SPETTACOLI: Don't Cry for Him Argentina



Una grande attrice per un grande spettacolo sui diritti umani
quello al “Don Bosco” di Sondrio per la Stagione Teatrale
2002-2003. Un teatro che fa riflettere e colpisce come un maglio
alla bocca dello stomaco, che incide l’anima con rasoiate
affilate con la sua aperta denuncia che non ammette repliche,
che sveglia le menti dal torpore di una vita appannata dal
consumismo vischioso fatto di perbenismo e spesso di vuoto
morale dei paesi più industrializzati o delle democrazie meno
precarie.

In proscenio Ottavia Piccolo, che ha saputo far vivere in scena
la tormentata storia di Elsa, italo-argentina che tenta fino
all’impossibile di mantenere in vita il ricordo del suo
Francesco, un “desaparecido”, il suo uomo sparito nel nulla dopo
i tragici eventi dell’ aprile del ’77 in Argentina. Lui, povero
operaio della FIAT, appassionato, anzi ammalato di calcio,
innamorato di eroi senza tempo come Kempes, rimasti a lungo
nell’immaginario collettivo che trova a fatica nuovi Maradona da
condurre agli altari, una sera non è più tornato a casa.
Semplicemente. Inutile qualsiasi ostinata ricerca. Nè
dall’Italia i toni si fanno più concilianti, né credibili. E’ un
continuo tormento interiore che lascia spazio solo ad
un’angoscia claustrofobia che conduce lentamente alla follia.
Eppure i torbidi inganni di un regime spietato vengono al
pettine, ma non conoscono condanna: l’impunità è dietro
l’angolo. Assoluta. Comunque. E allora ad Elsa non resta che
accettare un vergognoso risarcimento: un pugno di pesos per
sgravarsi la coscienza e soprattutto impegnarsi a non condurre
ulteriori indagini, a far riposare i morti tra i morti, insomma,
senza sapere come ciò sia potuto accadere proprio a lei,
mettendo la parola fine a una ricerca tuttavia sterile.
Appassionato il finale, in un climax emozionale da vertigine,
quello della Piccolo, fino al suo reciso rifiuto di essere
pagata in cambio di un sogno che non ucciderà mai la cosa che
più le è cara: il ricordo. Ed allora eccola, tremante, ma
decisa, a sussurrare: “Se lo vedete, ditegli che lo amo!”.

La sua coraggiosa dichiarazione d’amore postuma le è valso
l’appellativo di “pasionaria revolucionaria” ogni qualvolta si
ritrova con le altre donne in Plaza de Mayo a sputare in faccia
al mondo tutta la propria insopprimibile amarezza per delle
assurde morti rimaste impunite. E ancora eccola a parlare con
muti fantocci senz’anima, a dar voce a nudi leggii di
un’orchestra senza voce, né fiato, né anima, per una sinfonia
incompiuta che urla tutta la sua cupa disperazione, mentre un
nunzio apostolico le elemosina la sua inutile e servile pietà
con un rosario che, invece di diventare mezzo di redenzione e di
espiazione, si rivela la scarnificante mistificazione di una
divinità che nulla ha fatto affinché bare di terra anonime si
moltiplicassero come lunghi pani neri che hanno conosciuto tutto
il crogiuolo di una tortura efferata che non ammette perdono.

Una grande lezione di vita.

Ma non basta guardare, sapere e rimanere indifferenti.
Nello Colombo


GdS 18 I 2003 - www.gazzettadisondrio.it

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