SGOMENTO E IMPOTENZA

di Valerio Delle Grave

Gli Stati Uniti sono oggi indiscutibilmente la
Nazione più
potente del mondo, dal punto di vista militare ed economico. A
partire dagli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001,
questo dato di fatto è stato trasformato in una dottrina. Gli
Stati Uniti devono esercitare la loro “supremazia”, la loro
potenza superiore, per il proprio bene e per quello del mondo
intero.

La nuova dottrina dell’amministrazione Bush è stata formulata
chiaramente nel settembre 2002 nel documento “Strategia della
sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America”. La teoria
della “supremazia”, quindi, con velocità impressionante è
balzata dal livello marginale, elaborata all’interno di un
centro studi, a quello di dottrina ufficiale.

La formulazione dei principi e dei presupposti su cui si basa la
dottrina della supremazia possono essere così riassunti:

- la storia del secondo dopoguerra può essere descritta come “il
trionfo della libertà sul totalitarismo”, ottenuto sotto la
guida degli Stati Uniti. Ora un diverso schieramento di nemici
ha dichiarato guerra agli Stati Uniti e alle forze della
libertà;

- a seconda delle posizioni che le nazioni assumeranno in questo
conflitto, gli Stati Uniti giudicheranno chi sono i loro
“nemici” e i loro “amici”;

- insieme alla supremazia militare ed economica, gli Stati Uniti
detengono una autorità morale, che hanno il dovere di esercitare
per la propria sicurezza e in ultima analisi per il bene del
mondo;

- gli Stati Uniti non possono permettere ad alcuna nazione di
sfidare la propria supremazia;

- non sarà concesso a nessuna istituzione o accordo
internazionale di mettere limiti alla supremazia statunitense.
Quando possibile, gli Stati Uniti collaboreranno con istituzioni
quali le Nazioni Unite. Altrimenti agiranno con “coalizioni di
stati di buona volontà” (vedasi la guerra in Irak);

- la guerra che abbiamo iniziato durerà probabilmente decenni e
richiederà la modernizzazione e lo sviluppo della forza militare
americana.

- Con il fermo proposito di usare la forza per la nostra difesa
e per quella altrui, gli Stati Uniti manifestano la
determinazione di mantenere un equilibrio di poteri che promuova
la libertà.

Sebbene molti americani fossero preoccupati per le possibili
conseguenze di tale dottrina, pochi ne hanno messo in
discussione i presupposti soggiacenti, probabilmente perché
ancora sotto choc dai fatti dell’11 settembre 2001. Ora, dopo
oltre 950 soldati morti e ingenti risorse spese, con il senno di
poi, gli americani (o una consistente parte di loro) si
apprestano ad affrontare la questione attraverso le elezioni
presidenziali di novembre che, si dice, dovrebbe causare la
sconfitta di Bush.

Tutti, anche gran parte dell’establishment di Bush, hanno capito
che la guerra contro l’Irak è stato un errore strategico e
politico, e ora sono alla affannosa ricerca di come uscirne
senza perdere del tutto la faccia, soprattutto senza lasciare
quel Paese nel caos più assoluto, con grave nocumento alla
stabilità politica di quella parte del pianeta. L’ONU, che prima
è stato bistrattato e reso impotente, appunto dalla dottrina
Bush della “supremazia”, ora pare essere invocato a piena voce
anche dai suoi detrattori.

Il governo italiano, che ha commesso il grave errore di inviare
un contingente di tremila uomini in Irak a sostegno
dell’occupazione Anglo-Americana senza l’avvallo delle Nazioni
Unite, non ha mai chiarito a che titolo l’Italia faccia parte
della coalizione di guerra. E mentre l’attenzione nazionale e
internazionale nei mesi scorsi si è rivolta al contingente
militare italiano in Irak (il terzo per numero di effettivi) in
occasione dell’attentato di Nassiryia che ha causato la morte di
19 italiani e 9 irakeni (la più grave perdita tra le forze
armate italiane negli ultimi 40 anni), ora altrettanta
attenzione e apprensione è ancora rivolta all’Italia a causa dei
quattro connazionali ostaggi (di cui uno morto ammazzato nei
giorni scorsi) dei terroristi.

La legge (n. 219 del 2003) che autorizza l’operazione italiana
in Irak parla principalmente “di missione umanitaria e di
ricostruzione”. Ma il carattere ambiguo della missione italiana
resta evidente: sui 220 milioni di euro che il governo intende
destinare alla missione per il periodo di proroga fino al 30
giugno, solo 11,6 milioni sono destinati a interventi umanitari
(si capisce così come sia falso il dilemma se trattare o meno
con i rapitori per la liberazione degli ostaggi, con tutto il
rispetto per loro e per le loro famiglie).

Come si può notare il “pasticcio” in cui l’Italia si è cacciata
è lungi dall’essere risolto e, intanto e come sempre, a farne le
spese sono le persone con meno colpe e responsabilità.

Come si può notare, sia l’intervento dell’Amministrazione Bush,
sia quello del Governo Britannico che quello del Governo
Italiano, sono coperti da ambiguità, e forse anche da bugie,
eclatanti; tanto che in tutto il mondo sta salendo la protesta e
l’opposizione, sia alla guerra in sé, sia alla dottrina Bush e
ai suoi sostenitori alleati.

Opponendosi apertamente alla dottrina della supremazia (e della
guerra preventiva), il Papa ha svolto un’azione di persuasione
durante tutta la fase che ha preceduto il conflitto; e anche in
seguito non ha mai cessato di sollecitare la Amministrazione
Bush a preservare il ruolo dell’ONU come sede decisionale.
Tragicamente, Bush, Blair e il nostro Berlusconi hanno fatto
orecchio da mercante e oggi i risultati sono a dir poco
disastrosi.

La cooperazione internazionale condotta nel quadro delle Nazioni
Unite si ripropone ancora come l’unico percorso valido per
allentare le tensioni presenti e favorire un ritorno alla
stabilità del Paese. C’è solo da augurarsi che le potenze in
campo sappiano restituire all’ONU l’autorevolezza necessaria per
affrontare il conflitto in corso.

“”C’è un legame inscindibile tra l’impegno per la pace e il
rispetto della verità””. Alla luce di queste parole, pronunciate
da Giovanni Paolo II nel messaggio pronunciato recentemente, si
comprende come nel clima di disinformazione e propaganda
bellica, attraverso notizie manipolate dai servizi segreti e da
giornalisti arruolati al seguito delle truppe, lo stravolgimento
della realtà sia stato un elemento fondante di una guerra
condotta, secondo i suoi promotori, in nome della libertà e
della democrazia.
Valerio Delle Grave



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Valerio Delle Grave
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