Guerra. L'energica passione del Papa. La "timidezza" della maggior parte del clero
IL MESSAGGIO PAPALE AI CAPPELLANI MILITARI
Lunedì scorso 24 marzo il Santo Padre ha inviato ai
Cappellani militari in occasione del Corso di formazione al
diritto umanitario un significativo messaggio, da cui
stralciamo, per brevità, alcuni passi.
"..E' proprio quando le armi si scatenano che diventa
imperativa l'esigenza di regole miranti a rendere meno
disumane le operazioni belliche.
Inter arma caritas è stata la significativa parola d'ordine
del Comitato Internazionale della Croce Rossa fin dai suoi
albori, eloquente simbolo delle motivazioni cristiane che
ispirarono il fondatore di tale benemerito organismo, il
ginevrino Henry Dunant, motivazioni che non andrebbero mai
dimenticate.
Dovrebbe ormai essere chiaro a tutti che la guerra come
strumento di risoluzione delle contese fra gli Stati è stata
ripudiata, prima ancora che dalla Carta delle Nazioni Unite,
dalla coscienza di gran parte dell'umanità, fatta salva
la liceità della difesa contro un aggressore. Il vasto
movimento contemporaneo a favore della pace - la quale,
secondo l'insegnamento del Concilio Vaticano II, non si
riduce a una "semplice assenza della guerra" (Gaudium et
spes, 78) - traduce questa convinzione di uomini di ogni
continente e di ogni cultura".
IL
PERICOLO DI UNA "CATASTROFE RELIGIOSA"
Non vi é ombra di dubbio che il Pontefice ha affrontato la
questione della guerra con impegno straordinario ed energica
passione, dimostrati in numerose circostanze oltre che con
l'intensissima azione diplomatica svolta.
Non dimentichiamo che egli sa di persona che cosa sia
veramente la guerra perché da giovane l'ha fatta, perché ha
visto direttamente i suoi orrori, perché ha anche visto la
sua Patria dilaniata e poi oppressa, dagli uni e dagli
altri.
Fortissima dunque la componente umana, ma non solo.
Il Papa non ha mancato di indicare il pericolo, traduciamo
così, di una "catastrofe religiosa".
Incombe lo spettro di un conflitto culturale, che nasce sul
terreno politico stimolato dalla vicenda bellica e poi si
può tradurre - magari anche in parte cospicua come alibi -
sotto l'etichetta religiosa. Cristianesimo e Islam: uno
scontro che aleggia sullo sfondo di una vicenda che non ha
nulla di religioso, nulla di culturale ma tanto di
economico, ma tanto di potere.
TROPPI DON ABBONDIO, POCHI FRA CRISTOFORO
A tanta passione del Papa non corrisponde, come invece
dovrebbe essere, un'altrettanta passione del clero. I
Vescovi, i parroci, le organizzazioni cattoliche di ogni
tipo dovrebbero essere i diffusori, anzi gli amplificatori,
del pensiero del Papa, per ogni dove.
Non succede, o quantomeno succede solo in parte.
Da un lato nelle Chiese si odono spesso generiche
invocazioni alla pace con un linguaggio da "predica
domenicale" - intesa secondo l'accezione corrente, peraltro
non molto rispettosa indicandola quasi come una sorta di
male necessario che lascia il tempo che trova -. Un
linguaggio che di fatto diventa in un certo senso la fiera
dell'ovvio.
Dall'altro la mentalità che "queste sono cose dei Superiori,
del Papa, del Vescovo", e poi "bisogna stare attenti perché
si finisce nella politica".
Troppi Don Abbondio, pochi Fra Cristoforo.
c'e' anche chi
ha capito
C'é fortunatamente ha capito l'angoscia di un Papa che
guarda avanti, che guarda alle conseguenze, che pensa a cosa
può succedere.
Il Vescovo di Savona che marcia in testa al corteo per la
pace insieme con il Sindaco é un testimone, ma é anche un
segno che sulla volontà della gente, suoi sentimenti diffusi
non va messo il cappello e che nessuno può appropriarsi di
un valore che è nel cuore e nella coscienza della gente,
senza distinzioni di credo religioso, politico, di opinione.
E' l'immagine di una Chiesa che per definizione stessa, per
vocazione, per investitura non può che essere con chi
soffre, non può che essere con chi non lesina sforzi per
comporre anche le più intricate matasse.
Diciamo, con l'arcivescovo metropolita di Belgrado,
monsignor Stanislav Hocevar ''sotto le bombe il pensiero
prevalente e' quello di non riuscire a farcela, si vive solo
al presente, si perde il senso del futuro''.
UNA BANDIERA CHE SVENTOLA DA TEMPO. FUORI
La bandiera multicolore che sventola in tantissime case -
un'iniziativa nazionale, diventata internazionale, partita
da cattolici italiani non da politici - é l'immagine visiva.
Ma, Reverendi parroci e clero tutto, questa é la bandiera
che senza necessità di esporla sventola implicitamente, da
secoli, in ogni chiesa, in ogni cappella, in ogni santella.
Fuori.
sventoliamola anche deNtro
La vogliamo sventolare anche dentro? Certo, con la preghiera
in primis, ma non generica bensì specifica. Non solo "per la
pace", ma "per la fine di questa guerra". Per chi crede le
orazioni sono un'arma, questa sì "intelligente",
potentissima. Ma non basta. Occorre chiamare all'impegno
tutti i cattolici, anche i più tiepidi, anche chi é e si
sente cattolico e magari pratica poco. E a un impegno
comune. Si pensi cosa vuol dire l'intesa, che data la
situazione storica appare eccezionale, intervenuta tra i
Primati delle Chiese anglicana e cattolica d'Inghilterra che
sono arrivati a una dichiarazione comune contro la guerra.
Un impegno ecumenico, con tutte le Chiese, occidentali e
orientali.
I potenti della terra non sono stati in grado di trovare la
via dell'intesa. I Palazzi si sono invischiati in una
spirale al cui centro dominano lutti e rovine.
FATALISMO E AZZECCAGARBUGLI
Il fatalismo spinge molti all'auspicio che la guerra sia la
più breve e la meno dannosa possibile. Intanto però la gente
muore. Muoiono i civili ma muoiono anche tanti ragazzi
americani, inglesi, irakeni nel dolore di tante famiglie, un
dolore che non é diverso secondo la lingua nella quale si
esprime. E tante risorse che potrebbero essere destinate ad
alleviare sofferenze, a combattere la fame, a curare malati
vengono sprecate.
Un fatalismo che deriva dalla convinzione di impotenza.
Continuiamo ad essere fatalisti, o a imitare, per stare
sempre al Manzoni, l'avv. Azzeccagarbugli, dissertando sulle
nefandezze di Saddam - che ci sono -, sugli errori di Bush -
che ci sono -, sull'Europa - che non c'é - e via via sino
agli ultimi epigoni di questa o quella posizione politica.
Continuiamo pure, e sarà sempre peggio.
Oggi il cielo é fosco, ma in questo modo quello di domani
sarà sempre più fosco.
NON ABBIAMO IL DIRITTO ALL'IGNAVIA
Non abbiamo il diritto all'ignavia. Abbiamo dei figli e
dobbiamo pensare a loro, al loro domani.
Per questo l'impegno può non essere inutile, ma occorre che
sia corale, perché dopo questa Quaresima arrivi la Pasqua.
Mi si potrebbe chiedere chi sono io per fare, senza titolo,
questa "predica" a chi invece ha titolo di farle? Nessuno
certamente, ma un nessuno che sta seguendo, parola per
parola sul sito del Vaticano, i pronunciamenti del Papa e
che vede come questa sua angoscia, profondamente e
intimamente cristiana, non é fatta propria come dovrebbe
essere e che i suoi alti messaggi si confondono nella
cronaca invece di essere raccolti, amplificati, diffusi per
diventare, da testimonianza, pratica di vita, esercitando la
virtù della speranza. Virtù, s'intende, non sentimento umano
di attesa che si confonde con il fatalismo. Virtù da cui
qualche risultato concreto può venire.
a.f.
GdS 28 III 03 www.gazzettadisondrio.it