Il metodo per diventare bravi politici, bravi amministratori, bravi managers, bravi imprenditori, bravi...
La classe dirigente abbisogna di
formazione e non c'é dubbio che questa sia una strada che viene
percorsa in vari modi, sempre più sofisticati. Non é così solo
per i politici per i quali, travolti i Partiti e finiti in un
angolo, non c'é più quella scuola che pure l'attività politica
di un tempo consentiva di fare ai più.
Nessuno - meglio: solo qualcuno - ha pensato che una componente
essenziale della formazione dovrebbe essere l'apprendimento del
gioco degli scacchi. Addirittura uno studio attento di come il
candidato-manager, per fare un esempio, conduce una partita di
scacchi, indipendentemente se la vince o la perde perché questo
dipende anche da chi é l'avversario, potrebbe fornire utili
elementi di valutazione.
Il gioco degli scacchi é infatti ben altro, ben più che un
gioco. Chi lo guarda dall'esterno ammira "la pazienza" degli
scacchisti, inchiodati per ore davanti alla scacchiera. Niente
di più sbagliato.
In un torneo ogni giocatore ha a disposizione due ore per le
prime quaranta mosse, poi l'incontro viene sospeso e la mossa
"messa in busta" e consegnata all'arbitro. Poco meno di quattro
ore quindi per 40 mosse, quattro ore intensissime per chi gioca
visto che non smette un secondo di pensare a concentrazione
massima per studiate tante ipotesi, prevedendo il più possibile
di alternative future di gioco.
Se si gioca a scacchi. Come dicono gli appassionati sono in
tanti invece "a muovere i legni" (i pezzi di gioco sono di
legno), intendendo con questa espressione la differenza tra chi
fa funzionare il cervello proiettandolo avanti fin che riesce
(gli scacchisti), e chi invece guarda la scacchiera e fa la
mossa che gli pare più conveniente senza valutare tutte le
possibili implicazioni future (i legnaiuoli).
Una partita a scacchi ha tre fasi: quella iniziale che richiede
conoscenza della tecnica. Lo scacchista di Sondrio, se ha
studiato, può uscire da questa fase alla pari con il Grande
Maestro Internazionale. Quindi la parte importante, quella
centrale in cui intuito, fantasia, talento devono spiegarsi al
meglio con una strategia possibilmente vincente, nel peggiore
dei casi tendente difensivamente a conquistare almeno la patta
(il pareggio). Infine il finale, generalmente abbastanza tecnico
tanto che nei tornei chi arriva a questo punto in condizioni di
inferiorità, o per pezzi o per posizione, non va avanti e
abbandona.
E' la rappresentazione a tavolino della situazione che in
partenza si ritrova qualsiasi rappresentante della classe
dirigente, non importa con quale funzione o quale incarico. Per
la verità, in piccolo, la stessa situazione che si ritrova
qualsiasi di noi per la sua vita, per la sua famiglia, per la
sua attività.
Abbiamo visto che quella che conta di più é la fase centrale,
quella in cui si cerca di avere il sopravvento. Capita persino
che un giocatore sacrifichi un pezzo, restando quindi in
condizioni di apparente inferiorità. Se però la perdita di quel
pezzo consente di metterne fuori gioco altri avversari, pure
presenti sulla scacchiera ma impossibilitati a sviluppare un
potenziale offensivo, oppure di innescare una travolgente
offensiva che porti all'inevitabile scacco matto al Re
avversario, e quindi alla vittoria, ecco che il sacrificio
risulta ben giustificato.
Gli scacchi in definitiva sono il trionfo della strategia.
La classe dirigente, non importa di qual settore, che si ferma
alla tattica del quotidiano - che pure ovviamente non va
trascurato -, che non va per pigrizia o per comodità o
addirittura per una carenza di adeguata formazione in proposito,
tale da determinare un vero e proprio habitus mentale, al di là
del proprio naso, potrebbe anche avere riscontri positivi nel
breve periodo ma alla lunga é perdente, inevitabilmente
perdente.
Per questo il gioco degli scacchi, magari ribattezzato "il gioco
della vita", dovrebbe entrare come materia obbligatoria per chi
si candida ad entare nella classe dirigente. Di più: dovrebbe
entrare come materia obbligatoria persino nelle scuole. Qualche
esperienza condotta in proposito, persino nelle Elementari, ha
confermato la bontà della scelta.
Dovrebbe. Stiamo tranquilli: proprio guardando le cose al di là
del naso, con visione appunto strategica, c'é una ragionevole
certezza che questo non succederà. Troppo forte quello che
costituisce, lapidariamente, la seconda legge della futurica di
Isac Asimov: la resistenza al cambiamento.
frial
GdS 28 VIII 2002 - www.gazzettadisondrio.it