“Private” o assolutamente pubblico?

di

Il cultural hinterland

A Locarno, il famoso festival svizzero dove tutto si svolge in “piazza”, il Pardo d’oro per il miglior film, tra battimani e commozioni, lacrime e proclami politici, (agosto 2004), è stato assegnato al film 'Private' ( sia che sia preso come “privato” che nel suo altro significato di: “soldato”), per aver colpito la giuria di Locarno, per il suo messaggio sobrio ma efficacissimo che narra dell'emozione che suscita un conflitto visto con gli occhi di chi non vuol cedere alla violenza. 

Anche il premio come miglior attore attribuito al protagonista, a Mohammed Bakri, un attore palestinese già noto per il suo forte impegno artistico in favore della sua terra, visto che in Occidente, i palestinesi non godono di eccessive attenzioni politiche e sociali, sebbene molti, anzi moltissimi giovani e non si fregiano della Kefiah(il famoso copricapo di Arafat), in segno del loro favore verso questo popolo oppresso( al di là degli interrogativi che pongono i loro attentati kamikaze contro tanti inermi israeliani, che vivono in questa terra), ha sicuramente un significato “politico”, specie di questi tempi in cui tra kamikaze e integralisti di ogni genere, non si sa più da che parte girarsi, né a chi credere.



Il parere di un illustre esperto contemporaneo



Non è che si possa tracciare la storia della questione palestinese in poche righe( sono anni che se ne discute senza mai trovare lo sbocco percorribile e praticabile da ambedue i popoli: israeliani- palestinesi), però oggi a voce sempre più alta ci si sta chiedendo dove si trovano le radici di errore - oppressione di un Islam radicale che in questa terra così cara anche agli occidentali, produce tanti terribili eccidi per mezzo dei kamikaze. 

È probabile che il terrorismo palestinese finisca con la creazione di una Palestina indipendente? 


Il parere di un illustre esperto contemporaneo.


Il terrorismo è il risultato dell'ingiustizia. Se si maltrattano gli animali, essi reagiscono veementemente. I Palestinesi sono maltrattati peggio degli animali da Israele. L'unico modo di finire la violenza è abolire le leggi di segregazione razziale e creare un stato democratico in Palestina/Israele con diritti uguali per tutti, incluso il diritto dei rifugiati palestinesi, per ritornare, ed il diritto dei coloni per stare dove si sono insediati.(Sami Aldeeb, Presidente, www.one-democratic-state.org ).


Infatti, capire ciò che accade in Palestina non è facile, anche perché i grandi mezzi di comunicazione, in particolare la televisione, non ci aiutano. Ignorano o rimuovono deliberatamente le complesse radici del conflitto in atto, affidandosi esclusivamente alle cronache degli inviati speciali o alle incerte competenze di 'esperti' politici o militari, che danno spesso l'impressione di non aver mai messo piede in Palestina. Per di più, il riferimento emotivo al tema dell'antisemitismo e dell'Olocausto e una latente ostilità nei confronti del mondo islamico impediscono a molti europei una valutazione razionale delle responsabilità politiche degli attori coinvolti: gli Stati Uniti, Israele, i paesi arabi, le organizzazioni palestinesi. 


La storia è intricata e difficile da capire, specie per coloro che godono delle “vacche grasse”
(Cfr.: La storia di Giuseppe in Egitto nella Bibbia), cioè di tutti noi occidentali.

E’ necessario aver presente che i palestinesi parlavano l'arabo ed erano in gran parte musulmani sunniti
(aderenti alla Sh’aria, la legge base degli islamici), con la presenza di minoranze cristiane, druse e sciite, che usavano anch'esse la lingua araba, da molto tempo prima dell’arrivo degli ebrei. Grazie al loro elevato grado di istruzione, la borghesia palestinese costituiva una
èlite della regione mediorientale: intellettuali, imprenditori e banchieri palestinesi occupavamo posti chiave nel mondo politico arabo, nella burocrazia e nelle industrie petrolifere del Golfo Persico. Questa era la condizione sociale e demografica della Palestina nei primi decenni del Novecento e tale sarebbe rimasta fino a qualche settimana prima della proclamazione dello Stato d'Israele nella primavera del 1948: in quel momento in Palestina era presente una popolazione indigena di circa un milione e mezzo di persone (mentre gli ebrei, nonostante l'imponente flusso migratorio del dopoguerra, superavano di poco il mezzo milione).

L'intera vicenda dell'invasione sionista della Palestina e della auto- proclamazione dello Stato di Israele ruota attorno ad una operazione ideologica che poi si personificherà in una sistematica strategia politica: la negazione dell'esistenza del popolo palestinese. Nelle dichiarazioni dei maggiori leader sionisti - da Theodor Herzl a Moses Hess, a Menachem Begin, a Chaim Weizman - la popolazione nativa, quando non è totalmente ignorata, viene squalificata come arretrata, indolente, corruttibile, dissoluta. A questo diffusissimo standard coloniale è strettamente associata l'idea che il compito degli ebrei è quello di occupare un territorio arretrato e semi- deserto per ricostruirlo dalle fondamenta e rinnovarlo. E, secondo un’interpretazione radicale della 'missione civilizzatrice' dell'Europa e del suo 'colonialismo ricostruttivo', la nuova organizzazione politica ed economica israeliana avrebbe dovuto escludere ogni cooperazione, se non di carattere subordinato e servile, della popolazione locale (mentre lo Stato israeliano sarebbe rimasto aperto all'ingresso di tutti gli ebrei del mondo e soltanto degli ebrei).

Non a caso, la prima grande battaglia che i palestinesi sono stati costretti a combattere per risalire la china dopo la costituzione dello Stato d'Israele è stata quella di opporsi alla loro cancellazione storica. Il loro obiettivo primario è stato di affermare - non solo contro Israele, ma anche contro paesi arabi come l'Egitto, la Giordania, la Siria - la loro identità collettiva e il loro diritto all'autodeterminazione. Soltanto molto tardi, non prima del 1974, le Nazioni Unite hanno accettato formalmente l'esistenza di un soggetto internazionale chiamato Palestina, riconoscendo in Yasser Arafat il suo valido rappresentante.

La negazione dell'esistenza di un popolo nella terra dove si intendeva installare lo Stato ebraico è il distintivo coloniale e, in definitiva, razzistico che caratterizza sin dalle sue origini il movimento sionista, strettamente legato alle potenze coloniali europee e da esse sostenuto in varie forme. Dopo aver a lungo progettato di costituire in Argentina, in Sudafrica o a Cipro la sede dello Stato ebraico, la scelta del movimento sionista è caduto sulla Palestina non solo e non tanto per ragioni religiose, quanto perchè assieme a Israel Zangwill, si pensa che la Palestina è "una terra senza popolo per un popolo senza terra". Ciò diviene un progetto politico da sostenere a qualunque costo.

Infatti , in nome di questa logica coloniale inizia l'esodo forzato di grandi masse di palestinesi - non meno di settecentomila ( ma le cifre sono, ovviamente, approssimative)- grazie soprattutto al terrorismo praticato da organizzazioni sioniste come la Banda Stern, guidata da Yitzhak Shamir, e come l'Irgun Zwai Leumi, comandata da Menahem Beghin, celebre per essersi resa responsabile della strage degli abitanti - oltre 250 - del villaggio di Deir Yassin.

Poi, a conclusione della prima guerra arabo- israeliana, l'area occupata dagli israeliani si espande ulteriormente, passando dal 56 per cento dei territori della Palestina mandataria, assegnati dalla raccomandazione della Assemblea Generale delle Nazioni Unite, al 78 per cento, includendo fra l'altro l'intera Galilea e buona parte di Gerusalemme. Infine, all’esito della guerra dei sei giorni, nel 1967, Israele si impadronisce anche del restante 22 per cento, si annette illegalmente Gerusalemme- est e impone un duro regime di occupazione militare agli oltre due milioni di abitanti della striscia di Gaza e della Cisgiordania. Il tutto accompagnato dalla sistematica espropriazione delle terre, dalla demolizione di migliaia di case palestinesi, dalla cancellazione di interi villaggi, dall'intrusione di imponenti strutture urbane nell'area di Gerusalemme araba, oltre che in quella di Nazareth (nel sito di www.one-democratic-state.org si possono consultare più documenti, in proposito)

Come è noto, a partire dal 1968, per iniziativa dei governi sia laburisti che di destra, Israele ha confiscato circa il 52% del territorio della Cisgiordania e vi ha insediato oltre 200 colonie, mentre nella popolatissima e poverissima striscia di Gaza ha espropriato il 32 per cento del territorio, istallandovi circa 30 colonie. Complessivamente non meno di 200 mila coloni attualmente risiedono nei territori occupati, in residenze militarmente blindate, collegate fra loro e con il territorio dello Stato israeliano attraverso una rete di strade (le by-pass routes) interdette ai palestinesi e che frammentano e lacerano ulteriormente ciò che rimane della loro patria(e il film di Costanzo, riprende proprio una di queste situazioni aberranti).

E’ da ripetere che il 'peccato originale' dello Stato di Israele è il suo carattere strutturalmente sionista: il suo rifiuto non solo di convivere pacificamente con il popolo palestinese ma persino di gestire la propria egemonia in modi non repressivi, coloniali e sostanzialmente razzisti. Ciò che l'ideologia sionista è riuscita ad ottenere - innegabilmente favorita dalla persecuzione antisemitica e dalla tragedia dell'Olocausto - è stata la progressiva conquista della Palestina dall'interno. E ciò ha dato e continua a dare al mondo - non solo a quello occidentale - l'impressione che l'elemento indigeno sia costituito dagli ebrei e che stranieri siano i palestinesi. In questa anomalia sta il nucleo della tragedia che si è abbattuta sul popolo palestinese, la ragione principale delle sue molte sconfitte: il sionismo è stato molto più di una normale forma di conquista e di dominio coloniale dall'esterno. Esso ha goduto di un consenso e di un sostegno generale da parte dei governi e della opinione pubblica europea come non è accaduto per alcun'altra impresa coloniale(forse, proprio per quel senso di colpa per la Shoah di cui tutti gli occidentali, specie i cristiani si sentono colpevoli).

Ma qui vi è anche il grave errore commesso dalla classe politica israeliana e dalla potente élite ebraica statunitense che ne ha sempre condiviso le scelte politico- militari. Un popolo palestinese esisteva in Palestina prima della costituzione dello Stato di Israele, continua ad esistere malgrado lo Stato di Israele ed è fermamente intenzionato a sopravvivere allo Stato di Israele, sebbene sconfitte, umiliazioni e la sanguinosa distruzione dei suoi beni e dei suoi valori, siano all’ordine del giorno.

Per tale ragione, affinché la giustizia in cui credono, quantunque gli eventi, le tragedie e le continue guerre fiacchino anche gli spiriti più tolleranti, ultimamente in Svizzera, si è costituito l'Associazione per un solo Stato democratico in Palestina/Israele, che raccoglie molti intellettuali di parecchi paesi che si prefiggono di promuovere una cultura egualitaria tra palestinesi ed israeliani, che permetta loro di vivere nella stessa terra. Pur tra le loro reali diversità.

Il film di Saverio Costanzo Private, così contemporaneo, così pelle con pelle nostra sofferente per le troppe ferite inferte e non sempre ricevute come implacabile legge del contrappasso, è sicuramente il “propellente” più utile per rimettere in “Prima Pagina” la terribile questione palestinese che se mai si risolverà, permetterà alla pace e alla convivenza pacifica tra i due popoli di cominciare a “guardarsi in faccia” senza troppi pregiudizi per attuare la bellissima profezia di Isaia che dice, tra l’altro, “A Gerusalemme verranno tutti i popoli, in pace…”



Il film Private, Pardo d’0ro 2004



Private racconta una vicenda molto particolare, ispirata a una storia vera. La vita della famiglia di un professore palestinese di letteratura inglese viene sconvolta dall'irruzione di soldati israeliani che decidono di occupare la casa per farne una postazione di controllo. Il padrone di casa si rifiuta di andarsene e comincia così una difficile convivenza, con i palestinesi segregati al piano terra e i militari al secondo piano, simbolo di quella complicatissima spartizione dei Territori che è motivo di guerra quotidiana che tanto ci tormenta per il richiamo affettivo- religioso che i cristiani hanno con questa terra.



DICHIARAZIONI DI Saverio Costanzo,

regista di Private



«Il film nasce da un incontro con un palestinese, di cui non è stato svelato il nome per ragioni di sicurezza, che ha una realtà simile a quella narrata nel film. È un uomo che riesce ad avere un pensiero di base molto sincero, che in nome del principio dell'essere rispetto al non essere decide di restare in casa, costringe la famiglia a vedere nell'altro non un nemico. Forse c'è bisogno che venga raccontata questa realtà, Mentre i militari sembrano soltanto obbedire a logiche calate dall’alto, ma non vissute nelle proprie vene, Mohammad
(il professore) si sbraccia per serrare le fila della famiglia su una posizione che attraverso un dignitoso silenzio attesti la propria resistenza pacifica. 

Nasce da qui, da questa coercizione a un dialogo senza dialogo, un rapporto di convivenza in cui la violenza non deborda in azioni corporali o sanguinarie, ma permette alla tensione di non esplodere, ma di allentarsi attraverso piccoli gesti “quotidiani”, come la curiosità della figlia maggiore di Mohammad che infrange più volte il tabù della scale tra un piano e l’altro per andare a rinchiudersi dentro un armadio e spiare i soldati israeliani. Uno sguardo clandestino che attraverso la feritoia di uno spiraglio umanizza le uniformi del nemico, sentendole parlare di calcio, musica e relazioni sentimentali. O ancora l’irruzione di un desiderio adolescenziale di vendetta da parte del fratello che scantona dall’esempio pacifico del padre per proiettarsi con l’immaginazione in un televisore nei panni di un combattente- kamikaze armato fino ai denti.

Mi auguro che il mio film riesca ad accendere l’attenzione sul conflitto mediorientale che, non sempre, gode dell’attenzione universale. 



Curiosità



«Private» di Saverio Costanzo(29 anni), figlio di Maurizio, presentatore di Canale 5 e il “deus ex machina” di questa rete e di
quant'altro si possa immaginare, cui la giuria del 57º Festival internazionale del film Locarno ha assegnato il Pardo d'oro all'unanimità, è stato girato a Matera e dintorni(si sa, la security in primis). La musica è quella elettronica dell'ensemble romano Alter ego, più una canzone del musicista inglese Roger Waters, 'Perfect sense', scritta appositamente che racconta la ciclicità e la circolarità della violenza.

Inoltre, Maurizio Costanzo, si è detto: “ commosso ed emozionato. Ha riferito di avergli inviato subito un sms con scritto: finalmente da oggi sarò il padre di Saverio Costanzo e non sei più tu a essere il figlio di Maurizio Costanzo”

Con Saverio Maurizio non aveva avuto molti buoni rapporti, dopo la separazione da sua madre (Flaminia Morandi), però ha mantenuto il legame con lui e oggi si dichiara un padre felice. 

Il protagonista principale è Mohammed Bakri attore e regista palestinese il cui documentario Jenin Jenin in Israele non può essere proiettato. Nei panni dei soldati vi sono attori israeliani che hanno vissuto nella realtà la condizione di soldati occupanti. In particolare, vi è Lior Miller, icona della televisione israeliana, interprete di tante fiction, beniamino di quella parte di israeliani indifferenti al conflitto. E poi Tomer Russo attore di film di Amos Gitai.

"Io non parlo di politica, parlo al cuore della gente - ha detto l'attore palestinese Mohammed Bakri, che interpreta il capofamiglia -. Sono stufo di essere profugo e rifugiato, di essere uno straniero in casa mia. Siamo sfiniti da questa situazione: né Sharon, né Arafat vogliono farci arrivare a una soluzione. Noi dobbiamo resistere senza violenza e forse ci sarà speranza". 

E speriamo che sia così.

Maria
De Falco Marotta & Elisa





GdS 20 VIII 2004 - www.gazzettadisondrio.it

Maria De Falco Marotta & Elisa
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