Nella fine, l’inizio! Omelia Diocesana nella Santa Messa del Crisma

1 aprile 2021
Cari e amati fratelli e sorelle, che rappresentate l’intero Popolo
di Dio, care Religiose e Religiosi, Missionari e tutte voi, persone
consacrate negli Istituti Secolari e nell’Ordo Virginum, cari e amati
Diaconi e Presbiteri:
benvenuti nella casa comune, la nostra Chiesa madre, dove
per molti di noi sacerdoti tutto è incominciato. Qui, da novelli
presbiteri, ci è stato donato lo Spirito Santo, che ci ha resi
ministri del Signore a servizio del suo popolo, così che ciascuno,
giustamente, può affermare con gioia e gratitudine, come Gesù,
nella sinagoga di Nazareth: Lo Spirito del Signore è sopra di me,
per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a
portare ai poveri il lieto annuncio (Lc 4,18).
Convocati dallo Spirito
Ora siamo qui perché, come afferma sant’Ireneo, lo Spirito
Santo ci possa “ringiovanire”, per rinnovare, una volta ancora,
il desiderio di trafficare il dono ricevuto con la stessa intensità,
dedizione e freschezza della prima ora.
Pur nel rispetto delle vigenti norme, siamo accorsi per ritrovarci
insieme di nuovo, come veri fratelli nel Signore, nonostante le
MESSA_CRISMALE_2021.indd 3 30/03/2021 16:45:02distanze e le tante privazioni causate dalla pandemia. Siamo uniti
spiritualmente nella preghiera quotidiana e viviamo in costante
comunione di intenti, ma oggi ci è data l’occasione preziosa per
riconoscerci un corpo solo, in un momento così complesso come
quello che stiamo attraversando, di insicurezza, di solitudine e di
prova per tutti.
Vi ringrazio, quindi, della vostra presenza, soprattutto voi, che
celebrate un particolare anniversario di Ordinazione. La vostra
partecipazione, anche a nome di confratelli anziani o ammalati,
conforta e rassicura anche me, impossibilitato a raggiungervi
nelle vostre sedi, come sarebbe mio desiderio, per esercitare il
ministero di comunione e di consolazione che mi è stato affidato.
Uniti da un’unica missione
Proveniamo da tante situazioni difficili, avendo respirato in questo
anno fatiche personali e condiviso nelle Comunità tanti drammi
familiari, dovuti ai lutti di persone care, a difficoltà economiche,
a volte anche nella impossibilità di condividere con le persone la
loro solitudine e i drammi interiori.
Non è venuto meno, tuttavia, il mandato ricevuto dal Signore, che
avvertiamo come un appello sempre attuale ed esigente: portare
ai poveri il lieto annuncio, proclamare ai prigionieri la liberazione,
ai ciechi la vista. A rimettere in libertà gli oppressi e proclamare
l’anno di grazia del Signore (Lc 4,18-19).
Come non ricordare, dentro queste espressioni, gli assidui
contatti con i diversi membri della comunità, il nostro prenderci
cura delle sofferenze di tante persone, colpite negli affetti più cari
o dei fratelli più vulnerabili, anziani e persone sole, compresi i
bambini, i ragazzi e i giovani, impossibilitati a socializzare? La
pastorale della Chiesa, tuttavia, non si è fermata, ma si è espressa in
molteplici forme: uscita dalle chiese, ha preso contatto con le case,
lasciati i campanili, si è passati ai campanelli! La nostra creatività
pastorale non si è spenta, ma certamente deve proseguire con
rinnovato desiderio di incontrare tutte le categorie del popolo di
Dio per fare delle nostre Comunità dei luoghi di vita, dove tutti
possano sperimentare ciò che viene dallo Spirito.
Provati dalle medesime fragilità
Assieme alle fatiche dei nostri fratelli e sorelle, di fronte ai conflitti
famigliari, comprese varie forme di depressione e di violenza, non
possiamo tuttavia sottacere nemmeno le nostre fragilità personali
come presbiteri e consacrati. Ciascuno ha dovuto fare i conti con
se stesso, nel silenzio, nella solitudine, nella precarietà, mediante
una esperienza di fede, bisognosa di integrare fragilità e debolezza
nella propria umanità, scossi da un diffuso disorientamento e
sconcerto.
È emersa in alcuni una domanda radicale circa la propria identità
personale e ministeriale, come se al di là dei consueti ruoli,
ben identificati, dei vari momenti e luoghi di preghiera, non
esistessero altre forme espressive, che motivano e realizzano la
nostra missione, a servizio del popolo di Dio, costantemente
guidati e sorretti dallo Spirito.
Vorrei offrivi ora almeno due domande, per affrontare insieme le
risposte più adatte ai tempi che viviamo, aiutarci a comprendere
il significato della pandemia che stiamo vivendo, come i nostri
fratelli, perché la possiamo trasformare in una vera opportunità
(kairòs), dentro la quale Dio ci sta visitando.
Non è inutile condividere e approfondire questi interrogativi nei
prossimi incontri fraterni di vicariato.
Un primo interrogativo
Che cosa è emerso durante questa inattesa e devastante pandemia?
Una certezza si è consolidata in molti di noi. Ci siamo convinti
che, ben prima dell’arrivo del virus, era già in corso da tempo una
grave crisi: lo testimonia, per esempio, la frequenza domenicale
alla celebrazione eucaristica assottigliata, soprattutto dai
giovani; le ricadute sulla vita quotidiana di molti cristiani non
erano molto diverse dalla mentalità e dall’agire pagano dei non
credenti o dei non praticanti, in pieno contrasto con le profonde
convinzioni della nostra fede e della carità cristiana, come il
rifiuto dell’accoglienza di gente disperata, dei profughi in fuga da
guerre, fame e torture, l’aperto apporto all’industria delle armi,
l’intolleranza verso le altre fedi, ecc.
ìÈ nata spontanea la domanda: l’uomo moderno ha ancora bisogno
di Dio e della fede in Lui?
Nello stesso tempo, consapevoli di appartenere al Signore, pur
sentendoci “vasi di creta”, abbiamo sperimentato che Egli può
compiere meraviglie proprio attraverso la nostra fragilità e
inadeguatezza, senza lasciarci paralizzare dalla paura e dalla
vergogna. Gesù è venuto fino a noi proprio per prendere su di
sé la nostra debolezza e per trasformarla in forza. Per questo
rinunciamo, senza rimpianti, a ogni volontà di potenza, né
perdiamoci d’animo se non possiamo più gestire grandi iniziative
a cui eravamo abituati, accettando anche il lutto del limite e il
dato reale di essere diventati una minoranza, dentro la società
attuale.
Constatiamo, inoltre, che il Signore non ci ha liberato dai mali
presenti, tuttavia ci ha aiutato a maturare nelle sofferenze e nelle
difficoltà, così da poter essere vicini alle persone e condividere
dal di dentro le loro stesse esperienze di dolore, di fatica, di paura,
ma anche di gioia e di consolazione. Questo tempo ci ha offerto
l’opportunità di assumere su di noi i pesi e le stanchezze che i
nostri fratelli e sorelle ci hanno voluto confidare, con tanta fiducia
e spontaneità (e di questo siamo rimasti stupefatti e consolati!).
Abbiamo avuto, poi, la possibilità, in questi mesi, di scoprire
nella storia biblica una situazione molto simile alla nostra. Mi
riferisco al tempo in cui gli Ebrei, esuli a Babilonia, con il tempio
di Gerusalemme distrutto, i sacerdoti uccisi e i profeti in esilio,
si sono chiesti cosa fare, essendo venute meno le diverse liturgie,
comprese le feste popolari religiose. Questa disastrosa situazione
ha però consentito loro di trovare nuove modalità di coltivare
la fede, anzi di approfondirla e purificarla. Proprio nel periodo
esilico, l’esperienza di fede del popolo di Dio ha dato origine ai
principali libri della Bibbia. E inoltre è in questo tempo che la
famiglia ebrea è divenuta il luogo di tanti momenti celebrativi
come la Pasqua, dovendo giustificare ai propri figli il compiersi di
una liturgia domestica. Non è difficile intravvedere delle analogie
con la nostra attuale condizione e con le scelte che abbiamo saputo
introdurre o potremo sottolineare maggiormente nei prossimi
Dio continua a visitarci e a prova della sua fedeltà aggiunge
nuovi beati, suor Maria Laura e padre Giuseppe Ambrosoli, alla
lunga schiera di santi e beati, presenti nella nostra Chiesa locale.
Per riconoscere cosa stiamo comprendendo di nuovo in questo
tempo, mi sembra opportuno, tra l’altro, sottolineare come il
Covid-19 abbia fatto emergere l’impreparazione del popolo di
Dio (ma anche di noi stessi!) di fronte al diffuso pericolo di morte
e ci siamo accorti che non abbiamo in precedenza sottolineato
abbastanza i temi dell’escatologia, mentre i fedeli hanno bisogno
di essere maggiormente formati al tema della speranza cristiana.
Vogliamo qui ricordare, con affetto e gratitudine, i nostri
Confratelli, vittime della pandemia e le non poche Religiose che
in questi tempi ci hanno lasciato per il cielo, dal quale vegliano
su tutti noi.
La pandemia è un tempo apocalittico, che ha svelato il bisogno
estremo di dare senso alla vita, approfondendo il significato della
sofferenza, del dolore, del dono di sé, ma anche della risurrezione
dei nostri corpi, oltre quella di Gesù. Il tema della morte, poi,
ha indotto molte persone a rivalutare la vita quotidiana, a gestire
le giornate senza fretta, a dare valore all’incontro sereno con le
persone, a trattarle con vigile attenzione, benevolenza e tenerezza.
Il pensiero della morte ci obbliga inoltre a interrogarci su come
vogliamo vivere, ci fa distinguere meglio ciò che conta da ciò che
è superfluo e vano.
Un secondo interrogativo per “ripartire”
Come “ripartire” in un modo nuovo, come “reinventarsi”, iniziare
cioè un cammino che ci stimoli ad affrontare il cambiamento
necessario per la Chiesa del prossimo futuro?
Non possiamo certo imitare lo stato d’animo degli Israeliti, in un
altro momento particolare della loro storia, raccontato nel libro
dell’Esodo. Pur nel desiderio di raggiungere la Terra promessa,
essi sono stati più volte tentati di tornare indietro. Mentre
rimpiangevano le cipolle d’Egitto, dimenticavano che erano in
fuga da una situazione passata molto peggiore.
Anche noi potremmo subire la stessa tentazione, chiudendoci in
noi stessi, ponendoci in difensiva e cercando di ricomporre tutto
a prima della pandemia, come se nulla fosse successo!
Lasciamoci, piuttosto, stimolare dal detto, più volte ripetuto: nella
fine l’inizio, così da liberare la nostra creatività, nella disponibilità
a lavorare insieme, a immaginare e rischiare insieme, accettando
la Chiesa come spazio che discerne, luogo in cui vivere sereni
processi di discernimento comunitario. Perché non valorizzare
fin d’ora, superando ogni tiepidezza e rassegnazione, la speciale
occasione che ci è donata dal Sinodo diocesano per innestare
questa conversione sinodale, che lo Spirito Santo sembra oggi
suggerirci come stile e metodo permanente per la vita della
Chiesa?
L’emergenza pandemica, inoltre, ci ha aperto gli occhi per
convincerci che dovremo passare dall’attesa che le persone
vengano da noi, nei nostri ambienti parrocchiali, a uno stile nuovo
di incontro e di dialogo, ossia prendendo l’iniziativa missionaria
di cercarle dove esse vivono, studiano, lavorano, soffrono. Quindi
non solo nelle abitazioni, ma fino anche nell’ambiente digitale,
online, nella sfera della rete, dove molti oggi comunicano e in
ogni caso, esprimono parte della loro vita. Siamo chiamati ad
uscire nella realtà complessa per annunciare la fede cristiana
come esperienza e testimonianza di una buona notizia per la
vita di oggi, uscendo dal nostro gruppo ristretto, per dialogare
con persone che, pur lontani dalla Chiesa, magari con una fede
ancora in gestazione, sono alla ricerca di un senso per la vita. Per
questo è indispensabile la testimonianza di cristiani che, come
battezzati, esercitino il loro ruolo profetico, sacerdotale e regale,
sappiano interpellare, inquietare, suscitare domande, alimentare
speranze, con rispetto e senza giudizio alcuno.
Per venire incontro alle esigenze spirituali degli altri è
indispensabile che noi conosciamo per primi Gesù e lo cerchiamo
come il nostro unico Signore. La lettura annuale di un vangelo, a
partire da quello di Marco, potrebbe aiutare tutti battezzati (dai
ragazzi agli adulti), a conoscere ed amare Gesù, la sua vicenda
e il suo messaggio di salvezza, in vista di poter diventare tutti
discepoli-missionari.
Un’urgenza: la fraternità ritrovata
Il nostro impegno sarà inoltre quello di aiutare a rigenerare
la fraternità tra di noi e con tutte le vocazioni della Comunità
cristiana, come atteggiamento vitale, in vista di una nuova
ricostruzione della società.
Nella nostra cultura è andato perso il gusto della fraternità. A
noi cristiani compete il compito di annunciarla, testimoniandola
mediante l’accoglienza e l’accettazione dell’altro, anche se diverso
da noi.
In particolare, non dimentichiamo che a noi presbiteri la fraternità
è off erta dalla grazia sacramentale della sacra Ordinazione (cfr LG
28/356; PO 8/1267), ma essa ha bisogno di essere costantemente
e faticosamente sempre riconquistata, anche attraverso nuove
forme di vita fraterna ecclesialmente signifi cative, che traducono
la novità che questo tempo ci chiede, dal momento che tutto ciò
che non si rigenera, degenera, e questo vale anche per la fraternità
(Edgar Morin).
Mi ha favorevolmente impressionato un giovane sacerdote che
mi ha confi dato, qualche settimana fa, di aver sentito più forte
il desiderio di riscoprire la fraternità nel nostro Presbiterio. Una
sfida ineludibile, a cui siamo chiamati insieme, per essere fedeli a
Colui che ci ha scelto e inviato ad essere presbiteri nella Chiesa di
questo tempo e per tutta la Chiesa.
A noi il compito di testimoniare al nostro popolo che la fraternità
è davvero possibile, giacché noi ne siamo personalmente coinvolti
e la sperimentiamo al vivo nei suoi frutti.
Se la veglia pasquale è la madre di tutte le veglie, la Messa crismale
è “il grembo” da cui scaturisce l’olio che consacra i sacerdoti, i re, i
profeti e i martiri. Un olio che illumina, conforta, raff orza e rende
possibile la nostra fraternità in Cristo. Radicati in Lui, crocifi sso
e risorto, datore dello Spirito, potremo superare ogni diffi coltà e
annunciare la gioia di essere totalmente suoi!

monsignor Oscar Cantoni Vescovo

Fatti dello Spirito