The Terminal? E’ una storia europea!
Gli aeroporti sono in ogni paese e il famoso regista S.
Spielberg, noto per E.T. che era una favola, ha raccolto lo
spunto del suo ultimo film, The Terminal, una storia ambientata
nell'aeroporto J.F.K di New York, in Francia, pagando 250 mila
dollari come “diritti d’autore” a un iraniano, un certo Merhan
Karimi Nasseri che da 16 anni vive nell’aeroporto CDG, accanto
alla farmacia del terminal numero 1, un migrante senza documenti
che spera, prima o poi, che la burocrazia riesca a districare il
suo intricato caso (Cfr. Specchio, 18 settembre 2004). La realtà
proprio non è bella come nei film americano di Spielberg che non
solo riprende E.T., ma pure Forrest Gump. E si raccoglie omaggi
di ogni genere (per la sua “condiscendenza” ad aprire la 61.ma
Mostra di Venezia, sulla spiaggia dell’Excelsior è stata
costruita una pedana con una potente struttura in plastica di
copertura, costata milioni di euro e subito distrutta il giorno
dopo- per accogliere circa mille invitati al pranzo in suo
onore, dopo la proiezione di The Terminal in Sala Grande,
accolto con molti applausi. (Spielberg è Spielberg) in Italia
che in America non gli tributano più.
Tuttavia, è talmente angosciante la situazione dei migranti che
non può essere affidata ancora a questo o quel governo, a questo
o quel accordo (tanto se ne infischiano. Basta vedere come è
andato a finire quello concluso con la Libia), ma all’ONU che
obblighi i loro Paesi d’origine (tutte le ricchezze del petrolio
vanno a finire solo nelle tasche dei vari discendenti di
Maometto, sia che stanno in Arabia, in Iran, in Siria, nello Yemen, in Giordania che in Marocco???) e neanche alla soluzione
amarognola del film del regista americano che pure ci aiuta a
mettere meglio il dito nella piaga.
Il film The Terminal
Viktor Navorski, un turista il cui paese nell'Europa dell'Est
scompare dalla mappa proprio mentre l'inconsapevole viaggiatore
è in volo per New York, si ritrova apolide nell'aeroporto JFK.
Non gli resta che sistemarsi per sopravvivere e scoprire
l'America. C'è stato un colpo di stato nel suo Paese, quindi non
può tornare a casa né introdursi in America. Il profugo
interpretato da un bravissimo Tom Hanks, accento bulgaro, impara
l'inglese, fa amicizia con i lavoratori del terminal, viene
perseguitato dal burocrate Dixon per il quale rappresenta una
grande seccatura e un pericolo per l’apparato difensivo
americano. Divertenti ed esilaranti le scene tra Dixon e Viktor
Navorski: c’è tutta l’America post 11 settembre 2001: rispecchia
le paranoie e le mille misure di sicurezza messe a punto dopo
quella data.
Scheda tecnica del film -
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Anno: 2004
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Nazione: Stati Uniti
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Distribuzione: UIP
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Durata: 128'
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Data uscita in Italia: 03 settembre 2004
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Genere: drammatico, grottesco
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Regia: Steven Spielberg
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Sceneggiatura: Sacha Gervasi Jeff Nathanson
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Fotografia: Janusz Kaminski
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Musiche: Benny Golson John Williams
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Montaggio: Michael Kahn
Domande & Risposte
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Steven, che cos’è per lei un aeroporto?
L'aeroporto è un microcosmo che rappresenta le nostre società.
Essi sono dei melting polt culturali e religiosi. Persone di
cultura, lingua e religione diversa, si incontrano negli
aeroporti internazionali, magari bloccati per uno sciopero o un
ritardo, come è accaduto almeno una volta a ciascuno di noi.
Questo film vorrebbe avere un grande cuore, come il Viktor
Narvoski il personaggio che interpreta Tom Hanks e che riabilita
quel luogo, quasi facendolo apparire “umano”, cioè come qualcosa
dove si possa anche incontrare l’amore.
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Perché Viktor Navorski lo fa provenire da un Paese comunista?
Il personaggio che arriva da un Paese che si suppone
appartenesse al blocco comunista - si ritrova, suo malgrado,
ingabbiato nell'aeroporto e cerca di capire cosa deve fare.
Soprattutto quando capisce cosa sta accadendo nel suo Paese
dalle immagini in tv. Nello schermo vede la rivolta, persone che
vengono uccise e sa che alcuni di loro potrebbero essere i suoi
vicini di casa. Noi tutti abbiamo vissuto la tragedia della ex
Unione Sovietica e sappiamo quanta sofferenza è costata ai suoi
abitanti. Ho voluto, in un certo senso, rendere omaggio ai tanti Viktor che patiscono sulla propria pelle i cambi di regime, di
governo, di potere.
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Con questo suo lavoro, ha voluto evidenziare il rigido sistema
americano che brutalizza quanti arrivano lì?
In un certo senso, è una denuncia verso un sistema che
appiattisce la mente, omologa qualunque cosa e pone una norma
sempre sopra l'individuo. Poi ho voluto puntare il dito contro
il consumismo. Ferocissimo, specie negli aeroporti.
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Il film può essere letto come una critica alla politica di
immigrazione degli Stati Uniti ?
Beh, non è proprio così. In fondo Viktor , va negli Usa per un
motivo romantico quasi fantastico (deve ritrovare l’autografo di
un noto suonatore di Jazz per una promessa fatta a suo padre) e
poi decide di tornare spontaneamente nel suo Paese. Diciamo che
durante quell'esperienza ha modo di vedere molto dell'America. E
di criticarla.
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Secondo Lei il cinema è ancora una via di fuga per il pubblico
da una realtà sempre più negativa ?
Credo di sì. Soprattutto nei momenti più drammatici per
l'umanità, Hollywood è lì: o per riprodurre la realtà e quindi
aiutarci a comprenderla o per fornirci una via di fuga da essa.
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Dopo "Salvate il soldato Ryan" girerà "Salvate il soldato Bush"
?
Non credo sia possibile, visto che G.W. Bush non ha mai fatto il
soldato.
Maria & Elisa Marotta - A. De Falco
GdS 30 IX 2004 - www.gazzettadisondrio.it