La proposta di legge della montagna LA RELAZIONE A cura del C.I.M. La relazione, premessa - La relazione, punti fermi - La relazione, i dati - La relazione, i contenuti della PdL
La proposta di legge "Integrazione alle norme sulla montagna italiana"
presentata lo scorso 11 luglio ad opera del
Gruppo “Amici della Montagna” del Parlamento, e
specificatamente come primi firmatari alla Camera
l'on. Gianantonio Arnoldi - che del Gruppo é
Vicepresidente - e al Senato il sen. Augusto Rollandin, si apre con la Relazione che segue,
che merita di essere pubblicata. (Non pubblichiamo gli
articoli in quanto possono essere letti o scaricati
all'indirizzo:
www.montagna.org/montagnachevince/testodilegge.doc
La Relazione - PREMESSA
Il Gruppo “Amici della montagna” del Parlamento non poteva
mancare all’appuntamento del 2002, proclamato dall’ONU e
dalla FAO “ Anno internazionale della montagna”, senza
presentare un proprio progetto di riforma della legge n.97
del 1994, ultima delle leggi succedutesi in materia di
sviluppo delle zone montane.
Si tratta, va ricordato, di norme che applicano il disposto
dell’articolo 44 della Costituzione, in base al quale la
Repubblica è tenuta ad intervenire in favore delle zone
montane.
Va riconosciuto alla legge n.97 il merito di aver ben
operato in talune sue parti, ma di non aver saputo avviare
quel volano di sviluppo destinato ad arginare lo
spopolamento ed il crescente degrado ambientale che
affliggono la montagna italiana. Gli interventi destinati
allo scopo nelle manovre economiche degli ultimissimi anni,
non ultima la Finanziaria per il 2002, pur nella loro buona
volontà, restano slegati l’uno dall’altro, mentre d’altro
canto spesso si è ragionato con una logica meramente “trasferitoria”,
mediante richiesta di aumenti degli stanziamenti dal centro,
in assenza di un quadro unificante di sviluppo.
Nostro scopo è quello di presentare un pacchetto organico di
proposte, che comprenda il lavoro già svolto, ma che
riconosca la “specificità” delle zone montane e che le
indirizzi verso un sviluppo compatibile.
Abbiamo “rubato” questa definizione agli ambientalisti
riconoscendo, diversamente da quanto facevano i primi
economisti, che aria ed acqua pulita, ampie foreste e spazi
immacolati sono un bene economico, in quanto tali utili e
scarsi: il loro sfruttamento dovrà comprendere la loro
completa riproduzione, pena la loro distruzione o
inutilizzabilità. In tale ambito la montagna promette una
crescita economica diversa, ma di pari valore rispetto a
quella di altre zone del Paese.
La Relazione - PUNTI FERMI
Va colta quindi l’occasione per predisporre ed approvare una
nuova legge per la montagna, una legge di sviluppo organica,
una legge quadro che tenga conto delle accresciute (ed oggi
prevalenti) competenze regionali e degli orientamenti
comunitari.
Di essa occorre segnalare taluni punti fermi:
-definizione di montagna; l’Unione europea la definisce in
base all’altitudine, in base alla pendenza ed in base al
ridotto periodo vegetativo; tale ultimo criterio include tra
le zone montane, a nostro giudizio in modo non pertinente,
anche i Paesi del nord Europa; forse sarebbe opportuno
sostituire l’ultimo dei criteri con un altro, che tenga
conto della vasta escursione termica; di questo in ogni caso
dovrà discutersi in sede di riforma dei trattati comunitari;
resta il fatto che l’ottimale combinazione di questi tre
fattori ci consente di migliorare la delimitazione delle
nostre zone montane, eliminando taluni assurdi, quali la
costituzione di numerose zone costiere in comunità montana;
-definizione del requisito di specificità; la normativa
comunitaria omologa le zone montana alle aree depresse,
sottintendendo che una volta passata la depressione,
l’intervento si interrompe; se è vero che molte zone montane
posseggono indici economici ed occupazionali inferiori ad
altre parti del Paese, in realtà la montagna non è una
realtà depressa, ma una realtà specifica, cioè dotata di
caratteristiche permanenti e non temporanee; la nostra
proposta è pertanto quella di riconoscere la specificità e
derogare per la montagna alla regole sulla concorrenza
previste dai trattati UE;
-ridefinizione, a cura delle Regioni, del ruolo delle
comunità montane, in quanto entità capaci di gestire realtà geomorfologiche complesse e di assicurare servizi pubblici
rilevanti ai comuni ad esse associati;
-definizione di piccoli comuni montani; si sollevano
perplessità in relazione ad un testo in discussione in
favore delle attività situate nei piccoli comuni, definendo
come tali quelli con meno di 5000 abitanti; ma quattro
quinti dei comuni italiani sono sotto i 5000 abitanti; la
nostra opinione è pertanto che detta soglia debba essere
abbassata;
-definizione di regole coordinate per lo sviluppo agricolo,
industriale, commerciale e turistico, regole strettamente
connesse alla dichiarazione di specificità; dovranno essere
previste norme di sviluppo compatibili con i fragili
eco-sistema montani, senza gravare non tanto sull’economia
nazionale, quanto sulle regole sulla concorrenza stabilite
in sede comunitaria; in realtà è questa la sfida più grande
che la nuova legge dovrà affrontare; a titolo di esempio,
all’agricoltura montana andrebbe riconosciuta la sua valenza
di elemento di stabilità idrogeologica oltre che la sua
tipicità (tra l’altro la tipicità dei prodotti agricoli
montani italiani è stata di recente soppressa in sede UE);
al commercio la sua funzione di “collante sociale” per le
piccole comunità, in particolare mediante agevolazioni
fiscali; all’industria infine andrebbero riconosciuti
contributi volti a bilanciare la sfavorevole collocazione
(distanza dai mercati di approvvigionamento e di vendita) e
d’altro canto poste più severe limitazioni ambientali; al
turismo la sua valenza di volano di sviluppo, in
considerazione dell’ampio “indotto” legato al turismo
montano, e quindi smussando talune ciclicità legate ai
fenomeni turistici;
-definizione dell’aiuto alle comunità civili al fine di
evitare lo spopolamento delle zone montane; si tratta di
riconoscere la natura di servizio svolto in favore della
collettività nazionale per talune attività delle popolazioni
di montagna, connettendo ad essi una serie di agevolazioni
fiscali (Irpef, Ici, tassazione prodotti energetici);
adeguati di recente i sovracanoni dovuti ai Comuni, a carico
dei concessionari di grandi derivazioni idroelettriche,
resta da riconoscere, in ambito di tariffe dell’acqua, che
la montagna è produttrice di grandi quantità di acqua
potabile; va sottolineata la necessità del permanere dei
servizi pubblici (poste, banche, sanità, trasporti locali,
scuola); in quest’ultimo ambito potrebbero valorizzarsi
forme alternative di frequenza scolastica.
La Relazione -
I DATI
Sulla base della definizione di zona montana oggi vigente in
Italia sono totalmente montani 3.533 comuni, parzialmente
montani 655 comuni . Sussistono 360 comunità montane, con
10,5 milioni di abitanti, pari al 18,6% della popolazione
italiana). Le aree occupate assommano a 16,371 milioni di
ettari (54,33% superficie nazionale). I comuni integralmente
montani coprono il 48% della superficie nazionale con il
15,4% della popolazione (8,5 milioni). La densità di
popolazione è circa un terzo della media nazionale, un po’
più alta al sud, ma in ogni caso, in costante diminuzione.
In base a questi dati non è contestabile la rilevanza
generale di una legge di riforma della normativa sulla
montagna, poiché essa riguarda circa la metà del territorio
nazionale e circa un sesto della popolazione italiana.
La Relazione - I CONTENUTI DELLA PDL
A tal fine l’articolo 1 stabilisce la natura di preminente
interesse nazionale, ai sensi dell’articolo 44 delle
Costituzione, della legge, la quale deve conformarsi al
principio di sussidiarietà che la recente riforma
costituzionale ha posto a cardine dei rapporti tra Stato e
comunità locali. Per quel che riguarda l’ambito comunitario,
la proposta richiama l’articolo 87 del Trattato, relativo
alle deroghe al regime di concorrenza, in particolare nella
parte in cui prevede aiuti per le zone il cui lo sviluppo
economico ed il tenore di vita siano bassi e nelle quali sia
opportuno intervenire a salvaguardia del patrimonio
ambientale e culturale.
Innovativamente la proposta impegna il Governo ad
intervenire in sede di revisione dei trattati UE, al fine di
ottenere una migliore definizione del concetto di “zone
montane” ed il riconoscimento della “specificità” delle
medesime, superando la precedente logica, che le equiparava
alle aree depresse. Restano in ogni caso fermi, sino a
definizione di nuove tipologie di intervento, le
disposizioni di favore attualmente in vigore.
Per quel che riguarda le tipologie di intervento
(territoriale, economico, sociale e culturale) sono stati
ripresi e migliorati i criteri elencati nell’articolo 1
della legge n.97, in particolare introducendo il concetto di
“sostenibilità” dello sviluppo.
L’ultimo comma tenta una definizione-delimitazione delle
zone montane, mutuando sia dalla delimitazione delle
medesime operata dalla legge n.991 del 1952, poi aggiornata
dalla legge n.1102 del 1971 ed abbandonata dalla legge n.97,
sia dalla esperienza maturata in questi anni. La scelta di
criteri oggettivi e che lasciano poco spazio ad ulteriori
interventi regionali, si basa sulla constatazione che il
comma dell’articolo 1 della legge n.97 in realtà, pur
recependo la delimitazione della legge del 1952 ha
consentito di far rientrare nella classificazione di montano
anche i comuni dichiarati tali, pur senza averne le
caratteristiche, con il paradosso di un eccessivo
ampliamento delle comunità montane e della sussistenza di
comuni che godono sia delle agevolazioni per la montagna,
sia delle provvidenze per la pesca marittima.
E’ ovvio che i criteri proposti (Comuni situati per almeno
l’80 per cento della loro superficie al di sopra di 600
metri di altitudine sul livello del mare; Comuni con
dislivello altimetrico non inferiore a 600 metri e che
abbiano almeno il 30% della popolazione oltre tale quota;
Comuni ricompresi all’interno del territorio di Comuni
classificati montani; Comuni limitrofi di Comuni montani,
con popolazione inferiore a 3.000 abitanti, per i quali gli
indici reddituali ed occupazionali siano inferiori alle
medie nazionali) possono e devono essere riscritti in sede
di Conferenza Stato – Regioni, tuttavia si è voluta fornire
in questa sede una base di discussione, che non deve e non
vuole considerarsi impegnativa.
L’articolo 2 ridefinisce il Fondo nazionale della montagna,
già istituito dalla legge n.97. Le novità consistono
nell’inserimento della quantificazione del Fondo nella
Tabella C (fondi determinati annualmente dalla politica di
bilancio) della Legge Finanziaria. Va rammentato che la
legge n.97 provvedeva per il solo triennio 1994-1996 e che
le quantificazioni successive, peraltro mai lesinate, sono
state inserite tramite disposizioni non organiche. La nuova
disposizione da certezza triennale al Fondo. Altra novità
consiste nel fatto che mentre la L.F. dispone l’onere a
carico dello Stato, la Unità previsionale di base di
riferimento dovrà contenere un quadro analitico delle sue
diverse componenti (trasferimenti comunitari, dello Stato e
di enti pubblici).
Gli stanziamenti del Fondo per la montagna per il 2002 sono
allocati presso il Ministero dell’Economia, (UPB 5.2.3.13 ed
UPB 3.2.3.43) e complessivamente per il 2002 assommano a
74,8 milioni di euro, cui si aggiungono quote dei 175
milioni di euro del fondo ordinario, dei 40 milioni di euro
(L.F. per il 2002 e decreto-legge n. 13 del 2002) per le
unioni di comuni e degli stanziamenti del Fondo nazionale
per il sostegno alla programmazione delle opere pubbliche
Regioni ed enti locali (50 milioni di euro L.F. per il
2002).
Inoltre le zone montane sono inserite, pur ovviamente non
coincidendo, nelle aree depresse come definite dal dl 22
ottobre 1992, n.415, godendone delle agevolazioni e degli
stanziamenti. Anzi, la legge n.97 ha espressamente
modificato l’articolo 1 del dl n.415 inserendo un
riferimento “alle particolari condizioni delle zone
montane”. Gli stanziamenti complessivi per le aree depresse
assommano a 7.778 milioni di Euro per il 2002, 9.913 milioni
di Euro per il 2003 e 3.150 milioni di Euro per il 2004,
ripartiti tra diverse amministrazioni e facenti capo a più
provvedimenti legislativi.
Quanto agli anni più recenti, nel 2001 il Fondo montagna è
stato pari a 100 miliardi di lire, cui si sono aggiunti 50
miliardi quota 1996. Si aggiungono le quote limiti di
impegno quindicinali di cui all’articolo 34 legge 144 del
1999, pari a 20 miliardi per il 2000 e ad ulteriori 10 a
partire dal 2001, che hanno attivato o attiveranno mutui per
300-400 miliardi. Queste ultime somme finanzieranno
investimenti coerenti con i Piani pluriennali di sviluppo
delle comunità montane.
I commi 3-4 dell’articolo stabiliscono che le somme
provenienti dal centro sono aggiuntive a quelle stanziate o
attivate dalle regioni e che il riparto tra le regioni è
effettuato dal CIPE entro il 31 gennaio di ciascun anno.
Spetta poi alle regioni determinare i modi di utilizzo,
anche se sarebbe opportuno che i bilanci regionali
imputassero le risorse ad un unico centro di spesa.
Il comma 6 prevede i criteri di riparto tra le regioni,
modificando in parte i precedenti. In particolare si è
eliminato il criterio in base al quale spettassero alle aree
protette maggior quota di fondi (in base all’equazione: area
protetta = vincolo allo sviluppo) e si è invertito il
criterio relativo alla popolazione ritenendo che la montagna
spopolata meriti una maggiore attenzione; inoltre è stato
soppresso il riferimento ai trasferimenti agli enti locali,
che ha ormai poco significato in quanto essi sono stati
allargati alle regioni a statuto speciale; viceversa si è
ritenuto opportuno tenere conto delle quote di fiscalità
generale attribuite alle regioni a Statuto speciale. In
definitiva i criteri scelti, anch’essi opinabili e non
impegnativi, sono: estensione del territorio montano; rischi
ambientali sussistenti; indice di spopolamento; reddito
medio pro capite; tasso di disoccupazione; livello dei
servizi; natura e dell’entità delle quote di fiscalità
generale attribuite alle regioni a Statuto speciale.
Infine il comma 7 prevede la presentazione annuale di una
Relazione sulla montagna, contenente in particolare i quadri
complessivi delle risorse attivate dal centro e dalle
regioni.
L’articolo 3 detta disposizioni innovative in tema di
comunità montane. Le nuove disposizioni tengono ovviamente
conto dei nuovi poteri regionali in materia di
organizzazione del proprio sistema di enti locali, pertanto
sono dettate norme generali di indirizzo, potendo le regioni
anche sopprimere, come già avvenuto in Val D’Aosta, il
concetto medesimo di comunità montana. I principali criteri
cui la legge regionale dovrà tener conto sono: snellezza
degli organi, rapidità di decisione, rappresentatività delle
minoranze, possibilità di nomina e revoca dei componenti
dell’organo esecutivo da parte del Presidente della
Comunità, numero limitato dei componenti dell’organo
assembleare; tale ultima norma, contenuta nella lettera a)
del comma 3, potrebbe essere superflua in virtù
dell’applicabilità alle comunità montane del comma 5
dell’articolo 32 del testo unico enti locali.
Si prevede inoltre possibilità di consultazione dei
cittadini e di accesso dei medesimi alle informazioni
relative alle diverse tipologie di intervento e di
agevolazione, anche mediante creazione di sportelli
polifunzionali distribuiti sul territorio. In definitiva si
vuole uno strumento agile al servizio delle comunità civili,
anche al fine di stimolare in esse un maggior senso di
appartenenza.
Ripresa dalla precedente normativa l’esclusione dalle
Comunità montane dei comuni sopra i 40mila abitanti ed i
capoluoghi di provincia, si prevede infine, anche per
temperare le maggiori rigidità della delimitazione delle
zone montane previste dall’articolo 1, la possibilità di
graduazione degli interventi in ragione delle fasce
altimetriche e di altri elementi di difficoltà.
Le perplessità, anche di natura dottrinaria, nate sulla
natura di organo derivato delle comunità montane, nonché le
recenti modifiche costituzionali, hanno reso da un lato
inattuali, dall’altro non rispondenti alla nuova
distribuzione dei poteri all’interno dello Stato gli
articoli 27 e 28 del testo unico enti locali (n.267 del
2000). Con la riscrittura dell’articolo 27, operata dal
presente testo, si tenta di rendere l’istituto più aderente
ai tempi ed alle esigenze. Sarebbe peraltro opportuna anche
la riscrittura dell’articolo 28, anch’esso da un lato troppo
imperativo, dall’altro troppo vago. Resta questa la
soluzione più semplice ove si consideri che la struttura del
sostegno dal centro agli enti locali prevede in ogni caso
che una quota di essi finanzi le comunità montane in quanto
tali. E nessuna regione vorrà perdere i suddetti
finanziamenti a causa del non utilizzo dell’istituto della
comunità montana. A meno che non si intenda modificare la
struttura dei finanziamenti, come da diverso tempo si chiede
o prevedere una norma che destini agli uffici regionali per
la montagna i fondi che in altre regioni sono utilizzati per
il funzionamento delle comunità.
L’articolo 4 riprende, migliorandolo, l’articolo 9 della
legge n.97, in materia di gestione del patrimonio forestale.
L’intento è quello di avviare la valorizzazione dei boschi,
sulla base del decreto legislativo n.227 del 2001, come
risorsa economica, come elementi di stabilizzazione
idrogeologica e come produttori di aria pulita. Una recente
ricerca del CNR ha dimostrato che la vegetazione dell’isola
di Pianosa, paradiso ambientale di 10 kmq, ha assorbito in
due mesi 5.700 tonnellate di CO2, pari a quella prodotta
nello stesso periodo da 9.100 automobili.
Su questo ultimo punto si osserva che le recenti modifiche
al protocollo di Kyoto, prevedono che la riduzione
dell’immissione di anidride carbonica nell’atmosfera
(responsabile dell’effetto serra), può ottenersi anche
mediante maggior assorbimento di quella prodotta. Negli
ultimi 50 anni l’anidride carbonica emessa è pari a quella
emessa nei precedenti 420mila anni. Nel XX° secolo le Alpi
hanno perso metà del volume dei ghiacciai, mentre la loro
superficie è scesa al 40%. Ma sulle Alpi è a rischio anche
il permafrost, terreno perennemente gelato, composto da
ghiaccio, ciottoli, detriti, che mantiene stabilità. Era, a
inizio secolo, presente sopra i 2500 metri. Oggi è salito di
200 metri. L’innalzamento della temperatura tra 1 o 2 gradi
provocherebbe l’innalzamento del permafrost di 500 metri con
gravissimi rischi di stabilità per tutto l’arco alpino.
E questo ci conduce ai problemi connessi al dissesto
idrogeologico, in gran parte dovuto all’incuria ed
all’abbandono dei territori montani. I Servizi tecnici
nazionali hanno calcolato che dal 1945 al 1990 il dissesto
idrogeologico è costato 74 miliardi di euro pari 4,65
milioni euro al giorno; un comune italiano su tre è a
rischio idrogeologico: 6.689 le aree a rischio di frana, 37
a rischio valanga, 2.446 a rischio alluvione.
A fronte di queste considerazioni, la gestione e la
valorizzazione del patrimonio forestale montano può
costituire il primo esempio su scala nazionale di “sviluppo
sostenibile” come da secoli già dimostrato dalla Magnifica
Comunità di Val di Fiemme: il pregiato abete rosso, che
matura in 150 anni, copre il 95% superficie boschiva (110
ettari su 2000 della comunità). Nel 2001 la segheria di
Alvisio ha lavorato 33mila metri cubi legno e fatturato 6,5
milioni di euro, dando lavoro a 39 dipendenti fissi, 6
amministrativi, 54 stagionali che si occupano della
manutenzione dei boschi (nessun incendio negli ultimi anni)
e delle strade; complessivamente gravitano attorno alla
Magnifica Comunità 8000 famiglie.
Va anche considerato che il settore industriale del legno
(446mila addetti; 88.600 imprese), al quale vanno
riconosciuti grandi meriti per quel che riguarda la
positività della bilancia commerciale, è tra quelli
maggiormente dipendenti dall’estero. Di soli legni poveri
(da ardere, o cascami o particelle), l’Italia ne importa
ogni anno circa 140 miliardi di vecchie lire.
Pertanto è evidente che l’attuale patrimonio forestale è
sotto-utilizzato, pur in presenza di numerosi strumenti
regionali, nazionali e comunitari. In tal senso, segnaliamo
la recentissima (GU 26 giugno) pubblicazione del decreto che
consente l’agevolazione del 36% per la manutenzione dei
boschi.
Il problema è quindi quello del coordinamento. L’articolo in
oggetto prevede la costituzione di appositi consorzi, cui
possono essere affidati anche boschi demaniali o abbandonati
o limitrofi a zone montane, che operano sulla base di Piani
territoriali forestali. I Piani, che hanno valenza
produttiva, idrogeologica ed ambientale, devono anche
favorire forme collettive di trasformazione e di
commercializzazione del legno. All’attuazione dei Piani sono
indirizzate quote dei fondi comunitari Feoga e Sfop, quota
(5%) delle risorse della legge n.499 del 1999, in materia di
razionalizzazione degli interventi in materia agricola e
quota (10%) del fondo sviluppo sostenibile, istituito
dall’articolo 110 della Finanziaria per il 2001. E’ previsto
inoltre un meccanismo premiale di attribuzione dei fondi in
ragione dell’aumento delle superfici boscate e della
diminuzione delle aree percorse dagli incendi.
Conclusivamente si prevede la possibilità per i giovani
residenti nella Comunità montana di svolgere il servizio
civile in assegnazione ai consorzi, per le funzioni di
tutela del patrimonio boschivo.
L’articolo 5 contiene benefici in campo energetico e di
gestione delle acque. Va innanzitutto segnalato che il Dm
Ministero dell’ambiente 11 dicembre 2001 ha portato a 9,39
euro per kW la misura del sovracanone dovuto ai comuni nel
territorio vi siano grandi derivazioni idroelettriche; ed
inoltre che le agevolazioni per il gasolio per riscaldamento
(250 lire in meno per litro), sono state prorogate sino al
31 dicembre 2002 dal recentissimo decreto-legge n.108 del
2002.
Ciò premesso l’articolo interviene esentando dall’imposta di
consumo l’energia elettrica prodotta da piccoli impianti di
montagna, compresi gruppi elettrogeni a gas metano
biologico. Il metano prodotto da biomasse è a sua volta
esente da qualsiasi imposta. Sono rese permanenti le
agevolazioni sul gasolio da riscaldamento e sono ridotte del
20% le accise sui principali prodotti petroliferi.
In materia di acque, la legge sulle risorse idriche (n.36
del 1994) già prevede un sovracanone per il mantenimento
delle zone di salvaguardia. Le modifiche apportate prevedono
che i costi connessi siano a carico degli utenti dei comuni
con oltre 40mila abitanti, delle residenze secondarie, degli
impianti turistici stagionali situati in zone non montane.
Si chiarisce infine che la quota di tariffa va versata alla
Comunità o ai comuni nel cui territorio ricadano le
derivazioni.
Con l’articolo 6 si dettano norme per favorire lo sviluppo
del turismo montano. Ci si avvale degli strumenti
recentemente istituiti dalla legge di riforma di settore (n.135
del 2001), prevedendo interventi volti a favorire lo
sviluppo del turismo giovanile, scolastico e degli anziani,
anche mediante sostegno di pacchetti vacanza localizzati in
periodi di bassa stagione. Le Comunità montane sono
dichiarate sistemi turistici locali, ossia quei “…contesti
turistici omogenei, caratterizzati dall'offerta integrata di
beni culturali, ambientali e di attrazioni turistiche,
compresi i prodotti tipici dell'agricoltura e
dell'artigianato locale…”, accedendo ad una quota vincolata
del 20% del Fondo per l’offerta turistica. Detto fondo per
il 2002 ha una dotazione di oltre 103 milioni di euro. Le
richieste di agevolazione per il prestito turistico hanno
priorità se indirizzate verso pacchetti localizzati in zone
montane. Quanto allo sviluppo delle infrastrutture
turistiche si prevede che le proposte delle regioni,
riferite al settore turistico-alberghiero, concernente la
concessione e l'erogazione delle agevolazioni in base alla
normativa sulle aree depresse, hanno priorità nella
formazione delle graduatorie speciali e nell’assegnazione
delle risorse finanziarie, se riferite alle zone montane.
Infine la importante questione del turismo sciistico, volano
dell’economia di intere province. Le statistiche dicono che
ogni euro speso per andare su e giù con gli sci ne porta
almeno altri 10 da spendere in alberghi, ristoranti e negozi
della zona. In conseguenza della mancanza di neve crolla
tutto il sistema e migliaia di lavoratori stagionali
rimangono senza lavoro. Quest’anno si sono registrate 70.000
assunzioni in meno ed il mercato del lavoro del settore ha
visto nel giro di 6 mesi una flessione di quasi il 19% degli
assunti.
V considerato che il turismo alpino complessivamente frutta
23 miliardi di euro annui, pari al 5% del fatturato del
turismo mondiale e che in Italia complessivamente esistono
304 località sciistiche dislocate in ben quindici regioni,
la maggior parte delle quali fonda la propria sopravvivenza
economica sul turismo della neve, attirando complessivamente
ogni anno un numero medio di sciatori pari a circa tre
milioni. (terzo paese d’Europa, dopo la Germania e la
Francia)
Com’è noto la crisi del settore è connessa all’assenza di
neve ed ai costi di innevamento. Il costo di un metro cubo
di neve artificiale, pari a 4 mq di pista, è mediamente di
1,29 euro, ma può raggiungere anche i 3 euro. La carenza di
neve dell’inverno 2001-2002, che pure poteva essere quello
del rilancio, ha posto fuori mercato numerosissimi piccoli
impianti e le piccole economie turistiche ad essi connesse.
Su questa questione l’articolo 31 del collegato
infrastrutture interviene, anticipando con 180 milioni nel
2002 il finanziamento ventennale previsto dall’articolo 8
della legge 140 del 1999. L’intervento invece proposto in
questa sede, sulla falsariga di una recente legge della
regione Piemonte, prevede la copertura dei costi di
innevamento nel limite di 50 milioni di euro, a valere sul
fondo di riserva per le spese impreviste del bilancio dello
Stato, “… fronte di eventi esogeni portatori di gravi
squilibri economici con ripercussioni nel settore turistico
montano…”. In definitiva la mancanza di neve è equiparata ad
uno stato di emergenza.
Con l’articolo 7 si interviene in materia di prodotti agroalimentari tipici, la cui natura di “prodotto della
montagna” è stata di recente sconfessata dall’Unione
europea, in relazione all’incertezza dei disciplinari di
produzione nella parte in cui non chiarivano la provenienza
montana delle materie prime.
L’articolo in oggetto innanzitutto prevede la possibilità di
fregiarsi di tale titolo per i prodotti già tutelati ai
sensi della normativa comunitaria. Per gli altri prodotti,
quelli per i quali la tutela comunitaria non è ancora stata
ottenuto e quelli che non possono ottenerla in relazione
alla mancanza di taluni requisiti previsti dalla UE, si
prevede un regime autorizzatorio, sulla base di una domanda
da proporre al Ministro per le politiche agricole, corredata
da un disciplinare che ne chiarisca l’origine montana.
L’autorizzazione costituisce titolo per utilizzare la
menzione di “prodotto della montagna” e per l’inserimento
nell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari
tradizionali.
Con il comma 3 si destina il 30% del Fondo prodotti tipici,
alimentato da una sovrattassa sui fitofarmaci ex articolo 59
della Finanziaria per il 2000, allo sviluppo dei contratti
di collaborazione tra le Pubbliche amministrazioni e gli
imprenditori agricoli, per la promozione delle vocazioni
produttive del territorio e la tutela delle produzioni di
qualità e delle tradizioni alimentari locali.
Infine si modifica l’articolo 10 della Legge Comunitaria
1999, che limitava la commerciabilità dei prodotti tipici
non tutelati comunitariamente alla sola provincia di
produzione. Dopo esser riusciti a consentire che la vendita
potesse avvenire anche per via telematica (Finanziaria
2001), si provvede a classificare gli esercizi di
somministrazione e di ristorazione quali consumatori finali.
I produttori locali potranno pertanto vendere il proprio
prodotto non solo telematicamente in tutto il mondo, ma
anche ai ristoranti, ai bar ed agli alberghi della propria
zona.
L’articolo 8 riscrive l’articolo 16 della legge n.97, nel
senso di ampliare le agevolazioni, oltre che al settore del
commercio, anche agli artigiani (circa un terzo delle
aziende italiane di artigianato artistico (140mila) si trova
in montagna) ed alle imprese. Si è voluto mantenere il
precedente limite di applicabilità (comuni montani con meno
di 1.000 abitanti e per i centri abitati con meno di 500
abitanti ricadenti in comuni montani ed individuati dalle
rispettive regioni), anche in velata polemica con un
provvedimento in corso di discussione che prevede numerose
agevolazioni per i comuni sotto i 5000 abitanti, in
considerazione dei costi assai elevati per l’erario che
operazioni del genere, anche limitate, possono produrre. Val
solo la pena ricordare che oltre il 60% dei comuni italiani
sono sotto i 5000 abitanti.
Il comma 1 prevede pertanto la determinazione forfettaria
del reddito delle imprese citate nel limite, quasi
raddoppiato rispetto al precedente, di 60mila euro. Il comma
2 prevede, per le medesime imprese, un credito di imposta
del 10% del valore degli investimenti di adeguamento e
ammodernamento degli impianti e delle attrezzature.
Il comma 3 estende alle zone montane, diverse da quelle del
Mezzogiorno, della legge sulla imprenditorialità giovanile.
Il comma 4 prevede accordi tra enti locali e le associazioni
degli esercenti degli impianti di distribuzione di
carburanti, per assicurare la presenza del servizio di
erogazione quale servizio fondamentale.
L’articolo 9 provvede a sostituire l’articolo 17 della legge
n.97, in materia di pluriattività dei coltivatori diretti,
singoli o associati. Si tenta di arginare l’abbandono
agricolo delle montagne e dei servizi di manutenzione
connessi a questa attività. Secondo i dati dell’Insor (Ist.
Naz. Sociologia rurale) negli ultimi 20 anni l’agricoltura
di montagna ha perso 760mila ettari (17% del totale), che
saliranno ad un milione (32% del totale) nel 2010, pari a
380mila aziende in meno. Sono in diminuzione anche i
pascoli, che oggi occupano un’area di 2,2 milioni di ettari
tra Alpi ed Appennini, ma che già hanno perso circa 600mila
ettari di superficie in 30 anni.
Così, oltre a mantenere le precedenti agevolazioni, salvo
aumentare le soglie degli appalti assumibili con la P.A. da
50 milioni di lire a 50mila euro, e, per i lavori ambientali
delle cooperative agricole da 300 milioni di lire a 250mila
euro, si prevede l’esclusione dal regime delle quote latte
per le aziende che esercitino l’allevamento in forme
tradizionali ed estensive e nel limite produttivo di 80.000
litri annui per azienda. L’intento è in definitiva quello di
accrescere il reddito dei soggetti operanti nell’agricoltura
montana e di mantenere la destinazione agricola delle aree
vocate alla coltivazione ed al pascolo.
Con l’articolo 10 si provvede a rinvigorire l’intervento nel
sistema formativo, già previsto dall’articolo 20 della legge
n.97. E’ pertanto aggiornata la norma che prevede accordi di
programma con il fine di realizzare un equilibrato sviluppo
territoriale dell'offerta di scuola materna e dell'obbligo
nei comuni montani. Il comma 2 prevede la predisposizione di
progetti pilota per realizzare forme diverse di frequenza
scolastica, concentrandola in periodi settimanali o mensili,
o prevedendo la possibilità di lezioni a distanza. A tal
fine va ricordato che nell’articolo 22 del collegato
infrastrutture si è previsto l’avvio di un progetto di
“scuola della neve”, che abbina lo studio all’attività
agonistica, con un finanziamento di 2 milioni di euro. Il
comma 3 ripete una norma già prevista in un disegno di legge
della scorsa legislatura, relativo alla cessione alle
istituzioni scolastiche di mezzi informatici dismessi da
parte delle pubbliche amministrazioni. Le cessioni sono
effettuate prioritariamente alle istituzioni scolastiche
insistenti nelle aree montane.
Di analogo tenore l’articolo 11 che prevede la costituzione
di istituti comprensivi di scuola materna, elementare e
secondaria di primo grado, la cui valenza, originariamente
relativa ai soli comuni montani, è estesa anche ai comuni
con meno di 5000 abitanti.
Con l’articolo 12 si tenta di affrontare il grave problema
connesso alla tutela sanitaria dei cittadini residenti in
montagna ed ai maggiori costi che la sanità montana
comporta. Con il comma 1 si avvia un progetto per lo
sviluppo della telemedicina, intesa anche come assistenza e
soccorso a distanza. Sull’argomento numerose regioni hanno
avviato progetti propri, pertanto l’intervento dello Stato
non può che limitarsi all’uniformazione delle diverse
esperienze ed allo scambio di dati tra loro intelleggibili.
Per lo sviluppo della telemedicina di montagna ci si avvale
della rete del Sistema informativo della montagna (SIM) e
viene vincolata una quota pari all’0,3 del Fondo sanitario
nazionale, pari a circa 40 milioni di euro. Con il comma 2
si integra il Piano sanitario 2002-2004 con le linee guida
per la sanità di montagna appartenenti allo schema di Piano
2001-2003, al fine di garantire ai cittadini di montagna
l’accesso ai servizi sanitari in condizioni di pari
opportunità. Si vincola poi alla sanità montana, una quota
da stabilire del Fondo perequativo nazionale per gli enti
locali. Infine si escludono gli ospedali delle zone montane
dallo standard di standard di dotazione media di 5 posti
letto per mille abitanti, previsto dal decreto legge n.347
del 2001.
Gli ultimi due commi sono relativi al personale medico,
prevedendo infatti la positiva valutazione del servizio
prestato dai medici nelle zone montane, ai fini della
progressione della carriera o per l’inquadramento nei ruoli
della dirigenza sanitaria, nonché la corresponsione di borse
di studio per gli specializzandi che si impegnino ad
esercitare la professione, per un periodo di almeno 5 anni,
in strutture o località decentrate di montagna.
L’articolo 13 potenzia i servizi telematici. Il SIM diviene
progetto prioritario nell’ambito dello sviluppo
dell’informatica delle Pubbliche amministrazioni, che sono
inoltre tenute ad istituire, in accordo con la Conferenza
Stato – Regioni, i collegamenti necessari ai servizi di
interesse per i comuni montani. E’ previsto che le
istituzioni locali fungano da sportelli di servizio e di
orientamento per i cittadini delle zone montane. Rammentiamo
che nel collegato pubblica amministrazione sono previsti
stanziamenti per complessivi 154 milioni di euro per
progetti informatici innovativi nella Pubblica
amministrazione. Con emendamento del Relatore è stato
previsto che il 10% delle risorse siano destinati a progetti
in favore delle zone montane. Infine si provvede a riformare
l’Istituto nazionale per la ricerca scientifica e
tecnologica sulla montagna (INRM), trasformandolo in
Istituto nazionale per le montagne (INM). L’attività
dell’Istituto dovrà esercitarsi attraverso la consulenza e
lo scambio di informazioni scientifiche, lo studio, la
ricerca scientifica e tecnologica ed il conseguente
trasferimento applicativo, su temi di interesse della
montagna.
Con l’articolo 14 si vuole dare risposta alle istanze del
Corpo degli Alpini, che viene definito di Corpo speciale
all’interno delle Forze Armate e confermato di stanza nelle
Alpi e, ove occorra, nelle zone montane dello Stato, salvo
l’esercizio di funzioni di protezione civile all'interno e
fuori dal territorio nazionale.
L’articolo 15 stanzia 2 milioni di euro annui per campagne
informative in favore della montagna italiana. Le campagne
sono predisposte in accordo con le regioni.
L’articolo 16 sopprime gli articoli della legge n.97 del
1994 modificati dalla presente legge.
L’articolo 17 vincola per 5 anni a favore dei comuni montani
e delle comunità montane quota pari al 30% del Fondo
nazionale per il sostegno alla progettazione delle opere
pubbliche degli enti locali, previsto dalla legge
Finanziaria per il 2002. Dispone infine la copertura
finanziaria degli articoli per i quali i finanziamenti non
siano già stabiliti in bilancio, quale il Fondo montagna di
cui all’articolo 2, o per i quali non si sia provveduto
mediante quote vincolate di stanziamenti di altre leggi.
C.I.M.
GdS 18 VII 02