I MAGNAN E EL CALMUN

Antichi mestieri che hanno fatto la storia e alimentato il patrimonio culturale

(Tiziana Gatti)  Con la parola magnano (stagnino ambulante), vengono chiamati la maggioranza degli abitanti di Lanzada poiché, anticamente era la professione da loro esercitata. Etimologicamente il magnano è colui che lavora il ferro, creando oggetti o riparando quelli esistenti, in alcune valli indicava sia chi era addetto all’altiforno sia chi forgiava il metallo- L’origine dei magnani di Lanzada potrebbe essere intorno alla fine del 1400, cosa spingeva gli antichi abitanti della Valle del Lanterna a spostarsi come ambulanti? Sicuramente la sopravvivenza ai lunghi periodi invernali per implementare il reddito fornito dall’agricoltura. Si presume che inizialmente vendessero esclusivamente i laveggi che, venivano loro consegnati dai fabbricanti privi delle parti metalliche che loro forgiavano e applicavano, durante i viaggi provvedevano anche alla loro riparazione e da li, diventarono anche molto bravi nella riparazione di altri utensili da cucina. Questo tipo di lavoro solitamente veniva tramandato tra parenti, non necessitava di un lungo periodo di apprendistato e si iniziava verso i dodici, tredici anni, il ragazzo apprendista annunciava la presenza del magnano nel paese, provvedendo al ritiro e alla consegna degli attrezzi di minore importanza, attizzava il fuoco e fabbricava i chiodi di varie dimensioni. Era un lavoro in coppia e rispettava un codice d’onore per il rispetto delle zone di frequentazione dei vari gruppi. L’attività del magnàn era richiesta soprattutto dalle famiglie contadine che usavano i contenitori in rame per lavorare e conservare il latte ma, potevano essere chiamati per sistemare le batterie da cucina di grandi alberghi o eseguire lavori di riparazione anche per famiglie abbienti. Il lavoro veniva pagato una volta consegnato, non solo in denaro ma anche in beni alimentari come farine, vino, animali. I magnani lavoravano preferibilmente all’aperto, se le condizioni meteo avverse non lo permettevano trascorrevano qualche ora in osterie, anche se il loro aspetto, per via della fuliggine, era abbastanza sporco, nel gergo calmùn infatti fare il magnano veniva tradotto come fabricàa èl tenc’ (tenc’ come unto di fuliggine); se venivano ospitati nelle cascine, non necessariamente si sedevano a tavola con i commensali ma, venivano comunque forniti del necessario per prepararsi il cibo, durante la notte trovavano alloggio nei fienili. Il lavoro del magnàn non necessitava di molti attrezzi che venivano messi nella Bùlgia, inizialmente sacco di pelle di capra e poi cassetta di legno portata a tracolla; i materiali usati quotidianamente erano rame, piombo, stagno, lamiera zincata, acido crudo e cotto, stoppa e ovatta. Che zone frequentavano i magnàn? Verso la fine di ottobre o appena dopo i morti partivano per far ritorno a primavera inoltrata, c’era chi tornava per le festività Natlaizie o Pasquali, c’era chi tornava ogni due, tre settimane o chi addirittura se ne stava lontano per molti mesi, anche l’itinerario poteva essere modificato e le famiglie non ricevere notizie per molto tempo. Che lingua parlavano i magnani?, oltre al dialetto del paese di Lanzada esisteva anche il gergo calmùn, quest’ultimo ha sicuramente origine dai gerghi degli altri ambulanti incontrati, una mescolanza di scambi culturali con funzioni legate alle esigenze lavorative, relazioni sociali, bisogni fisiologici, famiglia, affetti e religione. Essendo principalmente una forma di comunicazione all’interno di una ristretta cerchia, ha una funzione di linguaggio segreto, poteva essere una difesa verso gli estranei come pure servire per mascherare loschi affari, un modo per sottrarsi all’altrui vigilanza, poche parole potevano far intendere un discorso ben più lungo. Dal punto di vista etimologico calma o calmùn indica il palare in modo ambiguo, per metafore, il parlare in gergo; nel 1500 la parola calmone di riferiva a tutto il gergo dell’Italia settentrionale. Il gergo di Lanzada veniva utilizzato quasi esclusivamente fuori dal paese natìo, visto che era legato all’esercizio della professione del magnano e, negli anni, venne sempre più utilizzato per ristabilire legami e creare complicità tra conterranei nelle varie migrazioni anche del dopoguerra e per le attività di contrabbando con la vicina Svizzera. Restava comunque un linguaggio quasi esclusivamente maschile e non veniva parlato quando si era ospiti di famiglie per motivi di buona educazione. Il calmone era talmente riservato che nemmeno gli abitanti dei comuni limitrofi, pur esercitando attività ambulanti come gli arrotini (muléta) o il commerciante riparatore di oggetti in legno (scegiunàt) riuscirono ad impossessarsi di tutti i vocaboli per costruire un discorso.
Mi sono incuriosita a questo gergo perché, un giorno, parlando con una mia vicina ed amica, sono uscita con dei vocaboli, usati spesso dalla mia nonna Estrella (che non aveva origini malenche) e che lei ha ricondotto al gergo Calmùn, quindi mi ha prestato il testo Parlàa Calmùn, storia e gergo dei magnani di Lanzada di M. Slvadeo e S. P. Picceni, dal quale ho tratto questo mio scritto e che spero abbia incuriosito chi l’ha letto. Per chiudere citerò una filastrocca che i magnàn recitavano a chi chiedesse perché parlassero in quel modo: “bis bir biribus et inbalducaribus et inscatelaribus et non intramoiaribus” che tradotto diventa “cari i miei forestieri, voi siete dei somari perché vi sto prendendo in giro e voi non capite”, una semplice filastrocca in finto latino la dice lunga sulla furbizia di chi parlava il gergo.

Tiziana Gatti

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