Le chiavi di casa, o dell’indipendenza
Le chiavi di casa (Premio Pasinetti , premio “Sergio Trasatti”
della Rivista del Cinematografo, premio Cineavvenire) dedicato a
Giuseppe Pontiggia, dal cui romanzo autobiografico Nato due
volte, è tratta l’idea del film, prodotto dalla Rai che ha fatto
di tutto per “raccogliere” il Leone d’oro a Venezia 61, è la
storia di un padre bello, timido, complessato, come lo sono
quasi tutti i padri contemporanei, Kim Rossi Stuart, e un
figlio, Andrea Rossi, che prima scorbutico ed antipatico,
diventerà “amabile” nel corso del film. Amelio lo fa uscire
infatti dalla categoria «disabili» e gli dà voce romanesca , una
mitragliata di battute e piglio comico. Un Jerry Lewis «laziale»
alla rovescia. Andrea Rossi è un sedicenne dotato, un campione
di nuoto, categoria disabili, un attore principiante che tiene
la scena, e fa di Kim Rossi Stuart la sua spalla. Il suo
personaggio è tormentoso per chi lo guarda, fa nascere quei
famosi sensi di colpa a chi sta bene( e questo è il ricatto del
regista: non si può costringere gli spettatori in un modo così
crudele a doversi confrontare con lui, piccolo, antipatico
handicappato).
Il film Le chiavi di casa
E’ il racconto di un viaggio da Monaco a Berlino di Gianni che
dopo 15 anni per la prima volta incontra il figlio Paolo
abbandonato dalla nascita che ha causato la morte della madre
diciannovenne. Il bambino straziato dal forcipe è cresciuto
nella famiglia materna. È storpio, un braccio contratto,
incapace di vestirsi da solo, cammina a stento ma è pieno di
desideri, mentre il padre - che ha appena avuto un altro figlio
- è emotivamente instabile. Il ribaltamento dei ruoli - il
ragazzino guida, consola, osa - tra normale e anormale è il
fulcro del film. Ma la relazione a due esclude il mondo, lo
taglia fuori e produce una mancanza forte. Quando è proprio
l'interferenza sociale a dare senso al primo rifiuto paterno. La
crudeltà dell'abbandono e il nuovo rapporto d'amore sono dentro
una società che mette al bando i non- produttivi, i non
omologati o semplicemente quelli un po' «handicappati» che sono
cancellati. La malattia non è quella di Paolo, ma di tutti
quelli che sono all’inseguimento della felicità?. Il film indica
la disgrazia nei corpi contorti, che si vedono nell'ospedale di
Berlino, dove vi è la «madre dolente» (Charlotte Rampling)
custode del sacrificio, ispirata enigma del dolore continuo,
predice catastrofi al giovane padre e lo avverte che, come lei,
un giorno vorrà il figlio morto.
Intorno alla coppia protagonista, il mondo sfuma, e risulta
incomprensibile come il medico o la fisioterapista. Che si
raccontano? Come sta Paolo? Il padre non capisce il tedesco. E
quando il viaggio prosegue verso la Norvegia, dove abita
Christine, un'amica di penna di Paolo, che finalmente incontrerà
l'amata «bellissima», vista solo in fotografia, il film si
chiude, di nuovo, come la scuola il giorno di domenica. Così
l'emozione nel duetto padre- figlio si esaurisce, si congela, si
inaridisce in battute e lacrime.
Da ricordare:
L'ottavo giorno di Jaco van Dormael con il ragazzino down
sprigionante il fantastico, inventore di universi paralleli,
rivoluzionario dell'esistente, dove la «malattia» era tutta
negli altri, ciechi e paralizzati, meritò la Palma d’oro a
Cannes. In Le Chiavi di casa, non c'è questo «scandalo». E’
“troppo” normale. Troppo dejà vu. Anche se l’handicap ci passa
accanto giorno dopo giorno, la nostra tenerezza umana deve
essere mirata.
Il regista
Gianni Amelio, regista calabrese di 59 anni, con il suo film Le
chiavi di casa alla 61.ma Mostra di Venezia, ha suscitato
ammirazione e critiche a non finire che, ancora, non tendono a
placarsi(Ahi, la potentissima RAI!!!).
E’ autore nel 1979 di Il piccolo Archimede( un bambino di sette
anni, orfano di madre con una straordinaria vocazione alla
matematica); nel 1982 di Colpire al cuore(un quindicenne
denuncia il padre, professore universitario di “benevolenza”
verso i terroristi); nel 1992 di Il ladro di bambini( storia di
un carabiniere che accompagna due bambini verso un
orfanotrofio); nel 1994, Lamerica (la corsa collettiva degli
albanesi verso l’Italia vista alla TV e quindi, illusoria e
deformata); nel 1998 di Così ridevano( tormentato rapporto tra
due siciliani emigrati a Torino in cerca di lavoro).
Gianni Amelio ha studiato filosofia e, nei suoi films, si è
sempre occupato di grossi problemi sociali( rapporto tra
generazioni, l’emigrazione anche quella del primo Novecento
degli italiani verso l’America).
Ha scritto anche Il vizio del cinema (Ed. Einaudi) in cui si
mostra competente di quest’arte, verso cui nutre una profonda
passione.
Antonio De Falco
GdS 30 IX 2004 - www.gazzettadisondrio.it