Qualità della vita: classifiche e dintorni
Ogni anno, puntuale sotto Natale, escono le classifiche sulla qualità della vita nelle provincie del bel Paese redatte dai due più importanti quotidiani economici nazionali. Risultati in parte diversi e contradditori, non sempre spiegati, né spegabili, con la nostra Provincia che raggiunge il gradino più basso del podio per il Sole 24 Ore, mentre è 16° per Italia Oggi.
Ancor più evidente, per rimanere nei dintorni, il risultato di Lecco, 5° per il giornale giallo, e solo 46° per la concorrenza. Insomma i dati vanno letti con la dovuta cautela, anche perché si è ovviamente inclini a riconoscerne la scientificità quando la pagella è buona, mentre vengono deligittimati a carta straccia davanti ad una bocciatura.
Al netto di questo, un dato emerge chiaramente: la qualità della vita è migliore nelle aree alpine. Trasversalmente da Aosta fino a Belluno adagiati sulle Alpi si vive bene. Questo successo, per la verità non nuovo, è figlio di una cultura e di un mondo che viene da lontano che, come le buone piante, hanno radici profonde. La montagna ha temprato, forgiato, modellato quello che siamo. La montagna ti insegna i limiti, ti fa comprendere la fatica, ti fa accettare il freddo, ti fa capire che non tutto è dovuto, ma tutto si conquista con il sacrificio. Ti rammenta, quotidianamente, che la bellezza che ti circonda non è casuale, ma è figlia del sudore dell’uomo che ha addomesticato la natura. Ti ricorda che l’inverno può essere lungo e che è durante la bella stagione che bisogna mettere fieno in cascina. E questo non è retorica o nostalgia, nè gelosa difesa di culture e territori, bensì un responso ormai consolidato che tuttavia la politica stenta a capire, avvitata com’è su se stessa, sui teatrini e sulle fake news. A parole, nei programmi elettorali, a qualsiasi livello, alla montagna è sempre riservato un capitolo, ma più per obbedire ad una sequenza obbligata di impegni che non per una convinzione.
Anche le proposte in circolazione sulla definizione delle aree, sulla nuova geografia istituzionale, sembra arrendersi a logiche che nulla hanno a che vedere con l’interesse vero delle comunità.
Ci sono le metropoli idrovere che tentano di inghiottire e omologare a se le risorse e le peculiarità montane, risucchiando, fino a prosciugare, modelli di sviluppo che danno lustro alle classifiche e ci fanno sentire orgogliosi di essere uomini di montagna. L’abolizione delle provincie, decapitate a metà, sono la sintesi di un’approccio dilettantistico, protagonistico e masochistico alla realtà e alle esigenze sempre più articolate dei cittadini. Il clamore provocato dall’annunciata decapitazione dell’ente intermedio è diventato ora un eco lontano e soprattutto la prova che a furia di annunci, manca poco che presto affiggeranno sui muri quelli mortuari dove, parafrasando la barzelletta sul gerarca Starace, ci sarà scritto: “ giace la polis, vestita d’orbace, in Europa fugace, in pace precace, di niente capace, riposi in pace”.
E' difficile non essere d'accordo con Murada e neanche stavolta fa eccezione.
Aggiungerei invece qualcosa sulla validità di queste iniziative ch ho seguito, approfondito e quasi sempre recensito fin al 1990, prima edizione de “Il Sole 24 Ore”. Debbo dire che avevo iniziato anche con “Italia Oggi” che però ho abbandonato spiegandone le ragioni sul giornale, sostanzialmente la forrte variabilità da un anno all'altro.
Per curiosità Ho voluto andare a vedere come erano le posizioni 10 anni fa. Il risultato era stato incredibilmente lo stesso per quanto riguarda i primi 5. Primo Trento, ora 5° secondo Bolzano ora 4°, terzo Aosta sopra 2°, quinto Sondrio ora 3°