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“I’m no more artificial than anyone else in Hollywood”. Questa
la frase che campeggia sul sito del film, ed in effetti l’idea è
curiosa ed originale: se le star sono tanto “finte”, perché non
crearne una finta sul serio, che paradossalmente sia molto meno
capricciosa di quelle vere? In realtà, sotto la superficie di
una narrazione volutamente leggera come in ogni commedia che si
rispetti, si nasconde una problematica psicologica tanto
profonda quanto antica: il rapporto dell’artista con il
successo, il bisogno atavico di conferme e la incosciente ed
insaziabile smania di essere accettato e riconosciuto, che pone
l’artista stesso in balìa di un pubblico mutevole nei gusti e
spietato nei verdetti.
Lo spunto interpretativo è quindi la parte più interessante di
quest’ultima opera del regista Andrew Niccol ( Gattaca-la porta
dell’universo), che del film firma anche la sceneggiatura, e si
gioca su corde molto poco spesse, con Al Pacino che gioca alla
macchietta di se stesso, esagerato, vanesio, pronto a tutto
inizialmente, ma tragicamente umano nel finale; irresistibile.
Per il resto, al di là della stella Al Pacino, siamo di fronte
ad un discreto prodotto commerciale, senza approfondimenti di
sorta, ma con un’intuizione assolutamente geniale, che
sviluppata meglio, avrebbe dato luogo ad un lavoro di
grandissimo spessore, ma che, se ci si accontenta un po’,
consente comunque di pensare alla tanto brillante carriera
artistica da una diversa prospettiva, e da questa in effetti,
brilla decisamente meno.
Mirko Spelta
Per comunicazioni all'autore della recensione:
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GdS 18 II 2003
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