BIN LADEN: OBIETTIVO RIAD, E POI...

Ore 18.27 del 7.10: non attacco ma mini-attacco anglo-americano - Le ragioni - Il proclama di Bin Laden, ovvero ecco il vero obiettivo, Riad. E poi il resto. Analisi controcorrente dei fatti, e

MINI-ATTACCO

Tutti, nessuno escluso, hanno
parlato di "attacco anglo-americano" ai talebani con
una buona dosi di enfasi, senza entrare nelle valutazioni degli
stessi dati che stavano emergendo.

Si é parlato di una cinquantina di missili, in genere
Cruise, quelli che volano a quota bassissima, anche 100 metri,
con velocità subsonica, e riescono, eludendo i radar, a finire
dove previsto con millimetrica precisione. Oltre a questi si é
parlato di 40 bombardieri. 

Il tutto per una trentina di
obiettivi su un Paese di 652.225 Kmq, più del doppio
dell'Italia.  La prima notte della Guerra del Golfo
volarono più di mille aerei e un numero imprecisato, ma grande,
di missili...

Le, tutto sommato, modeste dimensioni di questo attacco, quindi
"mini-attacco", legittimano l'interpretazione di
obiettivi politici prima ancora che militari.

Sotto il profilo bellico infatti il numero risulta palesemente
insufficiente anche solo ai fini di neutralizzare la contraerea
- la cosa più importante per assicurarsi il dominio assoluto
dei cieli, a tutela non tanto degli aerei, che volano al di
sopra del limite di azione della contraerea stessa, quanto degli
elicotteri indispensabili per le azioni dei commandos -, per non parlare poi di centri strategici, depositi
di munizioni, sedi di rifornimenti, centri di comando e via
dicendo.

Nessuno si é soffermato su quest'aspetto che però risulta
essenziale per tutte le altre valutazioni che seguono.


GLI OBIETTIVI
DEL MINI-ATTACCO



Dal punto di vista militare vi è stato sicuramente un interesse, ma ci vuol altro ai fini strategici per cui è lecito pensare al rilievo politico come dominante della notte afgana scorsa con questi obiettivi:
1) Agire, prima che il fisiologico calo dell'effetto emotivo per l'orrore dell'11
settembre producesse un calo di tensione soprattutto nei Paesi di frontiera (psicologica e politica, non geografica). Questo anche sul piano interno come dimostrano i sondaggi che hanno indicato la tendenza ad una diminuzione di reattività della stessa opinione pubblica americana
2) Dimostrare che alle affermazioni, tante nei giorni scorsi, seguono i fatti, e questo su molti versanti, talebani compresi;
3) Saggiare gli effetti, valutare cioè le reazioni. Non quelle militari, insignificanti, bensì quelle psicologiche e politiche. Quelle dell'integralismo islamico e quelle dei
e nei diversi Paesi, misurando in concreto la fondatezza delle dichiarazioni verbali;
4) Saggiare gli effetti su Bill Laden e i suoi.

Va detto che si dava per scontato che alla prima esplosione seguissero reazioni di tutte le frange dell'integralismo islamico nonché di gruppi minoritari in Occidente. (Per la verità si rileva che pochi di essi si erano mobilitati dopo le migliaia e migliaia di morti nell'orrore dell'11 settembre e pressoché nessuno di essi ha mai mosso un dito per la condizione della donna in Afghanistan, peggio che schiava…). 

Scontata la reazione, vitale diventava la scelta di azioni il più possibile soft,
ammesso di usare tale terminologia in vicende belliche. Altri obiettivi, militarmente più significativi e più utili sia alle truppe USA che a quelle degli antitalebani, avrebbero comportato un rischio maggiore di coinvolgimento di civili, così come una offensiva più massiccia e intensa.

I successivi passi dipenderanno dallo sviluppo delle reazioni, fra cui da tenere nel debito conto la manifestata diffidenza del Pakistan nei confronti dell'ipotizzato Governo di unità nazionale che dovrebbe sostituire, andando bene le cose, quello dei talebani.


BIN LADEN,
NOTEVOLE SCACCHISTA


Bin Laden non è il Che Guevara di buona memoria, non è Hamas, non è intellettualmente parente dell'EOKA, dell'IRA, degli autonomisti baschi o corsi o delle nostrane Brigate Rosse.

Bin Laden è un notevole giocatore di scacchi.

Una parentesi. La stragrande maggioranza di coloro che praticano gli scacchi, secondo una definizione classica, "muove i legni", e cioè Re, Donna, Alfieri ecc. Solo i migliori "giocano a scacchi", vale a dire che, nelle due ore a disposizione di ciascuno per le prime 40 mosse, i pochi secondi dedicati a spostare "i legni" seguono lunghi ragionamenti, tutti basati sulla prevedibilità delle mosse avversarie e quindi di un'ampia pluralità di varianti delle proprie. 

Approfondite analisi prima della scelta delle mosse da fare.

Si chiama gioco, ma in realtà lo scenario è quello della vita, tanto più complesso quanto più ampio è lo scacchiere.


IL SUO UNO
SCACCHIERE MONDIALE


Quello di Bin Laden è quello mondiale. 

Prima però ne ha davanti uno apparentemente più limitato, passo però indispensabile per arrivare allo scacco matto e comunque, nella subordinata,
più realistica, per arrivare alla patta.
L'Islam non è il fine ma lo strumento. 

Utilizzare l'integralismo per raggiungere un obiettivo che ha ben altra natura:
il potere. 

Economico - lui, cresciuto e formatosi come capitalista - e politico - lui. cresciuto nei quartieri alti del potere in Arabia Saudita -.
Il nemico naturale, in fase di attuazione del disegno, gli Stati Uniti.

Non per le ragioni che adduce, ma per quelle che gli interessano. 

L'Arabia Saudita è stata sempre un baluardo per gli USA e gli USA sono stati un baluardo per i reggitori di quel Paese, in particolare per il loro Re 
Fahd, oggi in cattive condizioni di salute. Per la successione
forte la rivalità fra i principi Abdullah, regnante, e Sultan,
protetto dal re e amico degli USA. Se per la successione la
spuntasse il primo, non così filo-americano, si tratterebbe per
Bin Laden potenzialmente di un "concorrente". Proprio
così, perché egli punta a Riad.


GLI

OCCORRE
UNA

SVOLTA


Gli occorre una svolta. 

Chi la può determinare? La guerra santa, in nome di quella Mecca che è proprio in Arabia, contro gli Stati Uniti e contro l'Occidente, agitati come i nemici naturali, come gli "infedeli", parole d'ordine volte a calamitare l'impegno militante degli integralisti con il consenso degli altri. 

E chi può essere "l'uomo della provvidenza", in questa ipotesi, se non chi ha avviato la guerra e chi ha dimostrato di non temere il gigante americano con i suoi partners? 
Lui, Bin Laden.

Gli scacchi non sono un gioco, ma una palestra dell'intelligenza, quella volta al bene come quella criminale.

Ma come può pensare di dare scacco matto agli USA, all'Occidente, a tutto il resto del mondo non islamico?

Nella partita a scacchi in certi momenti ci si accorge che la partita la si vince solo con un errore dell'avversario. Se non ci sono errori la partita è patta (e i migliori giocatori, avvedutisene per tempo, non la continuano neppure, accordandosi appunto sulla patta).
Bin Laden sa che può arrivare lì. Sa
che, se non ci sono errori degli altri che gli aprano ulteriori
vie, Riad gli
può bastare.

Non teme la reazione, non teme che gli americani vadano fino in fondo, costi quel che costi, per chiudere con chi gli ha massacrato migliaia di persone nelle Torri e al Pentagono. 

Se arriva a Riad vuol dire che anche gli Stati vicini, sono con lui o, al peggio, non gli sono ostili. A quel punto ha in mano le chiavi del petrolio, con quel che segue, denaro a fiumi, kamikaze per ogni dove.
A quel punto gli può bastare anche la patta,
dato che sarebbe una patta equivalente ad una vittoria.

Si deve partire da qui per ogni altra analisi. 

Lo faremo nei prossimi giorni.
E nei prossimi giorni e mesi si vedrà se, con queste note,
avevamo ragione.
Alberto Frizziero


GdS 8.10.0
                         



                               

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