CREMAZIONE E RELIGIONE
Non é un argomento facile quello che iniziamo a trattare, ma
risulta quantomai opportuno farlo per una serie di ragioni. Se per
qualcuno non ve ne fossero altre c'é comunque il problema del
costo per le famiglie della persona scomparsa, decisamente
rilevante. Per qualche famiglia onere quasi insostenibile tenuto
conto che per onorare la memoria del defunto in genere si cerca di
dargli la sepoltura migliore.
Cominciamo con la cremazione, una pratica ancora troppo poco
diffusa in Italia nonostante i passi avanti compiuti (anche
legislativi, vedasi la legge 30 marzo 2001, n. 130). E cominciamo
riproponendo un articolo del prof. Alfredo Tavolaro, da sempre
assertore di questa pratica e attivo membro della SO.CREM. di
Sondrio, pubblicato 10 anni fa ma ancora attuale. NdR
LA PRECEDENTE AVVERSIONE DELLA CHIESA
Si è detto che in Italia, e quel che si dice per l’Italia vale
anche per gli altri Paesi a maggioranza cattolica o islamica,, il
rito della cremazione è scarsamente diffuso. La Chiesa l’ha
avversato nei secoli per varie ragioni, ma in primo luogo per il
concetto religioso che portava a non violentare un corpo destinato
a risorgere alla fine del mondo e per la credenza che la
cremazione implicasse mancanza di rispetto ad una entità
consacrata dai sacramenti e dall’inabitazione divina.
Tale concezione, tramandata di generazione in generazione, ha
comportato, specie a partire dall’anno mille, la diffusione
crescente della pratica dell’inumazione e la condanna della
cremazione, ufficialmente pronunciata nel 1886. «Il rogo — è
stato giustamente detto — rimase nei secoli soltanto come
strumento della Chiesa per punire i martiri del libero pensiero»
e gli incriminati di stregoneria, aggiungiamo noi, e costituì, sul
piano psicologico, una remora terrificante, prospettando al
credente quasi una anticipazione delle orride fiamme infernali.
NEL 1964
LA NUOVA POSIZIONE, FAVOREVOLE
La resistenza della Chiesa di fronte all’incalzare della modernità
era rafforzata anche dal fatto che la pratica della cremazione era
sostenuta in modo particolare dai massoni e, in genere, dai
socialisti e dai materialisti.
Si doveva arrivare al 1964 perché
la Chiesa cattolica rimuovesse ogni ostilità precostituita alla
cremazione, affermando con la «Instructio acta apostolicae sedis»
del 24 ottobre di quell’anno il pieno rispetto per chi compie la
scelta dell’ incenerazione e la cessazione del divieto delle
esequie religiose per coloro che abbiano optato per la cremazione.
Si riconosce con tale atto che non vi sono, nei confronti della
cremazione, ragioni di fede in contrario ne impedimento alcuno per
la resurrezione, perché il nostro corpo fisico è destinato alla dissoluzione e la resurrezione, opera della onnipotenza divina,
non concerne tanto il corpo materiale quanto l’identità del nostro essere.
LE
CONSEGUENZE PRATICHE
Ovviamente l’atteggiamento della Chiesa ha costituito, oltre che
un indirizzo indiscutibile per i credenti, un rallentamento della
legislazione nazionale, renitente a recepire nella sua normativa
il senso del nuovo, che si era già da tempo affermato in molti
Paesi europei e verso il quale, specie dopo il 1964, si venivano
aprendo anche molti cattolici: ostacoli, dunque, di natura
legislativa e, conseguente mente, burocratica; così, a fronte di
lenti timidi passi avanti, stanno alcune richieste di fondo, che
ancora giacciono allo stato di proposte di legge nel nostro
Parlamento, tendenti, al di là di quanto è stato già fin qui
acquisito (gratuità della cremazione, obbligo per i Comuni di
reperire presso i cimiteri urbani aree per la dispersione delle
ceneri e di costruire negli stessi edifici per la collocazione
delle urne cinerarie), ad allargare i diritti dei cremazionisti
mediante l’approvazione della norma che sancisce l’obbligo della
costruzione dell’impianto di cremazione nei Comuni capoluoghi con
la possibilità della costituzione di Consorzi tra più Comuni o tra
i Comuni dell’intera provincia; il riconoscimento del diritto,
previa la necessaria regolamentazione, di disporre la dispersione
delle proprie ceneri in natura e, soprattutto, l’affermazione del
principio di una pari dignità.~ tra le diverse pratiche funerarie.
LO
SVILUPPO IN ITALIA
Nonostante gli ostacoli religiosi (ridotti dopo il 1964 allo stato
di semplice pregiudizio), legislativi e burocratici, la cremazione
ha avuto e sta avendo uno sviluppo sempre più ampio nel nostro
Paese. Dal lontano 1876, quando a Milano nacque il primo tempio
crematorio nel mondo, si sono fatti molti passi avanti nella
direzione dell’organizzazione ~e della diffusione. Si pensi ch~
~e1 solo periodo tra il 1984 e il 1990, per rifarci atempi più vicini a noi, si è passati da 26 a 37 società
organizzate, da 54.000 a circa 110 mila aderenti e da 3.000 a
circa 6.000 cremazioni all’anno.
NEL MONDO
PRATICA DIFFUSISSIMA
Certo è ancora poco, se si considera, non dico il Giappone dove il
95% degli abitanti si fa cremare, ma qualche Paese europeo dove il
ricorso al rito crematorio raggiunge elevate percentuali (67,44%
in Inghilterra, 69,35% in Cecoslovacchia, 60,92% in Danimarca,
55,12% in Svezia), di fronte alle quali l’appena 0,5% dell’Italia
appare irrisorio. Ma possiamo ugualmente dire che la mentalità cremazionista si va affermando sempre di più anche da noi. Oggi
esiste in Italia una Federazione delle società per la cremazione
con sede a Torino, che è collegata con associazioni locali dette
SO.CREM, diffuse specialmente nel nord Italia.
ANCHE A
SONDRIO LA SO.CREM.
Anche Sondrio ha da
qualche tempo la sua SO.CREM, cui sono associati circa 200
vaitellinesi e vaichiavennaschi.
Le finalità perseguite dalla Federazione e dalle SO.CREM locali
sono, oltre le rivendicazioni giuridiche di fondo di cui si è
detto, quelle di diffondere la pratica della cremazione, stimolare
le amministrazioni comunali verso la costruzione dei forni
crematori, vigilare chiamando le
amministrazioni stesse al rispetto delle leggi in materia di
polizia mortuaria, assistere le famiglie degli iscritti, specie
quelle che versino in condizioni di particolare bisogno.
Ma io penso che la più importante azione che le SO.CREM possano
compiere sia quella di sollecitare gli amministratori comunali a
rendersi conto che il problema di operare in provincia le
cremazioni è fondamentale e che essi debbono assumere l'iniziativa,
stante l’incapacità finanziaria delle SO.CREM, facendosi
interpreti di una scelta che si va sempre più diffondendo e
affrontando seriamente e in concreto il problema.
RESTRINGERE LE CITTA' DEI MORTI
DARE SPAZIO ALLE CITTA' DEI VIVI
L’avv. Bruno Segre, presidente della Federazione italiana per la
cremazione, in un suo intervento di qualche anno fa ad un convegno
sui problemi funerari, ebbe a cogliere con felice sintesi
l’insieme dei problemi che premono sui responsabili della
conduzione amministrativa delle nostre città di fronte alla
crescente richiesta di cremazioni, quando affermò che «la gente
ha compreso come la cremazione sia indispensabile per restringere
le città dei morti e dare spazio alle città dei vivi».
E’ una
grande verità che merita attenzione responsabile.
Alfredo Tavolaro
GdS 18 VII 02
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