Lettere da Teheran (Letters from Tentland)
Per una strana combinazione del destino, al Teatro alle Tese di
Venezia, nell’ambito del notevole 3° Festival internazionale di
Danza contemporanea diretto con artistica innovazione da Ivo
Ismael, durante le elezioni del nuovo presidente iraniano,
integralista tout court, il 23- 24 giugno è andato in scena
Letters from Tetland, un balletto, si fa per dire, sulle
restrittive condizioni della donna in quella lontana regione del
mondo che è l’Iran, pur così presente in Occidente per la sua
stragrande ricchezza petrolifera.
Lo spettacolo delle sei giovani iraniane che hanno commosso non
poco il pubblico, sono il simbolo del coraggio e della donna
nuova che sta sbocciando prepotentemente laggiù, seppure divieti
e costrizioni di ogni genere non manchino, perché il progresso,
il futuro non si potrà mai assoggettare né alle teocrazie(Iran)
né alle dittature(Corea…).
L’arte, in questo caso la danza, diventa una bandiera dei
diritti umani violati, specie quelli femminili, che non si può
far finta di non vedere.
Cos’è Letters from Tentland?
Il balletto è ideazione e coreografia di Helena Waldmann con
l’apporto drammaturgico di Susanne Vincenz, in collaborazione
con Goethe Institut Mailand( www.lettersfromtentland.com qui si
potranno leggere e vedere le bellissime foto delle protagoniste,
la storia, la scelta di portare in giro per il mondo lo
spettacolo…).
Da Tentland, una tendopoli(sette tende coloratissime, come lo
spirito di chi le abita) in un luogo non identificato, arrivano
vari messaggi di donne.
A volte un impercettibile movimento trasmette la vita che si
agita all'interno, altre volte le tende sono scosse da movimenti
violenti. E allora danzano e volteggiano nello spazio come per
fuggire. Oppure si avviluppano ad arte come le buste delle
lettere che contengono. Un frammento di vita avvolto in messaggi
scambiati tra due culture sotto un unico firmamento .
Scrive Helena Waldmann nella sua prima lettera inviata da
Teheran:
"Insieme a dodici coraggiose donne iraniane, attualmente mi
trovo a provare nello studio del centro di Arte Drammatica a
Teheran, al settimo piano, quasi tra cielo e terra. Stiamo
guardando attraverso una finestra gigante, sopra una metropoli
di quindici milioni di persone. Gli uomini se ne stanno di
fronte, osservano, non entrano. Dietro la porta chiusa e la
finestra che, come una grande membrana, lascia filtrare le
'cattive vibrazioni' della città, le performer parlano un
linguaggio semplice. Creano le loro 'lettere da Tentland'
scrivendo, danzando, suonando, cantando, parlando, rivolgendosi
a Dio, ai maestri, alla gente, che osserva. Articolano le loro
paure. Danzano la loro rabbia estrema in un mondo che l'Europa
con i suoi cliché, e attraverso i suoi media, ha distorto più di
quanto la realtà stessa della vita di questa particolare società
religiosa possa aver fatto.
Venticinque anni dopo la rivoluzione islamica le 'lettere da
Tentland' mostrano la vita dietro le pareti, le tende e i veli,
in un'area non pubblica. Chi non è emigrato dopo la rivoluzione
si è nascosto, è entrato nella clandestinità e ha cercato il
proprio posto singolarmente. Molto di questo materiale rischioso
è nascosto dietro questi travestimenti aspettando solo la
prossima esplosione. Qualcosa che è sempre conturbante.
Per il momento è tutto da Teheran.
Vostra Helena Waldmann
(dalla prima lettera da Teheran di Helena Waldmann).
Si sostiene da più parti, che Il futuro dell'Iran è nelle mani,
nella testa, nella forza e anche nei corpi delle donne. Di
quelle donne che non hanno avuto candidate alle ultime elezioni
presidenziali, ma che pure rappresentano la spinta di un Paese
che non sa dove sta andando, sospeso tra una politica fondata
sul potere religioso e una società da cui giungono segnali di
cambiamento. Donne il cui canto e le cui fattezze possono pure
venire censurati, ma che scoprono proprio grazie al corpo, la
forza e il coraggio di comunicare. Così una tendopoli in un
luogo non identificato serve per raccontare la speranza e
l'incertezza che si respirano a Teheran, ma anche in una
qualsiasi città dell'Iran o in ciascuna delle metropoli del
mondo dove c'è chi desidera cambiare e raccontarsi. Le
protagoniste sono sei artiste iraniane del "Teheran Dramatic
Arts Center". Sono loro a muovere i corpi e le anime dietro
quelle tende nere, cercando spazi di libertà e agitandosi come
dentro una seconda pelle o, come dentro un velo (e non è un caso
che in lingua farsi la parola "tentland" si traduca con
"tschadoristan" e che con chador si indichi tanto la tenda,
quanto il velo).La danza, dunque, diventa specchio di una
società allo stesso tempo lontana e vicina a quella occidentale,
di un Paese sospeso(ma non tanto, visto che il 25 giugno 2005 è
stato votato anche dalle donne il pasdran Mahmoud Ahmadinejad.
A Sara Reyhani, una delle ballerine, 25 anni, che ha molte
speranze sul futuro dell'Iran è stato chiesto qual è il
messaggio di questo spettacolo che dopo Venezia andrà ad
Amsterdam, Zürigo, San Paolo, Korea, Berlino, Düsseldorf,
Frankfurt/Main…
E lei, con la semplicità e l’illusione della giovinezza ha
risposto che lo spettacolo è fatto da attrici e danzatrici che
vivono in una tenda, che rappresenta una casa mutabile, non
stabile, che poggia su punti incerti. Si trovano in una terra di
nessuno, in un luogo in cui non c'è sicurezza. Ma non si respira
una condizione di emergenza, piuttosto di speranza.
Mentre questo è il sentimento che domina nello spettacolo, si
potrà dire lo stesso per la società iraniana?
Lì, dice sempre la bella e giovane Sara, i due sentimenti,
speranza ed incertezza, vivono insieme perché l'80\% della
popolazione iraniana ha meno di 25 anni. Così i giovani iraniani
vivono una situazione strana, di instabilità. Non sanno se
rimanere o andare all'estero,
Di fatto, la situazione nel Paese è complessa. Tutto muta di
giorno in giorno, nell’ambiente c'è una forte spinta, però il
cambiamento avverrà molto lentamente.
In Iran una cosa è quanto avviene nella società, un'altra è la
politica. Dall'Europa viene considerato solo l'aspetto politico
e non si capisce che la società è diversa. Quando in occidente
si dice che lì la situazione è tremenda, si esagera. Non è così.
C'è un "dentro" e un "fuori", si sta cercando di contrastare
questi pregiudizi.
"Dentro" e "Fuori" non sono concetti vetero- femministi?
In Iran però sono ancora di “moda”. Infatti le donne escono di
casa al mattino, salgono sull'auto (che è una casa mobile),
entrano in un altro edificio per lavorare. Sempre e comunque al
chiuso. Ovviamente è un cliché, ma serve per far capire come
vengono considerate le donne, in una società tuttora maschile.
Il miglioramento della condizione femminile rappresenta una
delle conquiste per un Iran ancora così in bilico tra riforme e
conservazione: la donna iraniana non è più serva del marito.
Oggi uomo e donna crescono insieme i figli. Esse stanno lottando
per i loro diritti e le ragazze oggi sono molto più forti dei
maschi. Sono presenti in numero maggiore nelle università e nei
posti di lavoro, non hanno più bisogno di protezione.(si fa per
dire. In una lettera a La Stampa, 28 giugno 2005, una signora
che è vissuta nei paesi musulmani, afferma che in questi gli
“aggressori maschili” addirittura assalgono le donne con la
forza tra le mura domestiche).
Però il loro spettacolo ha dovuto subire la censura: invece di
Lettere da Teheran, un titolo più anonimo. Inoltre, si è dovuto
tagliare un canto di donne, perché il canto di una donna da sola
è vietato, così come la danza, che è ritenuta troppo... sexy.
Il ballo, così come i capelli sciolti, possono attirare l'uomo e
distrarlo.
E questo, secondo la sharìa, è considerato un male.
Anche Eva non avrebbe dovuto tentare Adamo con la mela, secondo
il comando di Dio, eppure….
Maria & Enrico Marotta
GdS 30 VI 2005 - www.gazzettadisondrio.it