Diario inedito di Achille Compagnoni nei giorni della conquista del K2
Una donna e il suo uomo. Elda ed Achille, accomunati da un amore grande quanto è grande il cielo e quanto alte sono cime del Tetto del mondo. Già, perché Elda Mossini ed Achille Compagnoni, il conquistatore del K2, hanno imparato ad amarsi vivendo la montagna come una creatura deificata in cui riporre ogni umana certezza. Nonostante l’incipiente autunno abbia appena velato di malinconia lo sguardo della valtellinese Elda Mossini, inseparabile compagna di vita dell’indimenticabile alpinista di Valfurva, non ne ha mai fiaccato la determinata audacia nella strenua difesa, pur con disarmante dolcezza, di chi della sua vita ha fatto un segno, diventando l’eroe schivo e silenzioso dell’italico Stellone. E non è certamente un caso che un vecchio diario sbiadito dal tempo spunti fuori all’improvviso, mentre lei rovista tra le antiche carte, risvegliando ricordi sopiti, ma ancora laceranti per l’assente presenza di un uomo che ha fatto la storia dell’alpinismo conquistando la vetta più insidiosa del Karakorum, il K2. Vanto italiano nel mondo, Compagnoni è stato insignito delle più alte onorificenze, tra cui la medaglia d’oro al merito “per la tempra eccezionale di alpinista che, dopo aver profuso, durante la spedizione italiana sul k2 nel 1954, le sue forze nella durissima scalata dello sperone d’Abruzzi e predisposto l’attacco finale, si lanciava con mirabile ardimento e sprezzo del pericolo alla conquista della vetta inviolata. Superati rischi e sacrifici di ogni sorta, pur avendo esaurito le riserve d’ossigeno, traeva ancora dalle altissime qualità del suo forte animo l’energia sufficiente per giungere a piantare sulla seconda cima del mondo il tricolore d’Italia”. Un solenne encomio che lo additava come luminoso esempio delle più alte virtù, ben ritratte nel poster del film “Italia K2” che lo consacrava nell’olimpo dei grandi eroi. Eppure Achille Compagnoni, gigante di Valfurva, non si è mai gloriato, è rimasto l’amico quotidiano al fianco dei suoi convalligiani, sincero e di poche parole. Ci pensa ora questo suo diario, affiorato dall’oblio, a raccontare la storia della sua esaltante impresa. Un diario quotidiano, senza fronzoli, diretto, scritto di suo pugno con una grafia sicura e leggibile, sotto le tende dei vari campi di avvicinamento alla vetta, che narra giorno dopo giorno, ora dopo ora, la titanica ascensione al K2. E il finale è l’apoteosi di una mistica teofania che fonde l’uomo con la natura selvaggia di una cima che offre l’ardore del fuoco al Prometeo che ha sfidato gli dei: “PROSEGUIAMO A STENTO, FINALMENTE ARRIVO IN VETTA. MI SEMBRA DI SVENIRE. IMPIANTO LA PICCOZZA, RIESCO A METTERE UNA GAMBA SULLA CRESTA E MI LASCIO CADERE PER QUALCHE ISTANTE, POI MI RIALZO A STENTO E IN QUEL MOMENTO MI ACCORGO CHE IL MIO VOLTO È GHIACCIATO. HO PIANTO. ABBIAMO VINTO, DOPO TANTI SACRIFICI, DOPO TANTI STENTI, SIAMO ARRIVATI: IL K2 È NOSTRO!”. Ineffabile messaggio non di umana protervia, ma di comunanza sincera per una conquista che è di tutto il popolo italiano.