico, ma abbiamo presenti conseguenze negative pesanti accadute ad una famiglia in un paese della nostra provincia.

Sono due ragioni, quelle addotte, che dovrebbero costituire ancor oggi elemento fondamentale dell'etica giornalistica e rientrare nella seconda parte di quell'art. 2 che abbiamo citato, per giornalisti e soprattutto per direttori.

Il guaio è - riteniamo - che non ci si pensa.

Abbiamo scritto più volte che c'è qualcosa di peggio dell'immoralità. L'immorale viola le regole, sa di violarle, ma è nel sistema (e ci può essere speranza che prima o poi si ravveda).

L'amorale è fuori del sistema. L'amorale non si pone neppure il problema se una cosa è giusta oppure no. E' giusto quello che fa, senza neppure porsi il problema di una verifica.

Per stare al giornalismo c'è il diritto di cronaca e il dovere di informare i lettori. Il resto non interessa. Intendiamo le conseguenze dell'esercizio in tal modo del cosiddetto e preteso diritto di cronaca.

Il lettore ha ragione nel suo accorato "sfogo", ma dubitiamo che qualcosa possa cambiare, quantomeno a breve.

Cambierà quando gli editori rifletteranno sui dati di vendita, magari anche su quelli del Centro Valle di quegli anni, quando aveva raggiunto in una piccola provincia una diffusione di interesse nazionale. Non le nostre parole o le nostre argomentazioni ma uno studio su quello che era stato definito in FIEG, la Federazione Italiana Editori Giornali, un fenomeno di attenzione nazionale, potrebbe fornire anche ai grandi strumenti di comunicazione, meglio ai loro Editori, spunti interessanti (per fare un solo esempio: con gli stessi criteri, adattati al bacino di utenza, non sarebbe difficile per un Corriere della Sera, da sempre sulla soglia delle 7/800.000 copie e non di più, raggiungere in breve tempo il milione…

Questo non succederà. I giornali continueranno, sbagliando, a credere di poter vendere con titoli, articoli, locandine senza rispetto per l'uomo, senza un minimo di quell'intraducibile parola latina che è la "pietas".

Occorre che cresca il numero di chi, come Lei, non accetta supinamente questo andazzo.

Alberto Frizziero, direttore

Sondrio 26 maggio 2001

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