Rachele Brenna, partigiana. Non c'è più. - Il manifesto ANPI
Rachele Brenna ha avuto una lunga vita, pienamente vissuta in tutte le sue fasi, ma il periodo che maggiormente l'ha segnata è stato quello, seppur breve, della vita partigiana.
Era nata a Dubino, il 2 dicembre 1923, da genitori speciali: il padre Giovanbattista era un grande invalido della I Guerra Mondiale, al momento del matrimonio aveva già perso la vista e l'uso di una mano, la mamma Ida era una donna di rara bellezza e bontà. La piccola Rachele, dunque, come primogenita, aveva dovuto imparare molto presto a fare da guida al padre, accompagnandolo nei vari spostamenti, e da lui aveva pian piano maturato l'avversione nei confronti della guerra e della violenza in generale. Il padre di Rachele da subito aveva capito il vero volto del nascente fascismo, che mascherava di pietas verso i Caduti e verso gli Invalidi quello che invece era esaltazione della guerra e del nazionalismo più viscerale, per questo non volle mai indossare la camicia nera. Da qui il rifiuto istintivo di Rachele verso il fascismo. Dopo il trasferimento a Sondrio, in seguito all'incendio dell'abitazione in Val Chiavenna, la casa dei Brenna divenne un centro molto frequentato da giovani Alpini, che andavano ad omaggiare il vecchio invalido, divenuto un punto di riferimento, una guida morale. Fu così che Rachele, assieme alla sorella minore Anna, dopo l'8 settembre 1943, entrò da subito in contatto con i “padri fondatori” della Resistenza locale, che poterono contare sulla sua collaborazione attiva ed efficiente, dapprima per la produzione di documenti falsi all'ufficio dell'anagrafe, dove lavorava, in seguito come staffetta. Le sue perfette imitazioni della firma del capoufficio permisero a diversi perseguitati politici di mettersi in salvo oltre frontiera, raccontava con fierezza Rachele. Quando nell'estate del 1944 la Resistenza incominciò ad avere una struttura organizzativa e militare, la ragazza, che portava ancora lunghe trecce nere, svolse il compito di staffetta, portando messaggi ma anche armi, con la generosa incoscienza dei suoi vent'anni. Il suo nome di battaglia era “Itala”. Qualcuno fece la spia e Rachele fu arrestata, tradotta in carcere, e con lei la sorella Anna, forse come strumento di ricatto. Dopo qualche giorno, a fine ottobre 1944, Rachele fu consegnata al Tribunale Speciale, condotta a Villa Bonfadini, dove fu pesantemente interrogata e malmenata per alcuni giorni, dopodiché fu riportata in carcere in via Caimi, dove rimase fino al 30 gennaio del 1945. In quella data, sempre con la sorellina, fu trasferita a S. Vittore a Milano, a disposizione delle autorità germaniche. Grazie all'intervento del padre, trasferitosi a Milano alla Casa dei Ciechi, il processo fu dilazionato e Rachele non fu deportata. Possiamo solo immaginare cosa sia stato il carcere, dove di giorno c'era l'assistenza delle suore, ma di notte c'erano solo uomini di guardia. Per tutta la sua vita, dopo la Liberazione, Rachele non ha più potuto dormire al buio, tanta era la paura che l'attanagliava. Per questo diventò una lettrice instancabile. Finita la guerra, a poco a poco ricominciò la vita normale e anche Rachele intraprese la vera professione della sua vita, quella dell'insegnante appassionata del suo lavoro e del sapere, soprattutto storico-scientifico. Fu una tenace sostenitrice dell'apprendimento attraverso l'esperienza, infatti amava fare lezione all'aperto, in mezzo alla natura. Fu anche un'instancabile organizzatrice di viaggi sui luoghi della memoria storica, convinta dell'efficacia didattica di tali pratiche. Ormai giovane donna, si sposò ed ebbe quattro amatissimi figli, di cui fu madre e maestra dolcemente severa. Pur con i tanti impegni di lavoro e famigliari, Rachele non dimenticò mai di testimoniare l'esperienza partigiana e i valori che da essa erano scaturiti, declinati nella Costituzione Repubblicana, andando nelle scuole, partecipando vivacemente alle attività dell'Anpi e soprattutto presenziando alla cerimonia del 25 Aprile, durante la quale leggeva magnificamente la “Preghiera del Ribelle” di Teresio Olivelli. Rachele era orgogliosa di essere stata partigiana, e tutta la sua vita, personale e sociale, è stata coerente con i valori della Resistenza, per questo si è sempre schierata generosamente dalla parte degli ultimi, dei perseguitati, degli offesi. Soffriamo una grande perdita, ma siamo fieri di averla conosciuta e custodiremo gelosamente nei nostri i valori che ci ha trasmesso.
Fausta Messa, direttrice dell' ISSREC - Istituto Sondriese per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea.
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Il manifesto ANPI
ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D’ITALIA
COMITATO PROVINCIALE DI SONDRIO
La partigiana Rachele Brenna (Itala) se ne è andata.
L’ANPI lo comunica partecipando al dolore inconsolabile di tutta la sua famiglia e della sorella Anna che ne condivise la sorte di Resistente.
Ci ha lasciato una strenua combattente per la nostra libertà, determinata e coerente fino all’ultimo. Insegnante amorevole e generosa, esempio di coerenza e di attaccamento ai valori della famiglia, della democrazia e della libertà.
Perdiamo una sempre attiva testimone di quel che fu la dittatura fascista e degli immensi sacrifici materiali ed umani che questa ha comportato per tutti gli italiani.
Grazie partigiana Rachele,
la Valtellina, la Valchiavenna, l’Italia democratica intera ti devono eterna riconoscenza.