GRANDE COALIZIONE, ARAFAT GHEDDAFI E...
NESSUNA SORPRESA IN ADESIONI
"STRANE" ALLA COALIZIONE ANTITERRORISMO
L'adesione massiccia al fronte antiterrorismo - poi vedremo chi alle parole non farà seguire i fatti - è sicuramente conseguenza non solo della tremenda carneficina, ma anche per l'orrore suscitato dalle modalità dell'orrore.
Non c'è solo questo.
Ci sono anche considerazioni di interesse politico, e non solo tale su cui non è stato scritto tutto quello che doveva essere scritto.
Vediamo alcune situazioni definite "a sorpresa", ma
non tali.
ARAFAT. Scontata la sua adesione al fronte, come tangibile dimostrazione di scelta di campo, destinata a ottenere risultati successivi per la sua causa (il primo lo ha avuto subito:
gli USA hanno premuto per l'incontro con Perez che Sharon non voleva o comunque non riusciva a far digerire al suo
Governo. Prima o poi si farà).
Due obiettivi su due fronti: da un lato dimostrare che l'intransigenza è di Sharon - che ha ripetutamente, e in modo non condisibile da tutto l'Occidente, detto di voler delegittimare Arafat -, e dall'altro distinguersi da Hamas, l'oltranzista palestinese non proprio in rapporti idilliaci con il leader palestinese. Quell'Hamas che potrebbe rientrare negli obiettivi della guerra al terrorismo ormai dichiarata e forse, anche se non lo sappiamo, già avviata, visto che gli agenti segreti USA hanno riavuto l'autorizzazione ad uccidere, se necessario.
Israele ha ottenuto sostanzialmente sempre l'appoggio statunitense, esercitato anche con i veti, taluni manifestati e taluni annunciati ottenendo lo stesso risultato, a risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. E' riuscito, grazie all'appoggio americano, anche a eludere risoluzioni dello stesso Consiglio.
Questa volta, quando Bush ha annunciato di volere nella coalizione anti-terrorismo anche Arafat e la Siria, Sharon ha protestato ma, contrariamente al passato, senza ottenere il risultato sperato.
Troppo importante per gli USA in questo momento realizzare una coalizione che veda il più possibile presenti i rappresentanti del mondo arabo, a cominciare dai più significativi.
Troppo importante per Bush anche chiudere il conflitto regionale del Medio Oriente, ma a questo punto importante anche per Arafat e, se non per Sharon, quantomeno per Israele, che rischia di essere un obiettivo dei fanatici dell'orrore e del terrore.
GHEDDAFI. Per chi ha seguito le mosse di Gheddafi di questi ultimi anni la sua posizione critica nei confronti del terrorismo non è una novità.
Per quanto riguarda l'Italia, dopo Ustica e il suo provvidenziale dribbling nel cielo con atterraggio insulare mentre il missile diretto a lui finiva sull'aereo dell'Itavia (con quella ogiva recuperata dal fondo da "ignoti" prima che venisse fatta la prima operazione di recupero dei resti del velivolo…) il contenzioso si era dissolto, e
ne aveva ben d'onde.
Poi lenta risalita, sino alla consegna dei due sospettati autori dell'attentato all'aereo civile precipitato in Scozia, in un certo senso in parallelo con la evoluzione "istituzionale" di Fidel Castro.
Ulteriore atto di saggezza politica da parte di Bush sarebbe proprio quello di poter contare, nella coalizione, anche dell'apporto di Gheddafi anche solo dal punto di vista dell'immagine in quanto restringerebbe ulteriormente il campo dei fiancheggiatori dei fanatici.
Qualche purista può storcere il naso, ma qui si gioca una partita di importanza enorme. Bisogna avere il coraggio di voltare pagina in tutti i sensi.
Chi ha ideato e fatto compiere gli atti di guerra dell'11 settembre
ha tragicamente voltato pagina aprendone una nuova e scrivendo la prima pagina di un libro che vorrebbe molto grosso.
L'ieri conta molto meno in funzione del domani che si vuole, anche per i
rapporti con Gheddafi (e non solo per lui).
SADDAM. Saddam si è chiamato fuori con un suo commento sui "cow-boy
americani" formalmente tale da risultare coerente con il suo antiamericanismo ma sostanzialmente pilatesco, senza compiacimento alcuno nei confronti dei terroristi.
Questo suo "chiamarsi fuori" è stato confermato dalla successiva iniziativa, una "lettera aperta" in cui consigliava "saggezza" agli Stati Uniti, e poi dalla smentita del suo Servizio Segreto di un qualsiasi coinvolgimento con i terroristi.
Una smentita che non era rivolta al mondo. In tal caso poteva
venire dai Ministri interessati.
Questa smentita era un avviso ai terroristi, ai fiancheggiatori
e a quant'altri di non contare sull'Irak.
Certo, può giocare il timore di nuove incursioni, questa volta più pesanti delle solite che periodicamente avvengono ad opera degli aerei anglo-americani, ma ci sono altri elementi fra cui la comprensione che si è aperta una nuova pagina, e che il terrorismo fanatico è pericolosissimo per
tutti. Anche, magari, per l'Irak, tenuto poi conto che è uno Stato laico, al contrario di altri Paesi islamici.
Può esserci poi un'altra ragione, più sofisticata. Presidente degli USA è Bush figlio che non trascurerà certo di utilizzare la profonda esperienza di suo padre. Ebbene Saddam sa che deve a Bush padre la sua permanenza al potere.
Conclusa la guerra del Golfo, le truppe migliori di Saddam erano intatte, con tutti gli armamenti e le attrezzature, lungo 200 Km dell'arteria che dal porto di Bassora porta verso Teheran. Un gioco da ragazzi distruggere questo potenziale bellico. Bush, dimostrando grande abilità politica e reggendo anche al peso delle critiche, non lo fece.
Fu un passaggio fondamentale, seppur poco sottolineato, in quanto non molti giorni dopo quando l'Iran sferrò proprio nella zona di Bassora il suo attacco, furono quelle forze prima a contenere e poi ad aver ragione degli iraniani. Senza la scelta di Bush gli iraniani avrebbero dilagato, aggravando in misura rilevantissima la
situazione in tutto lo scacchiere medio-orientale..
Non è escluso perà, più che altro, sia la psicosi anti-Saddam diffusa negli Stati Uniti e in altri Paesi occidentali
a portare a qualche azione militare. Sarebbe un errore.
Ai fini dell'obiettivo, la tranquillità futura del mondo, sarebbe utile anche la sola neutralità dell'Irak.
PAKISTAN. Per finire uno sguardo al Pakistan divenuto zona nevralgica per la sua posizione geografica.
Grande due volte e mezzo l'Italia, il Pakistan si trova fra incudine e martello. Real-politik voleva, come il Presidente,, generale Pervez Musharraf, ha fatto, che si scaricassero i talebani, inventati, allevati, finanziati e protetti dal Pakistan stesso. Non conveniva essere dall'altra parte rispetto agli americani anche avendo un occhio alla confinante e nemica India, pronta con i suoi appetiti sul Kashmir.
Il Governo non è però espressione popolare, ma figlio di un colpo di Stato dei militari.. Forte nei Partiti la posizione antiamericana. Di qui l'invenzione dell'invio di una delegazione a Kabul, guarda caso guidata, con il capo del Servizio Segreto Mehmud, artefice esterno dei successi militari idei talebani, da un personaggio particolare, Nasirullah Babar, quello che ha portato di fatto al potere a Kabul l'attuale Presidente afgano Mohammed Omar.
Sapevano tutti che la richiesta di consegna di Bin Laden, legato oltre a tutto da vincoli familiari al Presidente afgano, era a risposta obbligata, sia pure con le più strane formule, com'è in effetti stato. Serviva però al Governo pakistano per avere qualche argomento nei confronti con la fronda interna. La prospettiva della "catastrofe" usata come alternativa alla consegna di Bin Laden, non era infatti sufficiente per l'ala fanatica che pensa e urla per la "guerra santa" contro gli USA, anche se c'è da dire che le rumorose manifestazioni sinora organizzate hanno avuto meno seguito di quello che ci si poteva attendere.
La questione, dato e confermato l'appoggio logistico agli USA, resta legata alla possibilità di tenuta dell'attuale Governo. Paradossalmente c'è da tifare perché tenga proprio un governo privo di legittimazione democratica. Non ci fosse questa tenuta e il Governo o dovesse cambiare rotta o venisse rovesciato, sarebbero fuochi artificiali ma, ahimé, non quelli innocui degli spettacoli estivi notturni. E il Pakistan non è l'Afghanistan ove alle lussuose auto dei governanti talebani - questi studenti di teologia divenuti ministri e quant'altri evidentemente sono molto lontani da San Francesco - fa riscontro una miseria diffusa e una struttura dello Stato e del Paese, quasi medievale.
Di moderno in Afghanistan c'è solo la produzione di eroina, in quantità che qualcuno dice essere i tre quarti della produzione mondiale (sarebbe un atto di giustizia una serie di bombardamenti a tappeto, non con le bombe, ma con i diserbanti per inaridire tutti i posti da dove viene l'oppio, riservando ai missili il compito di polverizzare le distillerie di eroina…). Il Pakistan, pur con i problemi che ha avuto, con l'impoverimento per il lungo conflitto con l'India, tuttora allo stato latente e con l'incombente minaccia reciproca della bomba atomica, ha infrastrutture di rilievo e un potenziale industriale già
significativo, obiettivi quindi in quantità. Quindi alto
rischio.
Nella consapevolezza di questo rischio, il Governo molto
probabilmente terrà. E gli oppositori pakistani, salvo
drappelli di fanatici, non sono affatto dei talebani di
complemento. Un conto é urlare per la "guerra santa"
nelle strade, un altro conto é prender su e andare a farla.
CONCLUSIONE.
Queste note restano in rete. Sarà il tempo a dimostrare se la
Gazzetta di Sondrio aveva visto giusto.
GdS 19.9.2001
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